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Il giorno dopo è venuta a prendermi la lancia taxi, che mi avrebbe portato dall’albergo all’aeroporto di Venezia.

Sulla lancia mi sono messo in piedi, volevo accomiatarmi da Venezia prestando tutta la mia attenzione a ciò che i miei occhi stavano vedendo.

Ho guardato il pilota della lancia e l’ho invidiato.

Il pilota mi ha detto in spagnolo che gli piacevano le mie scarpe. Allora ho ricordato la sera in cui c’era stata acqua alta, e che l’unica mia ossessione era stata salvare dall’acqua le scarpe che mi aveva regalato Mo.

Mentre cenavamo in un ristorante, l’acqua saliva. All’uscita, gli addetti del ristorante mi hanno fornito degli stivali di plastica che mi arrivavano all’inguine. Ho avuto paura. Sono uscito in strada e lo spettacolo era di un profondo silenzio. Bisognava camminare molto piano. La mia ossessione erano le scarpe, che non succedesse niente alle mie scarpe. Quelle scarpe simboleggiavano la mia vita.

Spostavo l’acqua camminando, lentamente.

L’acqua stava salendo. Se ti distraevi e camminavi, per effetto dell’oscurità della notte, fino a un canale, rischiavi di precipitarci dentro. Rischiavi di morire affogato. Perderti nella notte, che confonde oscurità e acqua.

Mi sono ricordato del fiume Cinca, quel giorno del mio compleanno, tanto tempo fa.

Una persona che era con me si è confusa e ha cominciato a camminare verso il canale invece di farlo rasente alle case. Le ho subito preso la mano. Le ho detto che da quella parte no.

Quando si è resa conto che l’avevo salvata da una caduta in acqua, mi ha abbracciato.

Sono riuscito a salvare le scarpe.