4. Iris

«Ah, eccola, la mia stella nascente!»

Ero nell’ingresso in attesa della posta, quando entrò Lawrence Bartels, con il suo elegante impermeabile blu fatto fare su misura da qualche parte in Italia. Il luogo esatto era un segreto ben custodito: temeva forse che il mondo intero vi si sarebbe precipitato in massa.

Mi venne incontro a braccia aperte, come farebbe il presentatore di un talk show: «Buon pomeriggio, cara amica. Vieni nel mio ufficio».

Mi chiesi cosa mi aspettasse: ero quasi certa che Peter van Benschop si fosse lamentato di me. Piantare in asso un cliente era ingiustificabile, e avevo la sensazione che la spedizione all’asilo non fosse una scusa valida.

Sono ben pochi gli studi legali che aiutano il prossimo per spirito caritatevole, e Bartels & Peters certo non era tra quelli. Vi si ragionava soltanto in termini di ore fatturabili. Rappresentava tuttavia un grosso miglioramento rispetto al mio posto di lavoro precedente, uno studio legale internazionale di fusioni e acquisizioni. Lì mi svegliavano spesso e volentieri nel cuore della notte perché un cliente asiatico aveva bisogno di qualcosa prima che chiudessero gli uffici. Avevo trascorso molte notti a sgobbare con una fetta di pizza fredda sul tappetino del mouse; e avevo dovuto annullare numerose vacanze.

Quando ero rimasta incinta di Aaron, mi fu subito chiaro che avrei dovuto darmi una calmata. Poi, come se qualcuno in cielo si fosse interessato alla mia situazione, avevo ricevuto un’offerta di lavoro da Bartels & Peters, i cui uffici stavano a un tiro di schioppo da casa mia, e mi chiedevano di essere in ufficio tre giorni soli alla settimana, cosa più unica che rara nel settore legale. Tutto ciò avrebbe dovuto rendermi la vita molto più facile. Posso dire che la professione forense è uno scherzo rispetto alle esigenze di un bambino di tre anni.

Lawrence aveva un ufficio all’altezza del suo successo: una scrivania grande quanto un tavolo da biliardo dominava la stanza, facendo apparire lui ancora più basso e grassoccio, e un tappeto persiano antico copriva il pavimento di marmo. Un quadro incomprensibile, ma senz’altro costosissimo, era appeso alla parete.

«Siediti, siediti!» tuonò Rence, come se fosse su un palcoscenico e dovesse attirare l’attenzione di duecento spettatori.

«Sei arrabbiato con me?»

«Cosa stai dicendo? Peter van Benschop mi ha appena chiamato entusiasta. Mi ha detto che di rado gli è capitato di conoscere donne determinate come te, il che non sorprende, considerata la natura delle sue attività. È pazzo di te».

«Non ti ha detto che ho dovuto andare via?»

Il sorriso sul suo volto scomparve all’istante. Agitò una mano, seccato: «Non voglio saperlo. Non ti ho detto e ripetuto che non devi essere così dannatamente onesta? Devi essere credibile, ecco tutto. L’onestà è un difetto in un avvocato, non lo sai?»

«Scusa».

Scoppiò a ridere. «E non scusarti mai. Mai!»

«Se non mi hai chiamata per mettermi alla gogna, perché mi trovo qui?»

«Perché, cara Iris, voglio farti i complimenti per il successo ottenuto oggi. Questo è l’unico motivo del nostro piccolo tête-à-tête, nessun bisogno di agitarti. Volevo soltanto dirti che hai fatto un buon lavoro. Non voglio nemmeno sapere cosa hai combinato: qualunque cosa fosse, te la sei cavata egregiamente, ed è la sola cosa che mi interessa».

«In questo caso, grazie».

«Detto ciò, Peter van Benschop verrà in ufficio domani per sapere che strategia gli proponiamo. Vorrebbe chiudere la faccenda entro la fine della settimana».

«Impossibile, temo».

«Come, scusa?»

