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Una volta mio padre mi portò a raccogliere funghi. Andammo con un suo amico. Era un uomo che aveva sempre in bocca una sigaretta senza filtro. Non aveva molti capelli. A mia madre non piaceva tanto, non le piaceva che gli cadesse in continuazione la cenere dalla sigaretta; all’epoca, c’era molta gente così, gente che fumava senza badare all’edificio instabile di cenere che si creava via via che si consumava la sigaretta; e quell’edificio, di colpo, crollava come una valanga che macchiava di un piccolo strato di polvere la camicia e i dintorni del fumatore. Immagino che qualche volta quell’uomo fosse venuto a casa nostra e avesse macchiato qualcosa a mia madre. Anche mia madre fumava, ma con un posacenere accanto. I fumatori di quel periodo si potrebbero classificare in due tipologie: quelli che avevano bisogno del posacenere (ed erano i più moderni) e quelli che non ne avevano bisogno (questi erano fumatori ancestrali, fumatori che fumavano esattamente come fumavano i primi fumatori, verso il XVII secolo).

Molta gente fumava così, come veniva, e quell’amico di mio padre aveva sempre in bocca una sigaretta con la sua colonna orizzontale di cenere sospesa nell’aria.

Era tutta un’epoca.

Quell’amico di mio padre aveva una Citroën 2 CV, e con quell’auto andammo, una mattina di ottobre, fredda ma soleggiata, a raccogliere funghi in campagna. Quell’auto mi colpiva perché mi sembrava come finta, o come un giocattolo, perché la sua carrozzeria era molto leggera e i sedili erano quasi sedie. Sembrava un’automobile per bambini. Loro due avevano delle ceste, io no. E avevano dei coltelli, dei piccoli coltelli, con il manico di legno. E la mattinata non gli andò male.

Non parlavano quasi, erano quel genere di amici che non si dicono nulla. Qualche osservazione sul fatto che fa freddo o se pioverà o se c’è vento o ci sarà molto sole, e poco altro.

Di tanto in tanto vedevo mio padre chinarsi, cercando di trovare qualche lattario. Non gli piaceva molto chinarsi, ma gli piaceva trovare i funghi. Però avrebbe preferito che il fungo s’innalzasse da terra come per magia e gli si depositasse in mano senza bisogno di chinarsi. Gli piacevano molto i funghi, ma ci andammo una volta sola. Non tornammo mai più a raccogliere funghi.

Soltanto una volta nella vita, e lo ricordo come un giorno importante, perché?

Allora tutte le strade erano strette e c’erano poche macchine in circolazione. Andammo a pranzo in un bar di paese. Ottobre è il mese ideale per andare nei boschi della provincia di Huesca. Ci sono colori giallastri sugli alberi, c’è un sole quasi dolce, che accarezza lievemente.

Mangiammo uova fritte delle galline della proprietaria del bar. Mangiammo pane appena sfornato. Tutto era appena fatto. E accompagnammo le uova con un po’ di torteta, un piatto tipico dell’Alta Aragona a base di sangue, pane grattugiato, farina e burro. A mio padre piaceva molto la torteta. A me, per imitazione, anche. Però un giorno scoprii di cosa era fatta – sangue di maiale – e smisi di mangiarla. Magari nessuno me l’avesse detto.

Riesco a vedere quei due uomini che mangiavano le uova fritte. E fu allora che mio padre mi rivelò un segreto che mi ha accompagnato per tutta la vita. Mi disse che bisognava friggere le uova con l’olio bollente, che non importava se usciva tanto fumo dalla padella, che soltanto così si facevano bene, e inoltre, se il bianco si espandeva mentre l’uovo friggeva, voleva dire che l’uovo non era fresco.

Perciò, le uova fritte che stavano mangiando erano piccole, perché erano fresche. Loro mangiarono due uova. Io uno. Poi gli portarono una torta fatta in casa, che ricevette anch’essa le benedizioni di mio padre.

Perciò ogni volta che vedo un uovo fritto osservo la grandezza del bianco. Guardo in modo ossessivo l’espansione del bianco, perché nel cerchio a cui dà forma il bianco compare sempre la rivelazione che mi fece mio padre, e ritorna quel giorno in cui andammo a raccogliere funghi e finimmo a pranzare in quel bar.

È così, è sempre così.

Non posso fare un uovo fritto senza che ritorni in quell’istante la memoria di mio padre. È un miracolo, un’opera d’arte della memoria, un regalo della condizione umana.

La prima volta che ho fatto le uova fritte negli Stati Uniti, a casa di Mo nello Iowa, ho avuto una sorpresa enorme, perché le uova fritte che stavo facendo erano freschissime, dato che avevano un bianco concentrato e compatto, non uno di quei bianchi che si espandono e crescono e ricoprono l’intera superficie della padella e lasciano il tuorlo senza protezione, in una solitudine triste.

Così ho pensato che a mio padre sarebbero andate bene le uova fritte che mangiavano gli americani. Questo ho pensato, l’ho pensato con rabbia, perché non avrei mai potuto dirglielo.

Con rabbia entrerò nella morte. «Non entrare docilmente in quella buona notte» ha detto il poeta inglese Dylan Thomas; vi entriamo con molte conversazioni in sospeso, con molte cose da raccontare. Le osservazioni di mio padre sulle uova fritte le plasmò in un famoso quadro il pittore Diego Velázquez. È l’opera intitolata Vecchia che frigge le uova. Le uova che compaiono nel quadro avrebbero ricevuto l’approvazione di mio padre. Velázquez dipinse quel quadro a Siviglia, nell’anno 1618. E la donna del quadro mi sembra la stessa donna che servì mio padre e il suo amico quella mattina in cui andai con loro a raccogliere funghi.

Avevamo scoperto che il fidanzato americano di un’amica di Mo era un contadino. Un giorno ci eravamo dati appuntamento tutti e quattro per prendere un caffè. Era un uomo alto e grosso, con la pelle rossiccia e un sorriso permanente, sebbene un po’ falso. Un grande lavoratore, anche se poi la relazione con l’amica di Mo è finita male. Però aveva avuto la cortesia di regalarci una dozzina di uova della sua fattoria.

E quando ho messo l’olio bollente nella padella, e ho visto i bianchi perfetti ed estremamente freschi di quelle uova, ho pensato di nuovo a mio padre e a quella rivelazione. E ho pensato di nuovo al 1618, e alla vecchia che Velázquez aveva visto a Siviglia mentre friggeva le uova. E allora ho ricordato un’altra cosa che non sapevo di ricordare e che era stata detta anch’essa il giorno dei funghi, ma giuro e stragiuro che non la ricordavo.

La frase di mio padre fu questa: «Pensa che nonostante l’olio sia bollente, il tuorlo è quasi freddo, questo sì che è un mistero; e poi, se non è freddo, non è ben fatto».