Dopo aver messaggiato per un intero giorno, Vanessa aveva convinto Vincenzo a prendere un caffè insieme per scambiare due chiacchiere nel pomeriggio. Vincenzo era stato con l’ansia tutta la mattina e a pranzo era riuscito a mettere nello stomaco soltanto mezzo piatto di pasta. Mai una ragazza lo aveva invitato per un appuntamento, era il suo primo incontro ufficiale, e fino a due giorni prima non se lo sarebbe mai potuto aspettare. Aveva passato il giorno precedente a mandare in continuazione messaggi a Vanessa e lei non aveva esitato a rispondergli. La mente di Vincenzo si era sollevata su una dimensione parallela a cinque metri da terra, volava incontrollata in mezzo a raffiche di piacere. Nonostante ciò, non erano mancati gli attimi di puro terrore: a momenti si erano bloccate le dita sulla tastiera del telefono quando Vanessa aveva cercato di fargli capire che sarebbero dovuti andare oltre a quei messaggi, perché il faccia a faccia con lo schermo del cellulare era la sfida più semplice da vincere. Vincenzo sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare Vanessa a quattr’occhi ma aveva cercato di non pensarci, ignorando completamente quella possibilità. In altri momenti, invece, era stato diffidente nei confronti di lei a causa di un passato traumatico. Questi ultimi, però, erano stati spazzati via facilmente da alcune frasi di Vanessa che valicavano un limite oltre il quale la corteccia cerebrale di Vincenzo smetteva di funzionare inebriandosi totalmente. Per la prima volta una ragazza gli aveva chiesto cosa nota di più in una donna e le sue preferenze riguardo il perizoma o il tanga, la terza o la quarta di seno, il sesso al buio o a luci soffuse. E cosa le avrebbe dovuto rispondere Vincenzo? Di certo non poteva dirle che non aveva mai baciato una ragazza in vita sua, dunque, con qualche ricerca su internet, era riuscito a cavarsela su tutte le domande riuscendo a prendere in giro Vanessa, forse… oppure soltanto se stesso!
L’appuntamento era stato fissato per le diciotto a Porta San Biagio. Inutile sottolineare il fatto che Vincenzo era arrivato sul posto con quarantasette minuti di anticipo e Vanessa con ventisei di ritardo.
Porta San Biagio è uno degli accessi all’antico nucleo urbano di Lecce, mantenuta da coppie di colonne e sormontata dagli stemmi di Ferdinando IV di Borbone e della città ai lati, e da una scultura del Santo omonimo. Il tutto in diciassette metri di altezza.
Vincenzo si posizionò a braccia conserte ai piedi di una colonna facendo i conti con la trepidazione assoluta, ma quando intravide Vanessa scendere dalla sua Lancia ypsilon bianca a venti metri da Porta San Biagio il tempo e l’aria intorno gli sembrarono fermi.
Vanessa era alta un metro e settantuno ed era snella, talmente snella da far sembrare la sua terza abbondante di seno come se fosse una quinta. La magliettina gialla aderente le arrivava qualche centimetro sopra l’ombelico lasciandone intravedere il piercing. Una scollatura al limite faceva trasparire l’abbondanza e la salute dei suoi ventidue anni e una parte di tatuaggio che andava dietro la sua spalla destra costituito da una piuma e dalla sua data di nascita. Capelli di un castano chiarissimo sfumati di biondo, occhi azzurri e immensi, pelle liscia, labbra semi-carnose che ogni pittore dipingerebbe sui ritratti di bellissime donne, e uno spazio sottilissimo tra i due incisivi mediali superiori che, non si sa per quale ragione, le davano un tocco di eroticità assoluto.