Mi chiesi se fosse il caso di dirgli tutta la verità, ma optai per comunicargli i soli fatti, niente più: «Non potrò venire in studio né mercoledì né giovedì, e venerdì è il mio giorno libero. Potrò lavorare da casa, ma riuscirò a combinare molto meno del solito».

«Scusa, ma ne avevi parlato con me, prima di decidere?»

«No. Circostanze che sfuggono al mio controllo, temo».

Rence silenzioso si passò la mano tra i ricci capelli grigi, o quel che ne restava. Rifiutava di ammettere che stava diventando calvo.

«Scusa» aggiunsi.

«Ti ho già detto che non voglio sentire scuse!» sbottò. «Maledizione, Iris!» Una bollicina di saliva gli era rimasta appiccicata al labbro inferiore. Con gesto teatrale si alzò e si avvicinò alla finestra, voltandomi le spalle. Eccentrico. Eccessivo. Estenuante.

«Allora non mi scuso. Non mi scuso per niente. Hai mai sentito parlare di congedo per circostanze eccezionali? Congedo di maternità? O preferisci che prenda tutti insieme i trenta giorni di ferie che mi restano?»

Rence rimase un momento senza parole, poi esclamò: «E va bene. Ti ho già detto che non mi interessa come fai, purché te la cavi, quindi, anche se dovrai lavorare dal polo Nord, fa’ ciò che devi. Sempre che Peter van Benschop sia contento, e io soddisfatto della parcella che gli manderò a cose fatte».

«Non preoccuparti».

«Non indovinerai mai chi è il mio nuovo cliente…» Era sera e, siccome Aaron dormiva da mia madre, mi trovavo in un bar a bere qualcosa con un’amica, proprio come un qualsiasi normale avvocato.

«Non ne ho idea. Il papa? No, aspetta un attimo» Binnie levò il dito indice: «tua madre è stata infine condannata per intollerabile freddezza nei confronti del prossimo».

Scoppiai a ridere. Binnie e io ci conoscevamo dalle elementari, e non erano mai andate d’accordo lei e mia madre, fin da quando questa le aveva chiesto di salutarla con un: «Buon pomeriggio, signora Kastelein» al posto del consueto squillante: «Ciaoooo!» Tanto mia madre era formale e misurata, quanto Binnie era disordinata ed esuberante. In realtà si chiamava Brigitte, ma odiava quel nome. Nessuno ricordava l’origine del suo nomignolo.

«Avanti, dimmelo».

«Peter van Benschop».

«Chi?»

«Peter van Benschop, della ricchissima famiglia Van Benschop, gli armatori».

A Binnie brillarono gli occhi: «È scapolo?»

«Non ne ho idea».

«Ma è la prima cosa da scoprire, quando si ha un cliente del genere. Com’è? Quanti anni ha? Quanto è alto?»

«Una quarantina d’anni… Un metro e ottanta circa… Adesso che ci penso, forse è l’uomo giusto per te. Ti piacciono gli uomini dominanti, no?»

«Li adoro».

Un tizio, avvicinandosi al banco per prendere da bere, mi diede una spinta, facendomi quasi perdere l’equilibrio. Aveva l’aria del classico agente immobiliare: completo di mediocre fattura e faccia insolente. Un po’ di vino bianco si rovesciò dal suo bicchiere, bagnandomi proprio sul seno. Che se ne fosse accorto o no, fece finta di niente.

«Ehi, sta’ attento. Le hai appena rovesciato il vino sulla camicia» gli disse Binnie.

Quello si voltò verso di noi e squadrò Binnie dalla testa ai piedi. «Ehi, come sei alta».

«No. Davvero?»

Alzai gli occhi al cielo.

«Wow, come sei alta» ripeté il ragazzo.

«Abbastanza da notare che ti restano ben pochi capelli, là in cima. Cosa ne pensi, Iris? Sarà bello, una volta pelato?»

«Oh, lascia perdere». Con un tovagliolino di carta cominciai a tamponarmi la camicia bagnata. Sembrava quasi che mi fossi dimenticata di infilare la coppetta assorbilatte nel reggiseno da allattamento: terribilmente sexy.

