Nella vita non c’è cosa più indifesa di uno scrittore. I migliori sono i più indifesi, i più bambini. Scrivono perché hanno paura.
Questo ho pensato stamattina, nella mia vulnerabilità. Mi sono svegliato a Cartagena de Indias, in Colombia. Sono venuto in questa meravigliosa città a parlare dei miei genitori morti, a parlare del romanzo che ho scritto su di loro.
E mi è successa una cosa quasi sovrannaturale: mentre camminavo in mezzo a una strada affollata di Cartagena de Indias, mi è sembrato che il tempo entrasse in un buco nero, e siccome faceva caldo, un caldo simile a quello del Mediterraneo nei mesi estivi in Spagna, ho avuto la sensazione che tornassero loro, i miei genitori, e che stessimo camminando per Cambrils nell’estate del 1975, e la sensazione è stata così reale che sono scoppiato a piangere.
Perché siete ovunque?
«Ci hai evocati in un libro, hai fatto questo, te ne vai per mezzo mondo a raccontare le nostre vite, chi sei tu per raccontare le vite dei tuoi genitori a migliaia e migliaia di estranei?»
Non sono estranei, sono brave persone.
«È vero, sono brave persone.»
Tutta l’umanità raggiungerà un giorno l’eccellenza, la bontà piena, e allora verrà un tempo nuovo sulla terra.
Vivo in un mondo popolato di spettri.
Continuo a camminare per le strade di Cartagena de Indias, sembra che rimbombi la vita, la gente canta, uomini e donne risplendono nel calore, la sera è felice, allegra, è venerdì sera, ci sono ristoranti, bar, piazze, risuonano chitarre e canzoni.
Lasciami vedere il cuore della vita, dico a mio padre.
«Ti ricordi della tauromachia?» risponde.
La vilipesa, la screditata tauromachia spagnola, sì, me ne ricordo.
«Tutto si basa sul picador, il suo obbiettivo è frenare via via la forza del toro, perché la sua forza è eccessiva, è ciclonica. Pensa alla tauromachia, è tutto lì.»
Ora in Spagna la gente odia la tauromachia, papà. Tutti la detestano, e anch’io. Non sopporto di veder soffrire un povero animale.
«Non si tratta di questo, cambia soltanto i protagonisti, contempla nel picador la forza del tempo. Il toro esce con un’energia insopportabile. La vita è insopportabile. La gioventù è quell’energia: ci oltrepassa, ci eleva, ci fa infuriare, ci annulla. Perciò interviene la figura sinistra e criminale del picador, la cui missione è, attraverso il dolore, rubare la forza al toro, togliergli quell’energia cosmica, perché a poco a poco si pacifichi. Arriviamo alla morte in questo modo, come una conclusione naturale, avendo perso la forza, rimasta nella picca insanguinata. La picca insanguinata, non la vedi?, è già in te.»