Sono con mio figlio Valdi a Chicago. Siamo venuti da Iowa City in pullman. Passeremo la notte in questa città e domani voleremo a Madrid. Siamo alloggiati in un hotel del Loop. Si chiama La Quinta Inn e sta in South Franklin. Avevo visto delle recensioni su internet con eccellenti voti. Mi piaceva il pensiero di passare quasi due giorni da solo con Valdi a Chicago e alloggiare in un bell’albergo. Se quattro anni fa qualcuno mi avesse detto che Chicago sarebbe diventata una delle città più visitate da me, non solo non gli avrei dato minimamente retta ma avrei pensato che fosse un’idea ridicola quanto gratuita.
Perché Chicago?
È una bella domanda, non lo saprò mai. Mo vive nello Iowa, con lei sono venuto negli Stati Uniti, ma non a Chicago. Per lei sono andato nello Iowa, non a Chicago.
In questa città ci sono venuto più volte da solo.
L’avrei potuta evitare, non è necessario passare la notte qui per tornare a Madrid. Si può volare dall’aeroporto dello Iowa, che è quello di Cedar Rapids, e così si evita Chicago. Ma io non ho mai voluto evitarla. Preferisco affrontarla, stare con lei, perché è una città incomprensibile per me. È una città dura, senza concessioni.
Forse affrontarla e uscirne indenne mi inorgoglisce, il piacere di essere riuscito a sopravvivere, e con quell’orgoglio di chi ha vinto, torna l’illusione di essere ancora giovane.
Se ho sconfitto Chicago, non posso essere un vecchio.
No, non è questo. Dentro di me Chicago simboleggia la mia stessa solitudine, una solitudine scontrosa, e simboleggia il pianeta Terra, e io che cammino per il pianeta Terra, come in una distopia hollywoodiana.
Sì, la solitudine.
Chicago è identica alla costruzione della mia solitudine.
Se la mia solitudine fosse una città, sarebbe Chicago.
Siamo entrati nella stanza, al settimo piano. Era confortevole e grande, ma anche impersonale ed estranea, e dalla finestra si vedeva un grattacielo, le fondamenta di un grattacielo. Desideravo tanto la felicità, l’entusiasmo, la gioia di Valdi. Speravo che Chicago l’affascinasse, lo rendesse felice.
L’ho guardato, tentando di scoprire che impressione aveva della stanza. Dalla sua faccia sembrava buona.
Ci siamo lavati le mani e siamo rimasti per un po’ stesi sul letto. Si sentiva il rumore forte dell’aria condizionata. Ho visto che il termostato era acceso. Mi sono alzato e sono andato a spegnerlo.
Sullo schermo si è disegnato un enorme e chiaro «Off».
Mi sono steso di nuovo, a riposare ancora un po’.
Valdi stava scambiando messaggi whatsapp con qualche amico. Dopo alcuni minuti, il rumore dell’aria condizionata persisteva. Ho cercato di capire cosa stesse succedendo. Mi sono reso conto che c’erano due meccanismi: quello dell’aria condizionata, che ero riuscito a spegnere, e un altro che era responsabile del rumore.
Sono sceso alla reception, Valdi mi ha accompagnato.
Mi hanno spiegato che quel rumore proveniva dalla ventilazione dell’intero edificio.
«È in tutte le stanze. È per farle respirare aria di qualità» mi ha detto il concierge, che parlava spagnolo.
Mi ha detto che le finestre dell’albergo erano sigillate, per cui la ventilazione esterna era impossibile. E la città di Chicago obbligava ad avere quel tipo di ventilazione interna.
L’ho fissato. Poi ho guardato Valdi. Li ho visti entrambi: il concierge, che doveva avere ventiquattro anni al massimo; Valdi, che ne ha venti. Ho pensato al mondo stupido che avrebbero ereditato.
Non si possono aprire le finestre perché la gente approfitta degli alberghi per suicidarsi, è questo che il concierge non mi ha detto. La gente si suicida negli alberghi, si lancia dalle finestre. È un buon modo per risparmiare lo spettacolo alla tua famiglia o ai tuoi amici. Se ti suicidi in un albergo, non sei nessuno per tutti coloro che s’imbattono nel tuo corpo inerte lì, a pezzi sull’asfalto, con il collo spezzato e la bocca piena di sangue. Non sei nessuno per quelli della reception e nessuno per i passanti. Quando arriva la famiglia o chiunque arrivi, il cadavere è già da un’altra parte, è già stato seguito un protocollo che impedisce a coloro che avevano un rapporto umano con il cadavere di contemplare l’atrocità.
Questo finisce per essere l’unico problema reale del cuore degli uomini e delle donne: il rapporto che avranno con i cadaveri.