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Emmerich si avviò zoppicando lungo le buie sale del museo. Alla luce della luna, oscurata da nuvole di passaggio, le statue dei condottieri sembravano risvegliarsi a nuova vita e anche i personaggi ritratti nei dipinti sembravano quasi sul punto di saltar fuori dalle loro cornici.

Quando si ricordò che era lui l’unica figura spettrale ad aggirarsi in quell’edificio sentì un brivido lungo la schiena.

Salì le scale e arrivò nella cosiddetta sala d’onore, decorata da affreschi impressionanti e da lapidi in marmo su cui erano incisi i nomi di oltre cinquecento ufficiali caduti in battaglia. Da lì si introdusse nell’ufficio di Častolowitz.

«Buonasera, signori» disse spalancando la porta.

Bahrfeldt e Častolowitz, seduti a un piccolo tavolo da conferenza a bere vino, lo fissarono a occhi sgranati, come se avessero visto un fantasma.

«Non potete neanche immaginare che spettacolo siano le vostre facce» disse Emmerich facendo una smorfia beffarda.

«Ma che diavolo…». Častolowitz era stato il primo a ritrovare la favella. Teneva lo sguardo puntato sul petto di Emmerich e, come Völzer, fissava incredulo la macchia di sangue.

Emmerich si avvicinò con tutta calma al tavolo e mandò giù una grossa sorsata di Bordeaux direttamente dalla bottiglia. «Morire fa venire sete» disse, poi prese un sigaro dall’astuccio d’argento aperto davanti a Bahrfeldt e lo accese. «Uh, francese…». Sollevò la bottiglia di vino. «Eppure lo sapete che così sostenete l’economia nemica…».

«Chiuda il becco!» gridò Častolowitz. «Ora ne ho davvero abbastanza di lei!». Saltò su così in fretta che la sedia si rovesciò e cadde a terra. Poi tirò fuori la pistola e la puntò contro Emmerich. «Muori, cane!» urlò facendo fuoco.

Una detonazione risuonò nella stanza ed Emmerich cominciò a ridere, come isterico.

«Maledetto! Maledetto stronzo… che significa?».

Častolowitz continuò a premere il grilletto, ma Emmerich sembrava non pensarci nemmeno, a morire. Come in trance Častolowitz tirò su la sedia e si sedette nuovamente. Bahrfeldt sembrava aver perso la lingua.

Un colpetto alla porta bastò a far sobbalzare i due.

«C’è qualcuno che vorrebbe tanto farvi un saluto». Emmerich aprì la porta a una figura snella, avvolta in un lungo mantello nero. «Stasera non sono l’unico non-morto presente qui».

«Volevo guardarla in faccia almeno una volta, prima che la rinchiudano per sempre in prigione». Rita Haidrich sembrava un angelo vendicatore, uscito dritto dritto da un dipinto medievale. Aveva gli occhi cerchiati di nero e la bocca truccata con un rossetto rosso scuro. I capelli erano nascosti da un cappuccio. Quanto a entrate in scena sapeva il fatto suo. «Lei è il più misero parassita che si sia mai visto sulla Terra». Sollevò il capo. «E tanto perché lo sappia: il ballo è stato un enorme successo. Gli ospiti non hanno lesinato, donando migliaia di corone per i bambini. E sa un’altra cosa? Alcuni benefattori si sono detti disponibili a portare avanti con me le iniziative della signora Abele e del signor Fürst. Tutte le persone che lei voleva annientare riceveranno l’aiuto che si meritano».

«Ma… ma lei… ma io le ho… lei era morta… Ho visto con i miei occhi…». Častolowitz sembrava non capire più nulla. Osservò la sua Luger P08 da tutte le angolazioni. «Ma questa… questa non è la mia pistola».

Rita Haidrich tirò fuori dalla tasca della sua mantella un fiore di croco. «Tanti saluti dalla piccola Zuzana» disse, gettando il fiore a Častolowitz.

