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Accidenti alla mia miopia, al mio astigmatismo e alla mia vista stanca. È di nuovo Arnold. Vedo sempre peggio, e non mi è mai piaciuto portare gli occhiali, se non quelli da sole.

A mia madre succedeva la stessa cosa. Sopportava soltanto gli occhiali da sole, perché erano un ornamento. Mia madre e io abbiamo sempre avuto bisogno degli ornamenti. Anche se erano ridicoli e da quattro soldi.

Per questo lei si appassionò ai negozi dei cinesi, e anch’io. Quando scoprì l’esistenza di quei negozi, nei primi anni Novanta, ne divenne dipendente, e anch’io.

Ci andavamo insieme e compravamo soprammobili, bigiotteria, chincaglierie. Lei comprava statuine, ad esempio elefanti. Aveva una famiglia di elefanti, quasi un branco. Li aveva messi in una vetrinetta. E se ne stavano lì, gli elefanti, a decorare la casa. Io compravo forbici e piccole spillatrici che si rompevano subito. Era tutto talmente a buon mercato, eravamo felici così, arrivando a casa con un carico di sciocchezze.

Il branco di elefanti ha avuto la sua importanza. Quando Wagner morì, Mozart mi aiutò a smantellare la casa. A Mo piacquero le cose di mia madre, e questo mi commosse e mi diede pace. Gli oggettini strani che comprava mia madre. Ed ecco lì il branco di elefanti di gesso, per esempio, ammesso che fossero di gesso. C’erano le coppe vinte da mio padre come venditore, come commesso viaggiatore e come giocatore di carte. E le stoviglie e delle strane enciclopedie di cucina che erano di Johann Sebastian Bach. Tutto questo lo salvò Mo, io non capivo come si potesse salvare, non ne vedevo il valore, invece Mo lo vedeva.

Sembrava quasi che Mo fosse un’inviata la cui missione era farmi vedere il valore di tutte quelle cose. Mo salvò un’orchidea di mia madre.

Sì, Mozart salvò un’orchidea wagneriana. Portò quell’orchidea a Madrid, e il padre di Mo la trapiantò, la coltivò, se ne prese cura. Qualche mese fa ho visto l’orchidea, splendente, sul punto di fiorire, ed era ancora viva.

Nel corso di questo periodo, Mo mi ha chiesto molte volte di mia madre. Voleva sapere cosa avrebbe pensato mia madre di lei. Credo che le sarebbe piaciuta molto.

Sarebbe stato bello se mia madre avesse resistito ancora un paio di anni in questo mondo. Il tempo sufficiente per conoscere Mo. Questo mi avrebbe reso felice, o piuttosto mi avrebbe tranquillizzato, o aiutato. Ma mia madre doveva andarsene. La sua partenza era necessaria perché la mia vita s’incrinasse.

Per poco, per poco non si sono incrociate Mozart e Wagner. Con Bach sarebbe stato completamente impossibile, perché Bach è morto nel 2005.

Bach era del Barocco, è chiaro.

«Andiamo dai cinesi, mamma» dicevo io in quel periodo, e lei era subito contenta.

Avevamo bisogno di qualche oggettino con cui intrattenere le nostre esistenze. In realtà, ci affascinava il lusso, ma non siamo mai andati oltre i negozi dei cinesi.

I cinesi vendevano anche occhiali da sole e mia madre li comprava. Ora, con la mia vista stanca e la mia miopia, mi sembra che tutto sia al buio. Per questo nella mia casa di Madrid compro le lampadine con il massimo voltaggio, sperando che arrivi un giorno in cui venderanno una lampadina uguale alla luce assoluta, e accendo tutte le luci. E nonostante questo non vedo niente e mi dispero.

Vedo soltanto Arnold.

Mio padre andava sempre a spegnere le luci nel nostro appartamento di Barbastro. Mia madre le accendeva tutte, e mio padre protestava. Mio padre invocava la bolletta della luce, che io non sapevo cosa fosse, e mia madre teneva tutte le luci della casa accese.

Io adesso accendo tutte le luci.

Che ci sia luce in tutta la casa.

Sempre a combattere contro l’oscurità.