Epilogo
La casa era silenziosa, ma aveva ritrovato la sua anima.
Gilles appoggiò sulla tavola della cucina una baguette fresca, un sacchetto di carta con dentro due cornetti caldi, e un quotidiano nazionale. Aprì la portafinestra del soggiorno e uscì in terrazza. Il gatto della vicina venne a strofinarglisi contro le gambe con un miagolio rauco.
«Hai fame? Dovresti tornare dalla tua mammina, sarebbe meglio per tutti. Lo sai, tra me e te non durerebbe a lungo».
Con piede fermo allontanò il gatto, poi avanzò nel giardino. Il cielo era di un azzurro spietato. Faceva già caldo. Gilles si accosciò a bordo piscina e sollevò il coperchio dello skimmer. Bisognava rimetterci il cloro.
Tornò verso casa e il gatto, gettandosi tra le sue gambe, per poco non lo fece cadere. Dal frigo tirò fuori del latte. Se ne versò un bel bicchiere. Ne versò anche qualche goccia su un piatto che mise fuori in terrazza.
Pian piano aprì la porta della stanza. Il sole filtrava nonostante le tende. Un raggio tracciava una linea dorata dalle spalle di Claire fin giù lungo la schiena. Gilles si sedette accanto alla moglie e fece scivolare il dito seguendo la linea disegnata dal raggio. Claire girò la testa verso di lui, aprì gli occhi e gli sorrise.
Il dito risalì fino al viso. Accarezzò il mento rotondo. Si fermò sulle labbra e ne seguì il contorno.
«Hai dormito bene?» chiese Gilles.
«Benissimo. È proprio bello essere a casa».
Lui annuì pensoso. Il dito sfiorò le rughette scavate sulle guance dal sorriso.
«E tu, hai dormito un po’?».
«Non tanto».
Il dito si fermò nell’incavo tra le labbra rosa e il naso appuntito. Lei appoggiò la mano sulla sua e lo invitò a continuare ad accarezzarla.
«Che hai fatto?».
Seguì il contorno del naso fino al punto morbido tra gli occhi. Accarezzò le palpebre. Scivolò sulle tempie. Si fermò sul lobo di un orecchio. Poi tornò alla bocca.
«L’ho ritrovata».
Sentì tremare le labbra di Claire. Il dito accarezzò le guance tonde. Risalì fino agli occhi.
«L’ho portata all’ospedale. Vivrà».
Attorno agli occhi le zampe di gallina si distesero. C’era solo amore negli occhi neri che lo fissavano.
No, quello sguardo non poteva mentire.
Sentì che la vista gli si confondeva e chiuse gli occhi.
Claire si mise seduta nel letto. Avvicinò le labbra agli occhi di lui e bevve quelle prime lacrime.
«Ti amo» sussurrò.
Avevano divorato i due croissant e della baguette erano rimaste solo le briciole. Le pagine del quotidiano conservavano le tracce di quell’orgia mattutina. Burro, marmellata e un po’ di miele sulla pagina della cultura.
Claire si stirò con voluttà, come una gatta al sole. Gilles riempì due grandi tazze con un caffè dagli aromi fruttati e dolci. Un caffè colombiano. Léo aveva chiamato mentre erano sotto la doccia. Aveva lasciato un messaggio. Non sarebbe più andato a Tolone. Aveva litigato con l’amico. Quindi sarebbe rientrato di lì a due giorni, come previsto.
«Non passerà mica tutta l’estate qui?» fece Claire.
«Rischia di essere un po’ lunga» confermò Gilles.
«Certo che se non resta qui...».
«Non se ne parla proprio che Séverine rimanga da sola a casa».
Claire sembrava entusiasta quanto Gilles a quella prospettiva. Un’estate, ancora un’estate. Tutti insieme.
«Che cosa proponi?».
«Tutti in macchina, valigie nel bagagliaio e partiamo».
Coi gomiti sul tavolo, Claire appoggiò il mento tra le mani.
«Per dove?».
«Andiamo a trovare i tuoi?».
La luce si spense nel suo sguardo. Claire si raddrizzò e incrociò le braccia.
«Sto scherzando... Mi piacerebbe andare in Europa centrale: Vienna, Praga, Budapest...».
«Varsavia?».
«Si vols...».
«È polacco?».
«Più o meno».
«Sei sicuro?».
«Be’, l’altro giorno a Le Perthus ho incontrato un camionista polacco che parlava così».
«Non è molto vicino...».
«Per chi è impassibile nulla è arduo».
Lei aggrottò le sopracciglia. Fece una smorfia.
«Cretino, non significa nulla!».
«Lo so, ma mi piace. A te no?».