55. Ray

Sembrava quasi di essere nel mio acquario, laggiù, a quattto metri sotto la superficie. Solo che lì era tutto molto più grande e potevi vedere più lontano, molto più lontano. Mentre nuotavo, cominciai a dare dei nomi ai pesci: «Ehi tu, piccolo pesce zebra, cerchi di svignartela, ma ti vedo. Ti chiamerò Hank. E tu, pesce pagliaccio, che mangiucchi il corallo, ti chiami Rembrandt».

Avevo fatto immersioni ogni giorno, da quando ero arrivato. Stavo sott’acqua fino a quando l’istruttore toccava l’orologio, per dirmi che il tempo era scaduto ed era ora di risalire.

Fu allora che lo vidi: un pesce angelo regina di un blu e giallo smaglianti, con una bellissima macchia a forma di corona sulla fronte. «Ti chiamerò Rosita». Pensai alla lettera che il dottor Römerman mi aveva chiesto di scrivere. Non ero mai riuscito a finirla, ma lì nell’oceano seppi cosa avrei voluto dirle: «Non avrei mai voluto che accadesse qualcosa di brutto a te e ad Anna. Ti amerò sempre».

Non mi dispiaceva risalire. Sapevo che Iris, Mo e Aaron mi aspettavano al negozio di subacquea. Poi tutti e quattro saremmo tornati in spiaggia, e Aaron e io avremmo costruito castelli insieme, proprio come facevo un tempo con Anna, solo che questi erano fatti di sabbia e non di Lego. Poi avrei giocato a racchettoni con Mo o fatto una nuotata con Iris Kastelein, che era indubbiamente mia sorella, fino alla piattaforma che si trovava al centro della baia.

Saremmo rimasti seduti là per un po’, con le gambe a penzoloni nell’acqua, il viso rivolto al sole che tramontava, fino a vederlo scomparire nell’acqua. Iris diceva che quell’ora del giorno si chiamava “l’ora magica”.

Dovevo chiederglielo: «Allora, noi siamo una famiglia, adesso?»

Lei mi guardò con i suoi occhi chiari con un cerchio nero attorno all’iride, proprio come quelli della mamma, ma molto più dolci, e disse: «Credo che una famiglia sia composta da un padre, una madre e dei figli. Noi non siamo così. Però siamo legati. Siamo parenti».

Mi guardai i piedi.

Poi Iris disse: «Ma perché mi complico la vita? Certo che siamo una famiglia. Forse non una famiglia come le altre, ma di sicuro siamo fatti per stare insieme. Cosa ne pensi?»

Mi schiarii la voce: «Ho sempre voluto avere una famiglia».

«Anch’io» disse lei. «Anch’io».