Quanto dolore può sopportare un uomo?
Quella domanda ormai lo stava torturando.
Esistono dei limiti ben precisi per ogni cosa e ci sarebbero stati anche per quello.
Era come se gli avessero riempito il cranio con punte di trapano che macinavano qualsiasi cosa si trovassero davanti.
La stanza intorno a lui era cupa. Non gli era mai sembrata così durante la sua esistenza, ma questa volta era diverso. Il buio lo stava travolgendo, lo sentiva entrare pian piano dentro di lui.
Qualcosa si muoveva, ma non riusciva a capire se all’esterno, nelle pareti di cemento, o all’interno, nella sua mente. Qualcosa si stava agitando di continuo facendogli perdere la percezione del presente. I suoi piedi non avvertivano più il freddo pavimento e i suoi polmoni, ormai, facevano una gran fatica a inspirare la pesante aria che aveva invaso la stanza.
Il suo organismo stava smettendo di funzionare.
Ma si poteva morire così? Senza una ferita, senza un colpo e senza una malattia? I primi giorni si era promesso che prima o poi avrebbe reagito, che avrebbe ripreso in mano la situazione. Ma ben presto si era reso conto che era stato uno stupido errore pensare che ci sarebbe riuscito.
Non aveva bei ricordi o piacevoli emozioni da rievocare perché la mente smettesse di torturarlo. Non aveva niente a cui aggrapparsi, niente.
C’era solo il pensiero fisso di una negatività portata all’estremo da un qualche giochetto del destino, quel continuo chiedersi cosa avrebbe potuto fare per evitare di arrivare fino a quel punto, quella forza esterna che lo costringeva ad accettare il fatto che nulla più sarebbe potuto tornare come prima.
Il suo orologio voleva fermarsi lì, in quella stanza, in quell’istante.
Le sue mani continuavano a spingere sulle tempie con tutta la forza provando a placare il caos nella sua testa.
La sua mente malandata stava piegando il suo corpo con impeto, lo torceva cercando di orientarlo sul pavimento: doveva farlo arrendere! Richiamò a sé tutte le forze per impedire che le sue gambe cedessero sotto il peso di una crisi che l’organismo, caparbio ma illuso, cercò fino all’ultimo di contrastare.
“È finita” gli rimbombò una voce in testa.
Delle fitte taglienti cominciarono a indebolirlo attaccando ogni zona del suo corpo.
Le sue ginocchia cedettero e i palmi delle mani toccarono il freddo pavimento. Si trascinò verso il letto sfruttando le ultime fibre muscolari rimaste sotto il suo controllo e provò ad afferrare le lenzuola. Gemette per lo sforzo. Avvertì un liquido viscoso come petrolio greggio inondargli ogni via interna dell’organismo.
Le palpebre calarono togliendogli dagli occhi quello scenario cupo e vacillante.
I muscoli si rilassarono.
La mente fu libera di spegnersi.