La vanità degli esseri umani è tanto smisurata quanto perversa, la vanità di voler distinguere fra uomini e donne, fra esseri umani di razza nera, di razza bianca, di razza orientale.
È soltanto vanità.
Coloro che cercano l’uguaglianza tra uomini e donne pensano che non siano uguali, per vanità. La vanità della storia dell’umanità. La vanità sempre. La vanità di voler fare giustizia.
Come se la natura sapesse che quel corpo è uomo e quell’altro è donna. La nostra vanità mi scandalizza. Però mi fa vedere una cosa che ho ereditato da mia madre. Mia madre non faceva distinzioni tra uomini e donne. Per lei esisteva soltanto la vita, indeterminata, informe, senza fine, elementare, solida, indifferente alla società e alle convenzioni, senza vanità, senza doveri, senza progressione, sospesa e inalterabile.
Questa assenza di vanità è stato un regalo che lei mi ha fatto.
Come ha potuto regalarmi una cosa tanto delicata e originale?
Non so distinguere tra uomini e donne, perché sono un ignorante, perché sono una persona profondamente disinformata, perché non albergo nella mia carne la fede e la vanità che bisogna avere per distinguere le anatomie.
Non so cos’è l’anatomia di un uomo rispetto all’anatomia di una donna. Voler fare distinzioni mi costringe a un atto di fede in cui la mia intelligenza cede, affonda, naufraga, svanisce.
Non può credere nell’uguaglianza chi non ha mai visto nessuna differenza, non perché ignori la lunga storia di sofferenza della donna, ma per umiltà.
Come avrei potuto fare distinzioni tra un uomo e una donna se non credo nelle leggi dell’umanità, nelle leggi della storia, nelle leggi sociali. Se sto solo disperatamente cercando di tornare alla notte del mistero, alla notte della luna, delle stelle e dei fiumi, che è la patria che mi ha mostrato mia madre.
La vita si vendica in ogni istante degli istruiti e dei colti e dei saggi. Perché la vita sceglie angeli, non sceglie vescovi. Perché la vita sceglie poeti e non uomini di lettere.
Com’è la vita.
Quant’è pazza la vita.