29.
Da quanto tempo girava in tondo in quella prigione? Venti minuti, un’ora, due giorni, un mese? Aveva perso la nozione del tempo. Solo la doccia e i pasti davano un ritmo alla sua solitudine. Le notti, i giorni erano tutti uguali: ore interminabili che lei trascorreva più che altro stesa su quel vecchio materasso umido, tra veglia e sonno.
L’angoscia e la noia l’avevano resa bulimica. Tutto quello che il suo carceriere le portava da mangiare, lo ingoiava senza lasciare una sola briciola. Attento, lui aveva aumentato le porzioni senza riuscire però a saziarla. Avrebbe mangiato all’infinito. E senza fame. Pensava di essere ingrassata di almeno tre chili. Si sentiva gonfia.
Pesante come una scrofa all’ingrasso.
Non aveva bisogno di specchi o bilance per constatare i danni. I rotolini sulla pancia erano la prova più lampante. Quei salsicciotti intorno alla vita le erano familiari: di tanto in tanto tornavano a farle visita. A ogni esame e nei momenti di tristezza amorosa.
Aveva deciso di fare un po’ di moto. Aveva cominciato con degli esercizi di riscaldamento. Allungamenti delle braccia, movimenti per sciogliere la schiena, poi saltelli sul posto. Si era ritrovata presto a corto di fiato. Aveva sempre avuto un rifiuto per l’attività fisica.
Si diede tempo di recuperare un po’ camminando in lungo e in largo prima di darsi a una serie di addominali. Il dolore fece capolino quasi immediatamente, ma strinse i denti. Si ricordava dell’ultima volta in cui aveva provato una sofferenza simile. Aveva sedici anni ed era innamorata – come tutte le sue amiche – di un liceale ben piantato, campione regionale di ginnastica. Le ragazze ammiravano quei muscoli guizzanti e i pettorali accentuati, ma Ingrid era catturata soprattutto dal suo passo felino. Nei corridoi del liceo lui si spostava con lentezza, con passo potente e morbido. Sembrava quasi che le fila degli studenti si aprissero davanti a lui come il Mar Rosso davanti a Mosè. Ingrid aveva convinto un’amica ad accompagnarla e si erano iscritte nella sua stessa palestra. Durante il primo – e unico – allenamento, si era sottoposta a quella sessione di torture addominali senza riuscire ad attirare un solo sguardo del campione. L’amore nascente non aveva resistito all’atroce indolenzimento che ne era seguito. La sua amica era stata più tenace e a Ingrid pareva di ricordare che a un certo punto lei fosse finita nella lista delle favorite dell’eroe.
Dopo gli addominali, Ingrid si mise a camminare per la cella.
Cinque passi in un senso, mezzo giro di fronte al muro, cinque passi nell’altro senso.
La testa le girava, ma non voleva fermarsi.
Cinque passi in un senso, mezzo giro di fronte al muro, cinque passi nell’altro senso.
Girava nella sua gabbia immaginando che ogni passo la portasse più vicina ai suoi genitori. Papà... Mamma... Le parole le sfuggivano dalle labbra. Senza che neppure se ne rendesse conto.
La testa le girava sempre di più, la nausea saliva, ma non poteva più fermarsi.
Cinque passi in un senso, mezzo giro di fronte al muro, cinque passi nell’altro senso.
Si disse che, se un giorno fosse riuscita a evadere da quella cantina, doveva essere in grado di camminare per cento chilometri per sfuggire al suo aguzzino. Un’idea assurda... ma che importava?
Cinque passi in un senso, mezzo giro di fronte al muro, cinque passi nell’altro senso.
Finalmente aveva l’impressione di fare qualcosa di utile.
Doveva aggrapparsi a quello.
Cinque passi in un senso, mezzo giro di fronte al muro, cinque passi nell’altro senso.