Nel corso delle loro carriere Cary Grant e Marlon Brando hanno interpretato ruoli molto diversi.
Sono stati molto diversi.
Nessuno dei loro film si somiglia.
Invece il mio Grant e il mio Brando sono molto simili.
Mio figlio Brando ha preso dal nonno, dal grande Cary Grant. Li vedo così uguali di fronte alla vita. Hanno entrambi un grande senso dell’onestà. Brando l’ha ereditata dal nonno: la serietà che finisce per diventare onestà.
«Tuo padre è un uomo molto serio» ho sempre sentito dire nella mia infanzia.
La serietà era una forma di sobrietà e di pudore. Certo che Grant era serio, perché il suo modo di vedere le cose lo aveva reso profondamente buono. Molte volte la bontà costringe al silenzio, e il silenzio è percepito come serietà.
Dio santo, quanto ho amato mio padre e quanto lo vedo ora trasfigurato in Brando. Sono uguali. Austeri, sobri, volenterosi, lontani da qualunque ostentazione, frugali, dignitosi, taciturni.
Com’è possibile che un nonno e un nipote siano tanto simili? Vedo qui un miracolo, un fatto straordinario, perché ne sono stato testimone.
Sono stato testimone di come mio padre risorge nel carattere e nel temperamento di Brando, ma lo fa in maniera diversa. È la stessa essenza, ma in un altro corpo, in altre mani, in un’altra disposizione fisica, in un altro mondo morale, in un altro tempo storico, però è una vertiginosa forma d’amore.
I genetisti e tutti gli scienziati che studiano l’ereditarietà non capiscono l’amore.
Ed è quello che stanno cercando.
Quello che cercano ce l’ho davanti a me, perché vedo mio padre e mio figlio maggiore camminare insieme in una dimensione che è pura bellezza.
Perché ti sei perpetuato in mio figlio, papà? L’hai fatto tu o l’ha fatto la natura? Cos’è la natura se non il risultato del tuo amore? Credo che non volessi andartene dal mio fianco, credo che non volessi lasciarmi solo al mondo, e che tu ricompaia in Brando, e mi lasci vedere quel passaggio, quel tunnel.
Mi lasci vedere un cammino, alla fine del quale ci sei tu, seduto sotto un albero la cui ombra è d’oro.
Il rigore di Brando, il suo temperamento, il suo modo esigente di pensare, la sua testardaggine, la sua idea poderosa di ciò che è bene e ciò che è male, provengono da te.
Vuoi che ti veda di nuovo?
È questo, lo so.
Vuoi che ti riveda, non saresti dovuto morire mai, sono così stanco, vado di albergo in albergo, di città in città, di continente in continente, soffrendo nelle stanze, sentendo nelle stanze tutti i rumori, i lamenti, i dolori del mondo, ma allo stesso tempo evocandoti da quelle stanze, in una cerimonia di timore e di disperazione.
Quante volte compare la parola «disperazione» in tutto ciò che scrivo? È la parola che mi hai lasciato.
Tra mezzo secolo Brando vedrà me in suo figlio. Come sarà? Tu lo sai già, tu lo sai già cos’è.
Dimmelo.