I reati, i delitti, vanno in prescrizione. I giudici e la polizia smettono di perseguire atti criminali accaduti molto tempo prima. Quando ero giovane, mi è sempre sembrato che fosse ingiusto, che i crimini non potessero essere dimenticati.
Per capirlo ho dovuto compiere molti anni e diventare vecchio.
I reati vanno in prescrizione perché il tempo nel suo corso è più potente delle leggi umane e perché il tempo rivela l’inconsistenza della giustizia e dell’ingiustizia.
Il tempo è la forma con cui la natura si presenta, e ci ricorda che il passato non esiste.
Perciò, tutte le mie colpe cadranno in prescrizione non perché esistano il perdono o la redenzione ma perché diventeranno immemorabili. Nessuno può ricordare delitti accaduti quarant’anni prima perché sono svaniti. Sono diventati uguali al vento e alla brezza e alla polvere dei sentieri.
Come ricordare la brezza o il vento o la polvere?
Le mie colpe, le mie dolorose colpe, stanno cadendo in prescrizione. Il male che ho fatto in questa vita ad altri esseri umani, a quelli che amavo, si sta cancellando. Assisto ogni giorno a questa estinzione dei fatti, ogni giorno l’estinzione è più solida.
Si estinguono i nostri crimini, che non sono stati nemmeno tali. Sono stati piuttosto errori che hanno causato tristezza e angoscia e sofferenze.
Trascorsi cent’anni, chi potrà riesaminare o mettere sotto processo il dolore che ho causato ad altre persone. Tutto sarà caduto in prescrizione. Il diritto penale e il diritto amministrativo hanno trovato questa affascinante formula dell’estinzione del termine legale.
Si avvicina la prescrizione di tutte le mie mancanze.
Tuttavia, l’erosione del mio cuore è sempre là. Quell’erosione comincia il giorno della mia prima comunione. Credo di non aver capito nulla di ciò che stava succedendo. È andato in prescrizione anche quel giorno. Però ricordo tutti i regali che mi fecero.
Degli amici di Bach e Wagner, amici importanti, mi regalarono un binocolo. Era un regalo strambo che non piacque a Wagner, perché non lo capì né vide come potessi trarne qualche profitto. A cosa serviva un binocolo a un bambino di sette anni. E a cosa serviva a lei. Era di eccellente qualità, di marca. Un binocolo del 1970, caro, lussuoso, di un lusso inappropriato nelle nostre vite.
In seguito non gli attribuimmo nessun uso sensato. Neanche a Bach interessò minimamente. Credo che non lo abbia mai usato. Neanche una volta. Non gli importava se le cose erano vicine o lontane. Non mostrò mai la minima curiosità. Bach, sempre oltre le cose: la sua indifferenza per la lontananza o la vicinanza delle cose viene oggi a me come una vera e propria lezione filosofica. Quel binocolo ruzzolò per casa. Nessuno di noi sapeva cosa farne. Si andò deteriorando a poco a poco. La custodia era di cuoio. Non so dove sia finito. Una lente uscì dall’obbiettivo, la rotella della messa a fuoco si incastrò. Non si vedeva più niente, né da vicino né da lontano, ma conservava la sua imponente presenza.
Non so perché mi fecero quel regalo così stravagante. Non era pensato per me. Va’ a sapere da dove era sbucato. Magari era un regalo che avevano fatto a loro, a quegli amici dei miei genitori, e non sapendo cosa farne l’avevano affibbiato a me.
Un amico e collega di lavoro di mio padre venne alla festa. Si chiamava Jordi Pons. Mi pare che mi abbia regalato un orologio di oro bianco. Poi mio zio Rachma mi regalò un Duward di oro normale. Ebbi molte discussioni a scuola perché i miei compagni si rifiutavano di ammettere che esistesse l’oro bianco. Dicevano che era d’acciaio. Io avevo fede nell’orologio di Jordi Pons, avevo fede nell’oro bianco. Non mi entrava in testa che fosse falso. Era un Thermidor, era quella la marca. M’intrigò molto l’oro bianco.
M’intrigava anche quell’amico di mio padre, perché era un uomo scapolo ed era colto e sofisticato. Viveva a Barcellona. A mia madre non piaceva, ma nemmeno le dispiaceva. A volte lo criticava; altre, lo elogiava. Se mio padre mi vedesse adesso mentre scrivo di Jordi Pons, credo che ne sarebbe contento nella stessa proporzione in cui ne sarebbe allarmato.
Com’è possibile che te ne ricordi, mi domanderebbe.
Anch’io me lo domando. Com’è possibile che ricordi tutte quelle cose. Molti anni dopo battezzammo Bra e Valdi. Fu un giorno speciale. Molto speciale.
Erano passati trent’anni fra la mia prima comunione e il battesimo di Bra e Valdi, però sia la mia prima comunione sia il battesimo dei miei figli vennero festeggiati nello stesso ristorante.
Non soltanto nello stesso ristorante, ma anche allo stesso tavolo e nello stesso punto della sala, accanto alle stesse finestre.
Là dove io ricevetti quello strano binocolo, anche i miei figli ricevettero i loro regali. Credo di essere stato l’unico ad accorgersi di quel dettaglio sconvolgente.
Era lo stesso spazio.
Non fui l’unico. Anche mio padre, il grande Bach, se ne accorse.
Ce ne accorgemmo tutti e due, sempre noi due, sempre lui e io.
Si apre così la carne del tempo, il cuore della vita, quando noti una coincidenza di quella portata capisci che tutto quanto ci circonda fluisce secondo un ordine che include il disordine, e un disordine che include un ordine, e tutto si dà in tensione, e da quella tensione promanano gioia, speranza e bellezza.