Vanessa De Maio era la ragazza che ti aspetti di vedere con ogni calciatore ma faceva la commessa in un negozio di abbigliamento in centro quasi tutte le mattine. Il padre lavorava nell’Aeronautica e la madre era una casalinga. A completare la famiglia era suo fratello minore di dodici anni. Per il dispiacere di qualcuno, Vanessa non era l’eccezione che conferma la regola, ma un caso che andava a favore di qualche detto antico o qualche ricerca sedicente che pregiudica e inserisce le incantevoli bionde in un gradino basso sulla scala dell’intelletto. Uno dei tanti stupidi pregiudizi ai quali il genere umano si è condannato.
Vanessa pativa però una scarsa capacità di ragionare che la portava a perdere dignità dopo ogni scelta presa. Una sorta di automatismo mentale che la posizionava in una condizione di facile sottomissione. Orgoglio da vendere non ne aveva, ma riusciva comunque a giustificare ogni sua azione. Condizioni che l’avevano portata a perdere tutte le amiche a eccezione di Virginia, e a sottostare a quella parte del genere maschile che le faceva circolare qualche steroide di troppo. Perse la verginità a sedici anni nei bagni dell’Istituto Statale d’Arte con un diplomando che le aveva promesso un anello mai regalato e andò alla ricerca di quelle promesse condannandosi sempre al solito risultato: qualche scopata e via!
La sua amica Virginia, anche se insicura e a sua volta soggiogata da Vanessa, aveva cercato un paio di volte di orientare verso un ragionamento corretto la sua amica evitandole qualche nomina di troppo in città, ma per la delusione di Freud, i meccanismi di difesa dell’Io, in alcuni casi, fanno un fiasco tremendo.
Aveva frequentato le scuole medie con Vincenzo e Federico e da allora aveva praticamente perso la testa per quest’ultimo. Nonostante Federico le avesse fatto capire che non sarebbero mai andati oltre all’amicizia e al sesso, lei aveva continuato a sperare. A causa di questi comportamenti non aveva mai legato con altre ragazze ma solo con i ragazzi della comitiva dei bulli, della quale era ormai un membro fisso.
Vincenzo rimase immobile con gli occhi spalancati. Vanessa si avvicinò sorridendo e gli fece l’occhiolino. Vincenzo avvertì una vampata di calore invadergli il corpo e il sudore che gli inumidiva le mani e i piedi. Le sue gambe tremavano ma lui cercò di nascondere il più possibile ogni forma di disagio.
Vanessa si approssimò e gli diede un bacio sulla guancia. Il profumo che Vincenzo aveva sempre sentito quando qualche ragazza gli era passata a fianco adesso era sulla sua pelle.
«Ciao bello. Come va?» chiese Vanessa mantenendosi a una distanza ravvicinata e guardandolo negli occhi.
Vincenzo distolse lo sguardo facendo finta di aver notato qualcosa alle spalle di lei. Gli si era formato un nodo in gola e in quel momento gli venne solo l’idea di fuggire da quel disagio dissestante.
«Bene. T… tu come stai?» rispose senza guardarla negli occhi.
«Tutto bene» disse Vanessa. Prese a rovistare nella borsa e ne cacciò fuori un pacco di sigarette. «Fumi?» chiese porgendogli il pacco aperto. «No, no. Grazie» rispose Vincenzo scuotendo la testa.
Si sedette ai piedi della colonna e ne accese una, fece un tiro e mentre scacciava il fumo alzò gli occhi e guardò di nuovo Vincenzo con uno sguardo provocante.
Fatti coraggio stupido. Hai solo quest’occasione. Pensò Vincenzo. Devi dire qualcosa, avanti, al mio tre dici qualcosa.
Uno… Due… Tre…
«T… ti posso offrire un caffè?»
Lei sorrise e annuì. «Certo, grazie.»
Vanessa si rialzò e insieme si diressero verso il bar che fronteggia Porta San Biagio.
Vincenzo ordinò due caffè e andò a pagare il conto. Per fortuna era riuscito a rimediare a qualche soldo in mattinata.
