Ricordo che d’estate andavamo a fare il bagno nel Cinca, un fiume con acque di montagna, a otto chilometri da Barbastro. Una volta in quel fiume ho avuto un’allucinazione. Dev’essere successo nel 1974 o nel 1975. Stavo nuotando, immergendomi e toccando i sassi sul fondo. E decisi di ispezionare da solo tratti del fiume dove non ero mai stato. Indossavo delle scarpette di gomma e mi misi a camminare, allontanandomi dal punto in cui si trovavano i miei genitori e i loro amici, un’altra coppia con un bambino piccolo.
Quelle scarpe mi stupivano, perché per la mia mente di bambino significavano qualcosa di prodigioso, specialmente la prima volta che le usavo: permettevano di andare nell’acqua, erano scarpe immuni all’acqua. Può darsi che sia giunto il tempo di fare un elenco minuzioso di tutti i prodigi che ho contemplato nella vita, per quanto volgari o stupidi o assurdi possano apparire. Però mi innamorai di quelle scarpette. Quando me le avevano regalate avevo provato una tremenda gioia, e vorrei provarla di nuovo.
Vedevo il sole che s’infrangeva sulle acque del fiume Cinca, come un’esplosione che non avevo mai osservato. Mettevo i piedi in quelle pozze e guardavo le mie scarpette sott’acqua, e continuavo a camminare. Finché raggiunsi un punto allungato e remoto, come una piscina dove il fiume stagnava, perché c’era una specie di muro di contenimento, qualcosa di simile a una diga. E cominciai a addentrarmi in quello spazio di acqua serena, senza corrente, che però era sempre più profonda. E cominciai a nuotarci. Ciò che mi provocò una sensazione incancellabile fu la bellezza delle acque arginate.
Lì c’era una profondità tranquilla.
Oggi è il 19 luglio 2018 e compio cinquantasei anni. Non festeggio il mio compleanno. Mi mette a disagio questo giorno, perché non lo intendo più se non come la celebrazione di uno smantellamento, di un oblio, di una sconfitta di guerra. Ho visto mio padre nascondere la sua data di nascita e la stessa cosa ho visto fare a mia madre.
Sembravano senza tempo.
E ho finito per farlo anch’io. Non è che la nascondessero, piuttosto non la ricordavano neanche più. Nella mia famiglia non si è mai festeggiato né il compleanno di mio padre né quello di mia madre.
Non solo non si festeggiava, ma non si concepiva nemmeno l’esistenza di quel tale giorno. Perché lo facevano? Gli veniva dall’anima? O si erano allontanati da ogni festeggiamento per invocarne soltanto uno?
Era così, perché esisteva soltanto un compleanno: il mio. La storia di un uomo consiste nel festeggiare via via i propri compleanni finché arriva un momento in cui quel giorno si oscura e se ne va all’inferno.
Il mio compleanno non mi piace perché mio padre e mia madre sono morti. Sono stati loro a inventare quella data, e senza di loro quella data è polvere, vento, nulla.
Sono stati loro a trasformare il giorno del mio compleanno nel giorno più importante dell’universo.
E se loro non ci sono più, il giorno del mio compleanno è diventato una data oscura, devastata, lugubre, una rovina, una casa in demolizione.
Mi torna quel ricordo del fiume perché è successo il giorno del mio compleanno, quando il mio compleanno era un giorno grande e stupendo, perché lo rendeva grande mio padre. Lui sapeva come farlo. Andatosene lui da questo mondo, il mio compleanno è uno spettacolo decrepito e malsano. Umidità acre, disincanto indicibile, tristezza e silenzio, questo è la data del mio compleanno oggi perché né lui né lei ci sono più, soltanto per questo.
Tuttavia, esco a pranzo con Mo, la mia attuale moglie, e alcuni amici, e d’improvviso, al dessert, osservo perplesso che Mo ha comprato una candelina e l’ha messa in cima a un pezzo di torta, e la candelina è accesa, e mi fanno gli auguri di compleanno. Ringrazio perché si sono ricordati di me, e mi ricordo di mio padre. Ho la sensazione che sia stato lui a provocare questa sorpresa. L’ha fatto perché non mi crogioli nella mia malinconia, nella mia nostalgia di lui. L’ha fatto intenzionalmente. Ha voluto dirmi qualcosa dallo spazio spettrale in cui sopravvive. Mi ha detto questo: ci sono persone che ti amano.
Io desideravo che nessuno mi amasse, perché è impossibile che torni l’amore di mio padre, perché è impossibile essere di nuovo quello che sono stato, e la vita, attraverso la torta comprata da Mo, mi ha regalato un piccolo festeggiamento.
Nel giorno del mio compleanno mi diverto a mandare un whatsapp molto speciale a Valdi. È una specie di scherzo privato tra lui e me. Gli scrivo: «Ricordati di chiamare tuo padre per fargli gli auguri di compleanno». È quasi uno scherzo metafisico. Come se io non fossi suo padre. Come se fossi un amico che gli dà un consiglio. E quindi suo padre fosse una persona che non sono io. Lo faccio anche in date particolari, come il Natale o cose del genere. Mi piace molto fargli questo scherzo. Quasi lo faccio a me stesso. Credo di farlo per riposarmi dalla paternità. Ogni padre ha bisogno di riposare dalla paternità, probabilmente per tornare a essere soltanto figlio. Mi piace pensare che il padre di mio figlio non sono io, ma uno sconosciuto. Qualcuno che conduce una vita ai margini della normalità. Qualcuno di misterioso, qualcuno che è costantemente in viaggio. Qualcuno senza domicilio, ma che nonostante tutto merita una telefonata di auguri per il compleanno. Qualcuno il cui volto a stento saprei ricordare. Qualcuno che mi è indifferente, ma che merita gli auguri, non per lui, ma per chi ha l’obbligo di farglieli.
Come se dicessi a Valdi «hai l’obbligo di fare gli auguri a tuo padre, anche se non lo ami, o anche se lo temi, o anche se l’hai dimenticato, o anche se stai contemplando la sua lenta scomparsa, o anche se ti aspettavi di più da lui, o anche se ti ha deluso, o anche se alla fine è risultato essere una figura irrilevante, o anche se ti ha fatto del male, o anche se non ha saputo essere all’altezza».
Rivedo quel nuotatore di quarant’anni fa, lì, davanti a quell’ansa, e lo vedo nuotare, addentrarsi in quelle acque. E sono io, perché riesco ad arrivare a quel tempo del mio passato, a quel 19 luglio, in quel giorno perduto, e nuoto, e percepisco che quel posto è pericoloso, perché il Cinca ha i suoi misteri e di tanto in tanto si porta via gli esseri umani. Però non vuole che vada via con lui. Mi lascia godere delle sue fauci, delle sue cupe correnti, dei suoi sassi sott’acqua, del suo respiro da bestia.
Ho sempre adorato i fiumi.
In questo istante Mo sta dormendo. Si è addormentata perché ormai è quasi l’alba del 20 luglio, lei ha sconfitto la malinconia del calendario. Ha messo una candelina di compleanno lì dove io volevo collocare un monumento alla solitudine.
Mo è l’abbreviazione di Mozart, non l’ho ancora detto. E Mo è la mia seconda moglie.
E perfino Bra, il mio figlio maggiore, il mio amato Johannes Brahms, mi ha telefonato per farmi gli auguri.