16.
Robert, con l’annaffiatoio in mano, esitava davanti al vaso del banano.
Di solito era il suo amico René a occuparsi del giardino, in estate. Passava una o due volte a settimana per annaffiare prato e fiori. Al banano dava l’acqua ogni volta?
Robert aveva sempre avuto difficoltà a prendere decisioni. Sia per le faccende importanti che per i piccoli dilemmi di tutti i giorni, si rimetteva a Solange. Le malelingue dicevano che nella coppia era lei a portare i pantaloni. E allora? Solange sapeva quel che faceva! Ancora oggi chiedeva sempre l’opinione della moglie. E talvolta lei gli rispondeva. Era lei che gli aveva consigliato di andarsene dal campeggio e tornare nella loro casetta di Gien. Ancora una volta aveva avuto ragione. Si sentiva meglio da quando era rientrato.
Robert decise di abbeverare innanzitutto i fiori. Gli ci vollero tre annaffiatoi. Alla fine, visto che ne restava qualche goccia, le versò nel banano.
Con Solange avevano comprato quella casa all’inizio degli anni Sessanta. Una famiglia operaia all’epoca poteva trovare una sistemazione confortevole. Con un piccolo finanziamento. Dopo, ci aveva pensato l’inflazione a rosicchiare gli stipendi. La casa non era molto grande, ma aveva tre camere. All’inizio Solange non lavorava. Poi una volta cresciuti i figli si era messa a fare le pulizie, e pur senza navigare nell’oro avevano finalmente avuto una vita facile. Robert aveva l’impressione che ai figli non fosse mancato nulla. Né amore né soldi. Avevano potuto studiare come e quanto avevano voluto: Paul e Gérard, che non amavano la scuola, avevano deciso di fermarsi dopo il diploma, mentre Florence aveva preso una laurea in lettere prima di andare a insegnare francese in una scuola media. E in quella casa tutti avevano vissuto felici.
Era lì che era morta Solange. La malattia aveva avuto la meglio nel giro di pochi mesi. Una semplice visita di controllo dal medico, e la loro vita era cambiata. Cure pesanti e dolorose, lunghi ricoveri in ospedale, la loro tranquilla felicità era terminata ben prima della sua agonia. Qualche giorno prima che morisse lui l’aveva fatta dimettere dall’ospedale. Contro il parere dei medici. Forse era stata l’unica decisione che avesse preso da solo in vita sua. Ne era fiero. Solange era morta a casa. In quella casa dove anche lui desiderava morire.
Ci pensava spesso.
Le notti erano difficili da sopportare. Durante il giorno aveva le sue occupazioni. Le faccende domestiche, la spesa, il giardino, i cruciverba, la passeggiata lungo la Loira, il bicchiere di vino bianco al bancone del bistrot di Eugène. E poi, di sera, la tv. Le piccole abitudini lo facevano andare avanti.
Ma la notte...
Nel buio e nel silenzio della sua camera, l’angoscia sepolta durante l’intera giornata in fondo alla pancia riprendeva possesso di lui. Non riusciva ad addormentarsi senza due o tre sonniferi e qualche bicchiere di Banyuls. La miscela era pericolosa.
Il sonno era sempre agitato. Fitto di brutti sogni. Si svegliava spesso. E ogni volta realizzava che la realtà era ancora peggio del più nero dei suoi incubi. Certe notti erano così spaventose che Robert non si svegliava più alle quattro del mattino.
Ripose l’annaffiatoio in garage accanto agli attrezzi da giardinaggio. Erano le sette di sera, ovvero l’ora del tg regionale. Rientrò in casa, si mise in poltrona. Il collo sull’apposito poggiatesta, le gambe sollevate sul pouf, guardava distrattamente le immagini che scorrevano. Ogni giorno era più o meno uguale agli altri. Lo stesso tono, lo stesso ritmo, le stesse parole. Solo le voci cambiavano. Quelle a cui era abituato ora erano in vacanza.
Il telefono squillò proprio alla fine del telegiornale. Florence. Si sforzò di rassicurarla. «Sì, sì, sto meglio». Pesava le parole per essere credibile. «Un po’ meglio». Le disse ancora una volta che aveva fatto bene a decidere di tornare, che a casa sua stava bene, che tutto si sarebbe aggiustato e che avrebbe dimenticato. Già riusciva a dormire di più.
«Pensa un po’, Flo... stamattina mi sono svegliato alle sette».
Sperava di essere convincente. Non voleva che la figlia si preoccupasse. Florence, la sua piccolina, la figlia tanto desiderata dopo i due maschi. Per lui era come se non fosse mai cresciuta. Gli sembrava ancora così fragile e vulnerabile.
«E tu come stai? La gravidanza ti stanca?».
Non era passato poi così tanto tempo da quando era andata via di casa. Studi a Orléans, un primo incarico da insegnante a Montargis, aveva preso il largo solo col matrimonio. La sua partenza per Parigi era stata una ferita. Per lui e per Solange.
«Magari tornerò a trovarvi verso la fine dell’estate» le disse.
La figlia sembrò credergli. Anche Robert, per un momento, si lasciò convincere dal potere delle parole. Stava meglio, poteva guarire, e avrebbe passato se non l’estate, perlomeno l’autunno ad Argelès. Ma quando riattaccò il malessere gli fece girare la testa. Una risata limpida e brutale coprì la voce dolce di Florence. Fu costretto a sedersi sul pavimento fresco dell’ingresso. La vista gli si confuse. Due occhi azzurri lo fissarono. Non erano quelli della figlia. Intravide un viso circondato da capelli biondi imbrattati di sangue, un viso che rideva malgrado l’atroce assenza della bocca.
Robert sapeva che non sarebbe mai guarito.