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Mio caro Cary Grant, devo raccontarti una cosa molto personale, che mi ha reso sventurato nel corso della vita e che tuttavia è stata il fondamento del nostro profondo amore.

Tu volevi che io arrivassi da qualche parte nella vita, come ogni padre. C’erano due cose che quando ero bambino mi riuscivano particolarmente bene: sciare e nuotare. Io volevo che ti sentissi orgoglioso. Quando avevo dieci anni, mi iscrivesti a una gara di nuoto in una piscina appena inaugurata. Succedeva nel 1973. Era la prima piscina del paese. E organizzarono delle gare. Mi iscrivesti alla prova dei cento metri stile libero.

La gara iniziò e nei primi cinquanta metri riuscii a stare in testa, ma mi mancarono le forze, e nei successivi cinquanta metri cominciai a rallentare il ritmo, arrivai a bere acqua e finii quarto dei sei ragazzi in gara.

Non avevo abbastanza resistenza fisica.

Fu un triste quarto posto.

Mi sentii molto deluso, perché in qualche modo tornavamo al silenzio, al fallimento.

Non che tu pretendessi nulla da me; era soltanto una speranza. La speranza di fare qualcosa nella vita. Lì la vidi per la prima volta, la speranza di arrivare a qualcosa, quel giorno di luglio, primi di luglio del 1973. Era domenica. E quel giorno la piscina era in festa. Era venuta molta gente a vedere le gare. Diedero delle medaglie. Io non ebbi nessuna medaglia. Rimasi a guardare i miei avversari, che s’ingigantirono ai miei occhi. Loro sì che avevano ottenuto l’orgoglio dei loro padri. Soltanto un posto e sarei arrivato terzo e avrei avuto la medaglia, ma non ce n’erano per chi arrivava quarto.

La cosa perversa o ironica fu che quei bambini della mia età che ebbero la medaglia non suscitarono l’entusiasmo dei loro padri, e questo attirò la mia attenzione. I loro padri mostravano una naturale indifferenza. Allora mi resi di nuovo conto che eri enormemente speciale. Mi resi conto di avere un padre diverso. E che quell’originalità poteva farci molti danni, cosa che finì per succedere e succede in questo stesso istante, mentre scrivo queste parole.

La stessa cosa successe con lo sci, solo che in quello sport riuscivo meglio. Com’è naturale, potei andare a sciare finché le cose a te andavano bene, vale a dire fino al 1975 o agli inizi del 1976. Perché era uno sport costoso. Anche nello sci mi iscrivesti a delle gare. Immagino che sapessi che tutto nella vita è un’interminabile competizione. Cercavi di dirmi questo: che la gioia dipendeva dal successo in migliaia e migliaia di competizioni che un essere umano deve affrontare nel corso della vita.

È curioso, papà, che io ti cerchi e ti desideri nel momento in cui eri giovane, nel momento dei tuoi quarant’anni passati da poco. Perché nel momento in cui avevi quarant’anni passati da poco eri un imperatore della vita, e fu quell’imperatore che vidi, fu di lui che m’innamorai. La vita che ti do in queste pagine che scrivo è tutto ciò che posso fare per noi due, per il recupero nobile e selvaggio del nostro amore profondo, perché esiste l’amore profondo tra un padre e un figlio. È un amore che sa di sfida. Il suo atteggiamento di fronte allo scorrere del tempo e di fronte allo scorrere delle nuvole, dei mari, dei paesi e degli imperi è quello della sfida. È un amore che non si risolve nel presente; proprio qui volevo arrivare a soffermarmi, qui, su questa affermazione così profonda: non si risolve nel presente, ma si nasconde dal presente; accade nel presente, ma la sua grandezza e la sua profondità non sono visibili nel tempo presente; la sua visibilità appartiene al regno del futuro.

Vale a dire che si rende visibile oggi, in questo 2019.

Si è appena reso visibile in questo istante.

Quante cose risolve la morte. Perché finisce per essere una restituzione di ciò che c’era prima della vita: la purezza. Questo ho sentito due giorni fa a Venezia: la restituzione della purezza, che è dove stai tu, e il luogo verso cui vado.

Mi andò meglio là, sì, nello sci. E ti diedi qualche gioia perché una volta vinsi una medaglia d’oro in un campionato provinciale. E tu eri straripante. E ti piaceva che ti raccontassi la storia di come avevo vinto. Era il 1974. Nessuno puntava su di me, nessuno riponeva speranze in me, perché ero appena entrato nella squadra agonistica. E tuttavia, vinsi. Altri sciavano più veloci di me, ma caddero. Avrebbero potuto battermi se fossero stati più calcolatori o più prudenti. Penso che tu ti rallegrassi per questo, per il fatto che io avessi saputo rendermi conto della virtù di calcolare i miei limiti, pensasti che quella prudenza mi sarebbe stata utile nella vita. Non è stato così. Credo che non sia stato così. Ma ti piaceva tanto che ti raccontassi come gli altri, fiduciosi nella loro abilità, avevano perso l’equilibrio ed erano finiti a terra, nella neve...

Io resistetti per cautela e vinsi, ma poi, un anno dopo, cambiai categoria e lì la mia carriera di sciatore andò in pezzi. Non dicesti nulla. Ma quella delusione mi restò impressa dentro.

Le delusioni non muoiono mai. Durano tutta la vita. Al massimo diventano silenziose e si mummificano, ma stanno lì. E le delusioni vecchie si alimentano di quelle nuove e formano una grande famiglia. E infatti sono arrivati altri disinganni che si sono sommati a quelli vecchi. Come se le frustrazioni avessero dei figli.

Penso a quanto sarebbe stata grande la tua felicità se fossi riuscito a diventare uno sciatore olimpico, se avessi vinto una medaglia d’oro in un’olimpiade invernale.

Ma non è successo.

Facevo tutto per te, e credo che quella sia stata la migliore dimensione della mia vita, la cosa migliore che ho fatto nella vita è stata procurarti un sorriso. Credo che quel desiderio di renderti felice grazie ai miei piccoli successi sia il meglio del mio cuore. Credo che il mio contributo alla storia della bontà umana sia stato quello. Credo di essere stato in quegli istanti una persona buona.

Per me, la tua felicità era la felicità del mondo.

Non sai ciò che significa per me in questo istante della mia vita poter pensare che in qualche momento della tua ti ho aiutato a conquistare il palazzo della gioia.

Non sai quanto ti ho amato attraverso il tempo, attraverso tutto, e quanto ti amo adesso, in questa situazione in cui sono immerso, in questa vita piena di confusione, e tuttavia dietro questa confusione dei miei cinquantasei anni appari sempre tu in lontananza, molto in lontananza, avvolto in oscurità e sangue, in oscurità e labirinto.

E mi dici: «Sono io, sono tuo padre».