Dopo che Vanessa ebbe capito che, in preda all’imbarazzo totale, Vincenzo non avrebbe mai parlato, e dopo averlo deriso in qualche messaggio con Federico e Virginia, decise di farlo sentire un po’ più a suo agio. Doveva conquistarsi la fiducia massima di quel ragazzo per portare a termine quello scherzo che avevano progettato lei e Federico. Se Vincenzo fosse rimasto bloccato in quel modo lei non avrebbe mai potuto completare il piano e dunque avrebbe deluso i suoi amici ma soprattutto Fede.
Si sedettero sul tavolino del bar e lei, una parola dopo l’altra, riuscì a sbloccare quella matassa nella mente di Vincenzo. Gli parlò un po’ degli anni scolastici passati insieme e ne approfittò per chiedergli scusa. Gli chiese quale scuola superiore aveva frequentato, come si era trovato, dove viveva adesso, come gli andava la vita. Vincenzo cominciò con risposte immiserite ma pian piano aggiunse qualche vocabolo in più e provò anche a farle qualche domanda.
Fa come se stessi parlando con un tuo amico, si ripeteva continuamente.
I discorsi furono appunto quelli che ci potrebbero essere in una normale conversazione tra amici finché Vanessa non decise di dargli un colpo rendendolo paonazzo.
«Mi piaci molto, Vincenzo.»
Un fulmine a ciel sereno smontò quella momentanea quiete che aveva rilassato l’organismo del povero Vin.
Lui abbozzò un sorriso e sentì il suo volto sciogliersi come ghiaccio in un fiume di lava.
Dillo cazzo, rispondile. Al mio tre le rispondi. Uno… due…
«Sei bellissima anche tu» disse senza balbettare, avvertendo la sensazione di essersi liberato da un masso di duecento chili dalle sue spalle.
Vanessa sorrise. Ben fatto, per oggi può anche bastare, pensò soddisfatta. Guardò l’orologio e fece finta di meravigliarsi. «Caspita. Sono già le sette meno un quarto.»
«Devi andare?» chiese Vincenzo.
“Sì. Mi dispiace. Ma ovviamente ci rivedremo.»
Vincenzo poteva anche sentirsi soddisfatto della giornata. Aveva parlato da solo in un bar con una ragazza stupenda. Si scambiavano messaggi e, secondo lui, tutto sembrava scorrere verso un rapporto di coppia. Ma in quel momento sentì di essersi sbloccato in una maniera mai avvertita prima e doveva approfittarne. Questo lo sapeva. Perché l’indomani non sarebbe stato lo stesso. Sarebbe stato più difficile riprendere quella confidenza che si era creata. Pensò velocemente a qualcosa da proporre a Vanessa e poi si ricordò di avere abbastanza soldi in tasca.
«P… posso offrirti una cena q… questa sera?» le chiese sentendosi pieno d’orgoglio e pregustando un dopo cena da brividi: lui e lei nudi sul sedile della sua auto, il seno di lei contro il petto di lui. Qualcosa già si muoveva nei suoi pantaloni. L’ansia della prestazione di certo non sarebbe mancata ma cominciava a pensare meno alle complicanze di quelle situazioni grazie a un qualche giochetto di ormoni che sembrava portargli coraggio dopo ogni scarica.
«Cavolo, grazie» rispose Vanessa mutando subito dopo la sua espressione e portandola su un evidente dispiacere, «ma devo già vedermi con la mia amica Virginia questa sera. Sono a cena con lei. Ma l’invito vale anche per i prossimi giorni, vero?»
Vincenzo annuì dispiaciuto. “Sì, certo. Peccato per stasera» soggiunse.
«Mi dispiace davvero» disse Vanessa avvicinandosi al suo viso e porgendogli un altro bacio sulla guancia. Lui inspirò e trattenne il profumo di lei. Quel qualcosa che aveva preso a muoversi nelle sue mutandine non aveva certo voglia di finirla lì.
Si salutarono e Vanessa si diresse verso la sua auto.