«Non credo che starà bene». Binnie si posò un dito sul mento e assunse un’aria meditabonda. «Ha una testa strana, rotonda. Mi dispiace, ma qualcuno glielo deve pur dire: tra cinque anni, assomiglierai a un maialino da latte, temo».

Non riuscii a trattenere una risata.

Binnie continuò: «Se fossi in te, cercherei di sfruttare al meglio i pochi anni buoni che ti restano. Comincerei con il comportarmi in modo meno cafone. Guarda dove vai e, se per caso provochi un piccolo incidente, ad esempio rovesciando del vino bianco addosso a una signora, per giunta in un punto sensibile, chiedile scusa almeno».

Lui la fissò con aria inespressiva per qualche secondo, poi sbottò: «Troia».

«Anche per me è stato un piacere conoscerti». Binnie si voltò verso di me: «Peter van Benschop, il milionario. Riesco quasi a vederlo. Sono pronta per un uomo ricco, perché essere giornalista è fantastico, è proprio ciò che sognavo di fare. Ho stretto la mano a Nelson Mandela e... George Clooney è strabiliante dal vero. Ho scritto reportage su incredibili truffe e articoli appassionanti sull’abuso di anfetamine da parte degli shar pei... Non immaginavo però che avrei dovuto vivere di sola gloria, oltre che dei massimi riconoscimenti giornalistici che un giorno finiranno senza dubbio per piovermi addosso, considerata la misera paga. Per quanto tempo dovrò continuare a dividere un appartamento con qualcuno, sopportare la crema autoabbronzante spalmata nel lavandino, o sentire Marie-Ellen che fa sesso alle due del pomeriggio, mentre sono impegnata in una corsa contro il tempo per consegnare un articolo? Oh, Iris, se Peter e io ci sposeremo, sarai la mia damigella d’onore».

«Sei disposta a farti incatenare in una cella sotterranea da sadomaso?»

«Cosa?»

«A fare pompini fino a soffocare, farti pisciare in bocca, finire strangolata durante l’amplesso…»

«Cosa?»

Feci una pausa a effetto.

«Racconta! Dimmi tutto!»

«Peter van Benschop fa film molto particolari. Prova a cercare su Google il nome “Pissing Peter”. Non posso dirti altro. Dovere di segretezza e riservatezza.»

«Mmm. È bello, almeno?»

«Se ti piacciono i tipi alla Geraldo Rivera».

«Per dirti la verità, preferisco gli uomini mediterranei con mani sottili ed eleganti. Solo che a loro non piaccio io, e non è il massimo sentire la loro eccitazione sulle mie rotule mentre li bacio. E la tua vita sessuale, come va?»

«Un disastro».

«Oh, andiamo. Proprio tu, che incontri sempre uomini bisognosi di aiuto? Se vuoi il mio parere, avvocato e igienista dentale sono le professioni migliori per agguantare un uomo».

«Piantala!»

«Uomini in situazioni disperate che si affidano completamente a te, vulnerabili e spaventati, desiderosi di sicurezza e affetto».

«Posso assicurarti che, di solito, l’idea di una relazione sentimentale non li sfiora neppure».

«No, tesoro, non sfiora te. Da quando hai avuto tuo figlio, non pensi più agli uomini. Sveglia! Sei giovane, carina, indipendente, spiritosa, e non hai tare fisiche evidenti. Tra dieci anni Aaron non avrà più bisogno di una madre che gli sta addosso, sarà tutto preso dalle moto e dalle ragazze, e tu penserai: cosa cavolo ho fatto in tutti questi anni? Perché non provi a conoscere qualcuno su internet?»

«Ti prego!»

«Se vuoi il mio parere, non sei felice».

Alzai le spalle.

Binnie mi guardò preoccupata: «Va tutto bene?»

Mi strinsi di nuovo nelle spalle. «Problemi con Aaron. Ho paura che si farà sbattere fuori dall’asilo».

«Come mai?»

«Lascia perdere. Sono contenta di poter pensare ad altro, in questo momento».

Binnie mi posò una mano sul braccio: «Andrà tutto bene».

«È quello che mi ripeto anch’io». Solo che è sempre più difficile, aggiunsi tra me.