Nelle estati della mia infanzia, a Barbastro, mia madre non sopportava le mosche che s’intrufolavano in casa. Le inseguiva fin quando riusciva a cacciarle fuori. Quando ce n’era una molto insistente, le dava un soprannome: «la schifosa».
Ora Mo e io siamo a San José, un paese sulla costa di Almería, a trascorrere una breve vacanza al mare. Fa caldo. Nella cucina del nostro appartamento si è intrufolata «una schifosa». Ho cercato di cacciarla, e l’ho chiamata come la chiamava mia madre.
«Vattene, schifosa» le ho detto.
Non era la mia voce, era la sua, l’ho sentita di nuovo: «Vattene, schifosa», la sua voce è uscita dal mio corpo.
Era lei, ne sono sicuro.
Ho avuto un tuffo al cuore, vedendo tornare mia madre, ed è stata lei, non io, a inseguire quella mosca schifosa.
Non sopportava le mosche d’estate, e nemmeno io.
L’amore che proviamo l’uno per l’altra non se ne andrà mai.
Ho passato il pomeriggio a inseguire mosche.
Abbiamo passato il pomeriggio a inseguire mosche, lei e io. Ridevamo. Le chiamavamo tutte «le schifose».
Mia madre pensava che le mosche fossero il demonio, e anch’io. La penso come lei.
Le mosche sono il demonio.