Vincenzo restò sul posto per altri dieci giri di lancetta sottile ripensando a ciò che era appena accaduto. Pensò ad ogni minimo istante di quei minuti trascorsi con lei e quasi si ricordava tutte le frasi che si erano detti. Si sentì meglio, avvertì qualcosa che gli gonfiava il petto e lo faceva sentire un Uomo per la prima volta in vita sua. Si stava frequentando con una ragazza bellissima, qualcuno era passato davanti al bar e lo aveva visto mentre blandiva quella bionda. Poteva tornarsene a casa e sentirsi soddisfatto, poteva sentirsi come tutti i ragazzi della sua età e non più come i suoi amici Fabio e Stefano. Non vedeva l’ora di raccontarlo a qualcuno, soprattutto a Christian, finalmente gli avrebbe fatto capire che Vincenzo Mello adesso era un uomo capace di vedersela da solo.
Era stato facile, in fondo. Pensò ai suoi modi di comportarsi e di rispondere e si rese conto che, in effetti, gli erano usciti naturali. Perché lui era questo, era un ragazzo in gamba e carino. Lo era sempre stato. Serviva solo una svolta del genere per farlo capire a tutti e per sottolinearlo a se stesso.
Alle diciannove e trenta Vanessa era sola a casa e si sistemava per la cena con Virginia. Avevano prenotato un tavolo per le ventuno al Terra, un elegante ristorante in centro. Gli altri ragazzi avevano deciso per una semplice uscita ma Vanessa e Virginia volevano passare una serata diversa per la Festa della Liberazione.
Era impegnata a piastrarsi i capelli ma si dovette fermare quando udì la suoneria del suo cellulare. Rimase qualche secondo incredula quando scorse il nome che compariva sullo schermo, poi rispose. «Ciao Fede. Dimmi.»
«Ehi stupenda» disse Federico. Non la chiamava mai in quel modo, eccetto quando aveva voglia di scopare, e questo Vanessa lo aveva capito già prima di rispondere alla chiamata.
«Dimmi» ripeté lei cercando di mostrare orgoglio e distacco. Non aveva voglia di essere il suo giocattolo pronto all’uso.
«Che fai stasera?»
«Sono al Terra con Virginia»
«Ma dai. Ti annoierai.»
«Non è vero.»
“Sì, invece. Perché non passiamo la serata insieme?» propose Federico cercando di imitare una voce più provocante possibile.
«No, Fede. Virginia ha già prenotato e devo passare a prenderla tra mezz’ora. Sono già in ritardo, fammi sistemare per favore.»
«Dove sei adesso?» chiese lui ignorando la supplica di Vanessa.
«A casa.»
«Sei sola?»
“Sì. I miei sono a cena con i miei zii.»
«Arrivo allora.»
«No, Fede. Ti ho detto che Virginia mi sta aspettando!»
«Ma chi sarà mai Virginia? Liquidala dicendole che non ti senti bene.»
«Non posso. Fammi chiudere.»
«Non ti va una bella serata io e te? Soli soli in casa tua. Nel tuo letto. Tanto i tuoi arriveranno tardi come ogni volta, lo sai.»
Vanessa rimase in silenzio e avvertì il piacere di accarezzare il petto nudo di Federico, di stare sotto le coperte con lui, preparare una cenetta fatta in casa e sorprenderlo.
«Dai. Lo so che lo vuoi» insistette lui.
Lei sbuffò. «Mando un messaggio a Virginia e le dico che ho mal di testa. Vieni appena puoi.»
«Fantastico» rispose Federico facendo seguire una risatina. «Arrivo stupenda.»