Tutto va in prescrizione, vanno in prescrizione i reati, vanno in prescrizione le mie mancanze, stanno andando in prescrizione le mie colpe e andranno in prescrizione tutti i miei fantasmi.
Tre anni fa, nel 2016, sono tornato in quel posto, in quella sala di quel ristorante, e mi sono messo a toccare l’aria, perché soltanto l’aria viene ad accogliermi quando evoco il passato.
Mi sono ricordato delle parole di Idea Vilariño: «Non ti vedrò morire».
L’evocazione del passato può tenerti occupato ventiquattr’ore al giorno. Cosa c’è nel mio presente se non quell’ostinata e oppressiva e decadente e voluttuosa abbondanza del passato.
Quando a un essere umano togli la colpa, lo liberi dalla colpa, allora vede il mondo liberato dalla tristezza e dall’angoscia. Chi ha inventato il battesimo è stato un gran signore della vita: toglierti il peccato, che significa toglierti la colpa. Per essere nati portiamo il peso della colpa, non del peccato originale, che favoletta, ma della colpa per il fatto che i nostri padri e i nostri nonni hanno fatto del male e noi ne faremo, perché nelle profondità della vita c’è il male che facciamo ai nostri simili.
E di colpo il battesimo toglie la colpa, e io, per togliermi la mia, ho dovuto scrivere e purgarmi e purificarmi e condannarmi e assolvermi e bruciarmi e spezzarmi.
Gli uomini e le donne cercano la gioia e trovano la colpa.
Ogni giorno penso agli esseri umani ai quali in un modo o nell’altro ho fatto del male, quandanche il male più insignificante del mondo agli occhi di un giudice imparziale; però il male non è mai oggettivo, il male accade nel cuore dell’altro, se l’altro si sente ferito nessuno può consolarlo da quel male, quel male è reale e inappellabile.
Molta gente non lo capisce e non lo capirà mai.
Ha a che vedere con le onde del mare, con le nuvole, con gli alberi. Nessuno turberebbe la bellezza delle cose naturali: un cuore umano è come un albero, non può comprendere la necessità che qualcuno lo poti, gli rubi i rami, con la promessa di una vita migliore.
Scendo, insieme a Mo, per una strada del centro di Zurigo e m’imbatto in una famosa gioielleria dove sono in vetrina modelli di orologi antichi. Non sono orologi di seconda mano. Sono orologi perduti nel tempo, che è la perfezione per un orologio. Il culmine per un orologio è essere vittima del tempo che misura. Vedo molti pezzi da collezione: tutte le marche famose sono rappresentate, con modelli che vanno dagli anni Venti del secolo scorso a modelli degli inizi del XXI secolo. Guardo quasi atterrito, perché ho davanti agli occhi un modello Thermidor dei primi anni Settanta, di oro bianco.
Mo e io andiamo all’opera.
Andiamo a vedere la Norma di Vincenzo Bellini al Teatro dell’Opera di Zurigo, un edificio elegante, della fine del XIX secolo, costruito per sostituire un altro teatro più antico che si era incendiato. Mi commuovono gli edifici che scompaiono, e con essi ciò che è accaduto fra le loro pareti. Spuntano gli edifici costruiti per sostituirli, che a loro volta scompariranno. Abbiamo preso i biglietti più economici, che costano venticinque euro ciascuno, erano gli unici che restavano, insieme a quelli più cari, che costavano più di trecento euro. Succede sempre così: i biglietti che non si vendono sono i più cari e i più economici, e di solito rimangono posti separati. La maschera ci guida ai nostri posti.
Comincia il primo atto e in scena compare un coro. Si tratta del coro di Oroveso e dei druidi. Da dove sono seduto vedo soltanto corpi lontani. Quanto mi farebbe comodo adesso quel binocolo della mia prima comunione. Il passato è una cantina piena di oggetti la cui utilità e i cui vantaggi si rivelano nel futuro. Guardando quella cantina, penso alla provvidenza, a quella parola mitologica: provvidenza.
Norma vuole assassinare i propri figli, perché l’uomo che ama si è innamorato di un’altra donna, si è innamorato di Adalgisa. Norma s’immola in un gesto di bellezza uguale a quello che io tento ogni giorno della mia vita. La confessione di colpevolezza di Norma è un atto di fede nella vita, un atto d’amore, un atto di solitudine.
Esco dall’opera emozionato.
La bellezza di Norma mi ferisce.
Mi porto Norma nel cuore. Io sono Norma, mi dico. Tutti siamo Norma. Tutti siamo sacrificio, rinuncia, perdono e morte, come Norma. Per molto che possa perdere in questa vita, mi rimarrà sempre la possibilità di riascoltare quest’opera, mi rimarranno sempre un binocolo perduto e un orologio Thermidor di oro bianco ugualmente perduto.
Saliamo sul tram numero 9 e torniamo a casa.
Fantastico su una vita da aristocratico, qui in Svizzera, immagino di avere una casa al centro di Zurigo e andare all’opera, a teatro, al balletto ogni settimana, cenare in buoni ristoranti, avere una barca sul lago e dormire molto e mangiare poco e stare in pace, raggiungere la pace, la tranquillità, la serenità.
Non desiderare cose, non volere nulla.
Che ci sia qualcuno da qualche parte che si prenda cura di te e che quel qualcuno tolga la cattiveria, la crudeltà e l’orrore dalla vita degli uomini e delle donne.
La parola a cui sto pensando in continuazione è «provvidenza», mi addormento con quella parola in testa.
«Provvidenza», che parola misteriosa.