Il momento più traumatico della mia vita accade nel passato più remoto, quando i miei genitori mi portano per la prima volta in una scuola. Credevo di esistere soltanto io al mondo, e di botto ci sono centinaia di esseri umani simili a me. Devo parlare con loro, stare con loro. E la libertà o l’entusiasmo o la gioia scompaiono.
È la prima volta che perdi la gioia.
Le persone che invecchiano da sole, senza famiglia, senza figli e senza coniugi, tornano a quell’essere che ha fondato il loro corpo, tornano a essere bambini. Bambini di fronte al pericolo.
Bambini che sono rimasti da soli di fronte al pericolo. Non capii allora perché mia madre mi allontanava da lei e mi consegnava agli altri, ad altri esseri che alla fine si trasformarono nella mia vita. La vita accanto a mia madre andò estinguendosi e venne quest’altra vita più lunga, più estesa, in cui lei si andò allontanando da me, finché morì.
Uno dei più grandi putiferi che ho nel cuore nasce in una classe elementare di una scuola di preti. Il sacerdote si è assentato e lascia un compagno a badare alla classe.
Badare alla classe significa sedersi sulla sedia del maestro, occupare il suo posto e controllare che nessuno parli, che ci sia ordine.
Questo accade una cinquantina di anni fa.
Mezzo secolo fa.
Il bambino scelto brilla d’orgoglio. Gli è stata affidata una missione speciale, è un bambino eletto, così lo vedo io. E comincio a pensare a quello che ogni essere umano finisce per pensare quando è separato dalla madre e consegnato al mondo sociale: perché hanno scelto lui, quel ragazzo, e non me. Lì comincia l’ambizione per i posti, l’ambizione sociale.
Un bambino di cinque anni che ambisce al posto di sorvegliante della classe.
In maniera arbitraria decide che sto parlando, ma non è vero, non sto parlando con nessuno. E segna il mio cognome alla lavagna. Però lo scrive con la bi e il mio cognome è con la vi.
Quando vidi il mio cognome scritto con la bi invece che con la vi mi sentii umiliato e ferito, e allo stesso tempo perplesso e curioso, sul margine di un abisso che annunciava che per gli altri esseri umani la mia identità era insignificante e ordinaria.
Io, che ero un dio per mia madre, mi vidi trattato come una cosa priva di importanza, come un pacco, come un corpo, come un fagotto inespressivo e ridicolo.
Fu il giorno più triste della mia infanzia, il più cupo, il più terrificante.
Ogni essere umano ha avuto quella prima volta. Adesso posso vederla con bellezza, perché dopo tutto quel bambino che ero era semplicemente innamorato di sua madre, come lo sono tutti i bambini sulla faccia della terra.
Bambini che non capiscono di avere un destino sociale, perché pensavano che il loro destino fosse rimanere in maniera eterna e inalterabile accanto alla madre, questo pensavo io.
In maniera eterna e inalterabile il bambino e la madre, il bambino accanto alla madre, in maestà, con il pieno controllo della vita, il governo infinito, come nell’iconografia cristiana. In quell’iconografia si parla dell’infanzia. Gesù Bambino, tolto e sgomberato il significato religioso, che è circostanziale e aneddotico, significa questo: l’inalterabilità della madre e del figlio, in un potente spettacolo di bellezza, di umanità, perché l’umanità ha bisogno di essere esaltata affinché possiamo concepirla, comprenderla, affinché il nostro cuore scoppi di gioia.
Avevo appena perso il mio regno quando mi portarono a scuola.
La bi nel mio cognome fu l’inizio dell’addio al paradiso.
La memoria è carne e sangue.
I neurochirurghi hanno molte più parole per la carne e il sangue, ma sono soltanto parole, parole senza fatti.
Parole che non migliorano né ampliano né spiegano né precisano queste due parole: carne e sangue.
Carne e sangue dove va ciò che siamo stati.
Ma che selvaggia bellezza, quel bambino e l’altro bambino che ero io, cinquant’anni fa, in una classe elementare, lui che mi guardava e decretava che avevo parlato, che avevo infranto una norma, e lui che già capiva di leggi, e io impacciato di fronte allo scandalo della legge, e il mio nome esposto al pubblico ludibrio, segnato su una lavagna con un errore di ortografia.
Poi venne il sacerdote e ordinò di cancellare i nomi.
Non ci furono punizioni né conseguenze, semplicemente tutto venne annullato. Non si prese neanche la briga di leggere i due nomi sulla lavagna. Cancellò tutto distrattamente.
Lì vidi che di colpo quello che sembrava un dramma insuperabile e dalle conseguenze disastrose si era trasformato in polvere di gesso.