Lawrence mi propose di andare a fare un po’ di moto con lui in Vondel Park. «Mi sento troppo irrequieto oggi per stare seduto. E poi ho i pantaloni che mi stringono, e le diete non fanno per me».
Lungo la strada, guardandolo in faccia, capii che era contrariato.
Una volta giunti nel parco, esordì: «Cosa ti è venuto in mente di aggredire Asscher in quel modo? È il contabile della famiglia Van Benschop da sempre. Non capisci che ci facciamo una figuraccia?»
«Ma come facevo a sapere che era il contabile di Van Benschop?»
«Ricerche!» sbottò. «Non ti avevo detto di svolgere ricerche?»
«Mi dispiace. L’ho appena scoperto. Ma ribadisco che aveva un ottimo movente».
«Non lo voglio sapere. Voglio solo che non ti avvicini mai più né a lui né alla famiglia Van Benschop. Ora, per tornare alla tua ricerca del colpevole…» Ansimando, cominciò a illustrarmi le sue conclusioni dopo la lettura del rapporto. Facevo fatica a stargli dietro. «Il numero di testimoni oculari è molto basso, come hai già osservato tu stessa, e Boelens è stato chiaramente costretto a rilasciare quella dichiarazione. Visione miope!» esclamò, con un gesto ampio del braccio. «Dovrebbe essere il mantra di ogni avvocato penalista del xxi secolo».
Annuii, evitando per un pelo una grossa pozzanghera.
«Vi sono, però, indizi molteplici che suggeriscono il coinvolgimento di Boelens nel doppio omicidio Angeli. Tanto per cominciare, era presente sulla scena del delitto. Questo è confermato senza il minimo dubbio dalle analisi della scientifica; stiamo parlando di una traccia di sangue che porta dalla loro casa alla sua». A un tratto Rence si fermò e si chinò in avanti, le mani sulle cosce, senza fiato.
«Forse dovremmo rallentare un po’. È importante, quando si fa sport, per conservare l’energia» suggerii.
«Non esiste». Rence si raddrizzò. Era rosso in viso e i capelli scompigliati dal vento lasciavano intravvedere la chiazza pelata sul capo. «Domani porto le scarpe da ginnastica. Veniamo a correre tutti i giorni, da oggi in poi».
«Fantastico!».
«Mi prendi in giro?»
«No davvero».
Rence accelerò di nuovo. Il parco era quasi deserto, anche se quel giorno era uscito il sole, per la prima volta da non so quanto tempo.
«Comunque, parliamo dell’arma del delitto: il coltello dell’Ikea. Il rapporto del medico legale non conferma in modo inequivocabile che l’arma del delitto fosse il coltello di Boelens. L’Istituto forense olandese afferma che le probabilità sono del settantadue per cento: non poche, ma non stiamo parlando del cento per cento. Oltretutto non hanno trovato traccia del dna delle vittime su quel coltello. È possibile che Boelens l’abbia ripulito alla perfezione, certo. Io stesso suggerisco sempre ai miei clienti di usare Brillo». Fece una pausa per lasciarmi il tempo di ridere alla battuta. «Ora, sanno tutti che i prodotti Ikea fanno schifo. Perché la lampada da scrivania Höteknöte costa così poco? Perché dopo avere passato un’ora in coda per comprarla, dura esattamente un giorno, due ore, tre minuti e quattordici secondi, prima di andare in tilt. Sarei pronto a scommettere che, se il coltello è stato usato per pugnalare qualcuno quattordici volte… È vero che gli esseri umani sono composti al sessanta per cento di acqua, ma abbiamo anche ossa alquanto dure e tendini assai resistenti, quindi…» Rence era così in affanno che diventava sempre più difficile capirlo.
«Rallentiamo» suggerii, «così potremo parlare normalmente».
«Non ne voglio sapere. Quindi, dicevo, posso immaginare che il coltello, dopo un simile uso, qualche danno l’abbia riportato: non so, la punta piegata o la lama un po’ allentata rispetto al manico. Forse dovremmo fare alcune prove per determinare i possibili effetti causati da un simile atto di violenza. Anche se…» Mi guardò accigliato: «Ipotizziamo che il coltello non sia l’arma del delitto: dovremmo ancora risolvere il problema della presenza di Boelens sul posto».
«C’erano altri residui su quel coltello. Un nome chimico complicato, che non ho avuto il tempo di scoprire cosa fosse» dissi.
«Oh, quello. Ho chiesto a qualcuno alla scientifica: è gomma vulcanizzata».
«Cosa?» Mi fermai di botto.
«Andiamo! Continua a camminare» insisté Rence senza rallentare.
Dovetti fare qualche metro di corsa per raggiungerlo. «Quella che si usa per gli pneumatici?» chiesi.
«Pneumatici, rivestimenti di gomma, cavi…»
Mi fermai di nuovo. «Non ci credo».
Questa volta Rence fu abbastanza umano da aspettarmi. Era cianotico.
