Mi sono svegliato avvilito, con Arnold che girava per casa. Era in tutte le stanze. In cucina, c’era Arnold. Nella doccia, c’era Arnold. Al tavolo su cui scrivo, c’era Arnold. Alla fine mi ha detto «non ce la fai più, arrenditi, ci hai provato, ma non ce la fai più, torna a letto, nessuno te ne farà una colpa se torni a letto, hai fatto tutto ciò che era umanamente possibile; di tutti quelli che vado a trovare, tu sei quello che più ha lottato, nessuno potrà rimproverarti di nulla se oggi non ti alzi, sei il campione del mondo, ma adesso devi riposare, ci hai messo tutta la tua buona volontà, nessuno ha combattuto contro di me come hai fatto tu, sei medaglia d’oro, ma adesso devi riposare, torna a letto, non muoverti dal letto».
Ovviamente, mi sono alzato.
Ho dovuto prendere il treno locale per andare al Terminal 4 dell’aeroporto, perché nel pomeriggio partivo per Zurigo. Arnold sempre alle mie costole.
Ho camminato per il Terminal 4 con Arnold nel cuore; ho chiamato mio fratello, e abbiamo parlato di cose normali e questo mi ha animato un po’ e mi sono allontanato di qualche metro da Arnold; poi ho chiamato Valdi e non abbiamo parlato di niente. Lui stava mangiando e io ero ormai sul punto di prendere l’aereo.
Mi sono detto: va bene tutto, lasciami in pace, Arnold, devo concentrarmi a vivere questo pomeriggio di marzo. E mi sono messo a guardarmi le scarpe, le scarpe che mi ha regalato Mo e che mi piacciono moltissimo.
Mi sono seduto ad attendere l’imbarco e continuavo a guardarmi le scarpe quando mi sono reso conto che ogni essere umano può accedere in qualche momento della sua vita alla rivelazione del senso della propria esistenza, ma quando può prodursi questa rivelazione? Può tardare molti anni ad arrivare. Questo significa che abbiamo un obbligo: quello di rimanere vivi più a lungo possibile. Mi ha spaventato pensare alla possibilità che la rivelazione arrivi tardi.
Penso che per una persona come me la rivelazione possa aspettare fino all’età nonagenaria.
Vivere molti anni è un traguardo, il più grande traguardo.
Vivere molti anni significa stare accanto alla vita molti anni, conoscendola ogni giorno di più. Ogni giorno un nuovo bacio della vita. Avrebbero dovuto vivere di più Bach e Wagner, compiere almeno altri dieci anni. È l’unica matematica che importa, quella che misura la nostra età.
Dicono che finiremo per vivere centoquarant’anni, ne godranno i figli di Bra e Valdi. Se vivono centoquarant’anni, avranno il tempo di venirmi a cercare nell’oblio in cui sarò, li aspetto là per dar loro un bacio.
Mi piacerebbe vivere cent’anni con la salute intatta, e lo dico io, che subisco i consigli di Arnold, il quale mi parla sempre della beatitudine dell’incoscienza che regala la morte.
Vivere con la consapevolezza di ciò che si è vissuto, con la memoria perfettamente affilata, come un coltello da macellaio, in grado di affettare e fare a pezzi i decenni in anni, e gli anni in mesi, e i mesi in giorni, e i giorni in ore, e le ore in minuti, così la voglio la mia memoria.
Sono arrivato in aeroporto e ho continuato a guardarmi le scarpe via via che percorrevo i terminal.
Ho preso il tram e Mo mi stava aspettando alla fermata vicino a casa nostra.
Vedendola che mi aspettava, ho provato gioia. Il traguardo è questo: che ti aspetti qualcuno da qualche parte.