Federico guardò gli azzurri e profondi occhi di Vanessa con aria vogliosa. Erano in piedi a pochi centimetri dal letto matrimoniale. Vanessa sorresse il suo sguardo e avvertì un piacere crescente invadere il suo corpo inebriato. Sapeva che in quelle emozioni c’era passione. Era come se Federico fosse stato fatto per lei, aveva tutti i particolari curati nel dettaglio, e come una chiave, andavano ad aprire le porte più nascoste della sua mente facendo sgorgare un piacere inimitabile. Solo Federico aveva le chiavi per quelle stanze, solo lui poteva aprirle a suo piacimento. Le due bocche si avvicinarono e si sfiorarono, lui le infilò la lingua e Vanessa socchiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quel bacio. I due corpi si approssimarono assetati di contatto. Si sfilarono via le magliette e poi i jeans, poi fu la volta dell’intimo. Federico la prese in braccio e la distese sul letto, si posizionò sopra di lei e riprese a baciarla e a sfiorarla con le mani. Vanessa riusciva a percepire ogni minimo movimento del suo corpo, ogni minimo tocco o sfioramento sulla sua pelle le sembrò amplificato, come se le energie della sua mente fossero indirizzate solo agli stimoli sensitivi di quel groviglio umano tralasciando qualsiasi altra cosa. Poco le importava di cosa ci fosse intorno, qualsiasi rumore che non fosse lo sfiorarsi dei due corpi e delle loro lingue passava inevitabilmente inosservato, qualsiasi dolore derivante dalla presa forte delle mani di Federico o dallo strisciare delle sue unghie sulla pelle doveva dare la precedenza al piacere… solo e soltanto un immenso piacere.
Lui le mise la mano a coppa sul seno e strinse, lei sospirò e gemette avvertendo un brivido. Percepì qualcosa in mezzo alle gambe che si avvicinava sempre più all’inguine cercando di irrompere al suo interno e poi l’unione fu completa. In quel momento non vi era più il corpo di lui e il corpo di lei. Non vi era una fine o un limite anatomico a segnare i confini. In quel momento erano una cosa sola!
I loro corpi presero un ritmo coordinato che sembrava fosse stato preparato meticolosamente in precedenza. Il ritmo di lui era leggermente più aggressivo, al contrario di quello di lei, che quasi sottostava e moderava quella violenza che cresceva sequenzialmente acquistando un filo di spietatezza. Federico abbassò il viso verso il petto di lei e prese un capezzolo tra i denti senza rallentare quella danza vacillante. Lei gemette e per la prima volta avvertì un lieve dolore. «Mi fai male» gli disse sottovoce.
«Io ti devo fare male!» rispose lui biascicando con voce ansimante.
Per qualche istante il piacere nell’organismo di Vanessa aveva smesso di crescere e si era bloccato su di un livello costante, come se quei secondi fossero solo un’attesa nella quale doveva impegnarsi a far godere il partner per portarlo alla fase finale.
Federico si sollevò e le chiese di girarsi, lei obbedì e subito dopo Federico si ritrovò in piedi al bordo del letto con la veduta di una schiena liscia e di un sedere tondeggiante e scolpito in modo perfetto. Si avvicinò al corpo di lei e riprese a muoversi. Questa volta l’accelerazione fu più brusca e in pochi secondi la cadenza raggiunse l’apice. Un ritmo armonico di natura crescente che gli umani cercano in qualsiasi esperienza gradevole: nei libri, nei film, nelle feste… a qualsiasi svago piacevole quel ritmo sembra dargli il tempo giusto. Qualcosa che inizia piano deve poi finire forte, così ha deciso la natura umana.