«Sapevi che Boelens aveva tagliato le gomme dell’amante di Rosita poco tempo prima dell’omicidio? Se la gomma ritrovata sul coltello veniva da lì, non può essere l’arma del delitto».
«Perché?»
«Perché se avesse lavato il coltello con cura, per eliminare tutte le tracce di dna delle due vittime, non vi sarebbe rimasto il residuo di gomma. Sarebbe stato eliminato anche quello, no?»
«Interessante» ammise Rence. «Ma non sappiamo quanto è tenace il residuo di gomma. Forse è impossibile eliminarlo, anche strofinando con furia. E poi, non conterebbe come nuova evidenza».
«Perché?»
Rence scosse il capo infastidito e riprese a camminare, per fortuna a ritmo più rilassato. «Iris… non capisci? È già nel verbale del processo, solo che l’avvocato difensore non si è mai preoccupato di approfondire. Un’idiozia, da parte sua; e un vero peccato per Boelens. Ma per noi è del tutto inutile. Mi interessa, invece, approfondire il discorso della presenza di Boelens sulla scena del delitto. Cosa ci faceva lì?»
«Non l’ho ancora capito. È un uomo di poche parole».
«Forse dovrei fargli visita».
«Non sono sicura che sia una buona idea. È estremamente introverso. Non ha voluto dire neanche al suo psichiatra cos’è successo. Si limita a ripetere che è innocente».
Rence mi scrutò con attenzione: «C’è forse un altro motivo per cui non vuoi che vada a trovare il signor Boelens?»
Mi sentii avvampare. «No, cosa vuoi dire?»
«Niente».
Mi chiesi se fosse meglio confessare che Ray era mio fratello. Forse Rence lo sapeva già. Ma come era possibile? Per stare sul sicuro esclamai, restando vaga: «Ne ho tante, di ragioni. Mi conosci».
«Non preoccuparti. Ti aiuterò comunque per l’appello di tuo fratello» ribatté con disinvoltura.
Trasalii. Avrei dovuto immaginarlo. «Come fai a saperlo?»
Mi posò una mano sulla spalla con fare paterno: «Avanti, torniamo in ufficio». Dopo qualche passo tolse la mano e aggiunse: «L’ho capito non appena ho saputo il cognome».
«Boelens?»
«Esatto».
«Lo sai da allora?»
«Certo». Sembrava molto soddisfatto di sé.
Cercai di trovare la connessione, ma non ci riuscii. «Ma non abbiamo lo stesso cognome. Conosci mia madre, allora?»
«Non posso rispondere alla domanda. Dovere di riservatezza».
«Oh, andiamo! Come fai a sapere il cognome da nubile di mia madre?»
«Non dimenticare che sono avvocato da molto tempo, e lo stesso vale per Martha. Ne conosciamo di persone, messi insieme».
«Quindi, conosci mia madre».
«Non proprio. Diciamo che conosco certe persone che conoscono lei, e così…»
Mi venne in mente la strana conversazione che avevo avuto con Martha poco tempo addietro. Cos’aveva detto? Che non avevano avuto molta scelta ed erano stati costretti ad assumermi. Mia madre c’entrava qualcosa? No, era ridicolo. «Dimmelo. Non puoi farmi questo».
«Forse non avresti dovuto omettere di precisare che il nuovo cliente è il tuo fratellastro. Com’è che avevi detto? “Sarebbe prestigioso per lo studio” o qualcosa del genere. Per tutto questo tempo ho sperato che me lo dicessi».
Cosa potevo ribattere?
Tornammo in ufficio in silenzio. «Sei perdonata, ragazza mia» mi disse prima di entrare. «Perdonata un’altra volta». Sospirò, come se la mia carriera da Bartels & Peters fosse stata una successione ininterrotta di bugie e inganni.
«E adesso?» chiesi, una volta arrivati in mezzo all’atrio, dove io avrei preso le scale per salire e lui avrebbe girato a sinistra verso il suo ufficio.
«Va’ avanti. Mi informerò presso la scientifica riguardo alla tua teoria sulla gomma. Tu dovrai far parlare Boelens del giorno del delitto. Cosa ci faceva lì? Perché se n’era andato dal lavoro prima del solito, quando di norma usciva alle quindici? Dobbiamo saperlo».
«È molto difficile strappargli informazioni. Sembra perfino che non segua i miei discorsi, a volte».
«È un altro ostacolo da superare. Penso che mi piacerebbe incontrarlo prima di investire altro tempo ed energia in questo caso. Non perché ritenga di riuscire a comunicare con lui meglio di te, ma perché fa sempre comodo avere una seconda opinione. Soprattutto, se tu rischi di essere troppo coinvolta emotivamente. Ecco la ragione della nostra regola: non accettare mai un membro della famiglia come cliente».
«Organizzerò tutto perché tu possa venire con me, la prossima volta» promisi.
«Perfetto». Rence si allontanò con un elegante cenno del capo.