Mi sto preparando bene alla morte, penso. Mi risulta incomprensibile pensare il mondo senza di me, e allo stesso tempo mi affascina pensare il mondo senza di me, mi seduce e mi abbellisce e mi eleva e mi esalta e mi nobilita. Fa sì che mi renda conto che non so chi sono né perché sono venuto alla vita né a che scopo. Dubito perfino di essere venuto.
Forse per questo ho contrattato con un istituto bancario una carta di credito, che costa ottanta euro all’anno, ma in cambio mi dà seicento punti che posso convertire in biglietti del treno. Quest’idea della conversione mi mette di buon umore, perché con quei punti posso comprare i biglietti del treno ai miei figli in modo che vengano a trovarmi a Madrid. Mi piace comprare biglietti del treno per loro.
Compro biglietti del treno ad alta velocità in modo che vengano a trovarmi a Madrid. Li vado a prendere alla stazione di Atocha. È una liturgia, è il mio modo dorato di andare a messa, di andare in una chiesa. La stazione di Atocha per me è una cattedrale, è come San Pietro a Roma. Mi appoggio alle ringhiere che si trovano alla fine delle banchine degli arrivi e che fanno da frontiera tra quelli che scendono e quelli che aspettano. È uno spettacolo vedere arrivare le persone, vedere come si abbracciano e si baciano. Mentre aspetto i miei figli, guardo gli altri.
Mi metto a guardare l’intensità con cui la gente si saluta. Immagino i legami dal tipo di abbracci, dai baci, dai sorrisi.
La zona degli arrivi della stazione di Atocha mi commuove. Si vede il mondo, lì. Aspetto Bra, che magari è in ritardo di tre minuti, e in quei tre minuti ci entrano tre milioni di emozioni. È in ritardo, ma ho la certezza che arriverà perché ho appena ricevuto un whatsapp in cui mi dice che è sceso dal vagone. Eppure non arriva.
È un momento d’oro quell’attesa, di grande speranza.
Passo la vita a consultare su internet il saldo dei miei conti, per paura che arrivi un giorno in cui non potrò pagare quei biglietti del treno. Guardo i siti web, sempre più sofisticati, delle due banche in cui ho i miei soldi. Conosco benissimo le password, perché quelle password segrete sono i nomi dei miei figli: Antonio Vivaldi, una; Johannes Brahms, l’altra. Dubito che abbiano un altro cliente con password famigliari di così alto lignaggio. Lì c’è tutta la mia identità, in quei due siti web. Se quei due siti mi espellessero, anche il mondo mi espellerebbe.
Mi terrorizza rimanere senza soldi sulla soglia dei miei ultimi anni di vita.
Avrò bisogno di una casa, di cure, per andarmene da questo mondo in maniera dignitosa.
È per rispetto degli altri, non per me. È perché mai nessuno debba vergognarsi per colpa mia.
La brutta morte è una costruzione della nostra cultura. «È morto come un cane» dicono. Come se i cani sapessero distinguere i tipi di morte. È impossibile la libertà in questo mondo, perché gli altri giudicano sempre la tua vita. A me non importerebbe morire in un immondezzaio, circondato dai rifiuti e dalla miseria, congelato dal freddo se è inverno, o bruciato dal sole se è estate, perché la morte verrebbe a darmi sollievo.
Ma tengo da parte i soldi per morire con dignità, come dice la gente, e perché nessuno debba vergognarsi della mia brutta morte.
La morte non è brutta, l’abbiamo resa brutta noi.