Vanessa avvertì un’esplosione nel suo corpo, la sua mente si disconnesse dal mondo esterno e qualsiasi sospiro o parola di lui, qualsiasi movimento o verso, le sembrarono entusiasmanti. In quel momento lui aveva assunto la massima perfezione e il mondo intorno poteva andare a farsi fottere! La scarica di piacere partì dalle zone intime e si estese velocemente in tutto il corpo fino alle gambe e ai piedi, come un’onda impetuosa che mangia la sabbia in un istante. Ci fu un rilassamento totale che durò pochi secondi ma subito dopo Federico riprese il ritmo. Continuarono per qualche altro minuto, sempre più forte. Vanessa aveva le mani poggiate sul materasso e strinse con forza le morbide lenzuola tra le dita. Federico si trovava all’acme del piacere incondizionato e Vanessa lo percepiva perfettamente. Lui guardò le spalle di lei e mise in campo le ultime energie. Le scapole di Vanessa si avvicinarono alla spina dorsale e lei sollevò la testa gridando. Il suo corpo si muoveva secondo il ritmo dettato da Federico, che si sentiva autoritario e dominante. Adesso era il suo momento: l’ambiente intorno si smaterializzò, il piacere gli invase l’addome e poi le gambe. Le dita dei suoi piedi si mossero su e giù e i quadricipiti si contrassero. Qualcosa nel suo interno perse il controllo e rese tutto più bello. Qualcosa gli gridava che vale la pena vivere.
Poi calò la calma totale, la quiete dopo la tempesta. Federico si lasciò cadere sulla schiena di lei e insieme si distesero sul morbido materasso. Chiusero gli occhi e lui sospirò per l’ultima volta. I loro corpi e le loro menti ripresero pian piano a rimettersi in ordine.
Alle ventuno in punto Federico aveva lasciato la casa di Vanessa per raggiungere gli altri. Lei era rimasta basita e gli aveva chiesto di restare tutta la sera, visto che per lui aveva dato buca a Virginia. Lui, strafottente come sempre, se ne era andato con un sogghigno arrogante. “Tra di noi c’è solo sesso, stupenda. Non possiamo passarci la serata a coccolarci. Mettitelo in testa!”
Vanessa chiamò Virginia più volte ma lei non rispose. La serata era ormai saltata.
Di andare in centro con gli altri non se ne parlava. Sarebbe stata tutta la sera a guardare Federico imprecando tra sé e sé.
Si alzò dal letto con le lacrime agli occhi. Avvertiva nel torace e nell’addome un oggetto incandescente che si alimentava della sua rabbia e cresceva di secondo in secondo. Sfilò un fazzoletto dal pacchetto posato sul mobile e si asciugò gli zigomi. Poi si voltò alla sua destra e fece qualche passo. Prese una foto dal suo comodino che ritraeva lei e Federico sorridenti durante la gita di terza media. La guardò, fissò gli occhi di lui ed esplose in un altro pianto. Ci era mancato solo che Federico le lasciasse cinquanta euro sul letto prima di andar via. Si sentiva umiliata, usata, proprio come un oggetto. In quel momento, lei non contava nulla per nessuno, valeva meno di tutti, anche di Virginia, anche di Vincenzo Mello. La sua dignità era un tratto di matita su un foglio bianco e Federico era una gomma nuova, con gli angoli ancora perfetti e puliti.
Si sedette sulla scrivania e ci posò la fotografia sopra, prese una penna nera e posizionò la punta sulla faccia di Federico. La fece strisciare da un lato all’altro del viso e la fece ritornare indietro. Una linea nera sottile andava dall’orecchio sinistro a quello destro.
Una lacrima le scivolò sul viso e precipitò sulla foto.
Allora decise di tirare un’altra linea, dalla mandibola di Federico fino alla fronte.
Le lacrime le inondarono il viso, cominciò a muovere la punta della penna da una parte all’altra del tratto di foto sul quale era raffigurato il volto della causa delle sue sofferenze.
Mise più forza nel polso e calcò sempre più, aumentò il ritmo e fece scorrere la penna avanti e indietro senza soste ad una velocità consistente. Il suo viso divenne increspato e cupo. Le sue dita aumentarono sempre più la forza. La punta della penna perforò la foto e cancellò il viso di Federico una volta per tutte. In quell’immagine non poteva restare nemmeno un capello di lui, nemmeno un orecchio. Doveva restare solo il viso di lei, bello, sorridente e solitario, senza alcuna causa di sofferenza.