«Una stanza piena di comparse, qualche attrezzo di scena e una ladruncola scaltrissima, che è riuscita a scambiare la sua pistola… non ci è servito altro per fuorviarla». Emmerich guardò la giovane donna. «E naturalmente una fantastica attrice».

«E lei che continuava ad accalorarsi per l’incapacità di Völzer» sbottò Bahrfeldt all’indirizzo di Častolowitz. «Chi sarebbe il buono a nulla?».

Častolowitz sembrò non udire il commento. «La fioraia…» disse dando voce ai suoi pensieri. «La piccola mendicante…». Il labbro inferiore prese a tremargli e gocce di sudore gli imperlarono la fronte. «Non avete niente, in mano» ringhiò. «La legge esige prove certe, e voi non avete niente».

«Non ne sarei così sicuro». Emmerich bevve un altro sorso di vino. «Innanzitutto c’è il gemello, e il manifesto».

«Bah» gli rispose Častolowitz con sufficienza. «Col gemello al massimo riesce a mandare in galera Völzer, e il manifesto non prova un bel niente. Illustra semplicemente la nostra linea di pensiero, peraltro condivisa da molta gente. Magari susciterà un po’ di scandalo, ma di certo non ci farà finire in prigione».

«È probabile. Ma per quello basterà il tentato omicidio ai danni miei e dell’ispettore Winter».

«La vostra parola contro la mia. E chi pensate che sarà creduto? Tre rispettabili cittadini, membri onorati della società, o due malandati funzionari di polizia, disprezzati persino dai loro colleghi?».

«Parleranno i fatti». Emmerich si fece da parte e dietro di lui comparve una minuscola donna che reggeva un apparecchio indefinibile. «Posso presentarvi la straordinaria signorina Melek con una delle meraviglie della tecnica moderna?».

La minuscola signora fece un inchino. «Che possiate marcire per sempre nella cella più remota dell’ultimo carcere di questa Terra».

«Il signor Oswald mi doveva un favore ed è stato così gentile da prestarci la sua ultima scoperta, questo efficientissimo apparecchio per la registrazione di suoni e dialoghi. Ci è bastato trovare lo sfiato del pozzetto di ventilazione» continuò a spiegare Emmerich. «Il resto è stato un gioco da ragazzi».

«Questo lo dice lei» replicò un po’ arrabbiata la signorina Melek. «Non si è mica dovuto calare lei nel pozzo con questo coso pesantissimo, un sacchetto pieno di sangue finto e due pistole cariche, e poi spiegare tutto al signor Winter e far funzionare questo apparecchio così complicato».

Emmerich sorrise. «La signorina Melek ha compiuto un vero miracolo» si corresse.

Bahrfeldt seppellì il viso tra le mani e Častolowitz fissò il vuoto con volto inespressivo.

«Non sono sempre i più forti o i più intelligenti a vincere, alla fine» notò Emmerich. «Per arrivare alla meta servono anche coraggio, collaborazione e abilità». Si rivolse a Winter, rimasto sulla soglia. «Saresti così gentile da informare i nostri onorati colleghi della nostra piccola avventura?».

Winter annuì, sollevò la cornetta del telefono di Častolowitz e chiese alla centralinista di essere messo in comunicazione con la sezione Omicidi.

Rita Haidrich indicò la camicia di Emmerich. «Il signor Jeschek è un maestro nel creare il sangue di scena, il migliore sulla piazza». Mentre strappava di mano a Emmerich la bottiglia di vino sul suo viso truccato in maniera così drammatica si fece strada un sorriso. «Alla signorina Melek, e a voi due. Sono felice che siate ancora vivi».

«Concordo in pieno». Emmerich tirò fuori dal taschino il pacchetto di sigarette in cui aveva nascosto le capsule di colorante e lo guardò con un sorriso a trentadue denti.

«Stanno arrivando». Winter si tolse la fascia che gli reggeva il braccio e la gettò con noncuranza in un angolo. Sembrava non averne più bisogno. «Non vedo l’ora di vedere la faccia di Brühl».