Aveva girovagato tra i cassetti della casa per tutto il giorno e alla fine l’aveva trovata, proprio nel secondo cassetto del comodino della camera da letto di sua madre, immersa sotto la biancheria intima. Vincenzo prese quella busta e la strinse tra le mani sorridendo. Il suo era un sorriso cattivo, il classico ghigno di vendetta. Dieci ore prima, poco dopo le sei del mattino, aveva avuto una forte discussione con la madre prima che lei andasse a lavorare. La storia con Vanessa si era fatta seria prima del previsto, e cosa fanno per prima cosa i veri cavalieri con le proprie ragazze? Comprano loro un bel regalone. E lui doveva fare lo stesso. Ma con quali soldi?
Per questo si era alzato presto per chiedere qualcosa a sua madre, ma ovviamente lei aveva respinto la sua proposta con quel tocco di arroganza in più che era servito per far perdere le staffe a suo figlio. Avevano litigato per dieci minuti senza sosta, lei aveva maledetto il giorno della nascita di lui, Vincenzo le aveva risposto evidenziando la sua inadeguatezza nel compito di “madre”. Dopo che lei ebbe sbattuto la porta di casa per dirigersi al Piccadilly, Vincenzo aveva cominciato a rovistare per tutta casa alla ricerca di quella busta da lettere bianca. Sapeva che sua madre conservava sempre i risparmi del lavoro in quella famosa busta, gli era capitato di vederla più volte in giro ma lei cambiava spesso nascondiglio. Aprì la busta e notò fogli di colore verde, arancione e blu messi senza rispettare un ordine crescente. Li contò velocemente. Tremiladuecentosettanta euro. I risparmi di sua madre.
Pensò di prendersene solo cinquanta, ma dubitava del fatto che sua madre sapesse con precisione quanto ci fosse in quella busta e per questo si rese conto di poter salire a cento. Ma voleva comprare una borsa di marca alla sua splendida principessa, quindi, centocinquanta potevano assicuragli un buon acquisto. Rimise la busta a posto e ci posò sopra la biancheria. Chiuse il cassetto e si alzò in piedi soddisfatto e sorridente con i soldi tra le mani come se fossero il premio meritato di un concorso.
Amore mio, oggi ti farò un regalo stupendo.
L’immagine di quel bacio non lo aveva lasciato libero un secondo e aveva cambiato drasticamente il flusso di neurotrasmettitori e ormoni nel suo organismo. Era già innamorato? Aveva sentito, qualche volta, che le coppie normali si dicono Ti amo dopo qualche mese, non subito. Quindi doveva ancora aspettare, altrimenti sarebbe apparso patetico. E non poteva smontare l’immagine che Vanessa si era fatta di lui.
Andò in città e passeggiò per i negozi del Centro Storico di Lecce. Scelse una borsa Armani blu scuro in offerta a centotrentanove euro. Soddisfatto, tornò a casa e parcheggiò la sua macchina come l’aveva lasciata, sua madre gli aveva intimato di non permettersi ad usarla.
Posò il regalone sul tavolo del soggiorno e prese il cellulare per chiamare Vanessa.
Ti devo dare qualcosa, le avrebbe detto.
Dove sei? Posso passare a lasciarti una cosa?
La linea risultò libera e dunque smise di formulare le frasi da dire. Avvertiva la tensione partire dalla pianta del piede e salire fino al petto, e cercò di schiarirsi più volte la gola per evitare di sembrare impacciato. Per attenuare l’agitazione prese a camminare nel prato di fronte casa.
La segreteria telefonica rispondeva a cadenze regolari dopo una decina di squilli ma lui chiudeva e richiamava prontamente. Prima o poi avrebbe risposto, di sicuro non stava lavorando.
Chiamata dopo chiamata arrivò a piedi sulla SP241. La delusione cominciò a prendere il posto della tensione. Glielo avrebbe potuto dare anche quella sera o l’indomani mattina, ma quando doveva fare una cosa amava farla subito e togliersi il pensiero, e da qui derivava tutta la sua delusione. Chiuse il cellulare, lo mise in tasca e si indirizzò di nuovo verso casa.
«Ehi» lo chiamò qualcuno alle sue spalle.
Si girò e vide Christian in abbigliamento sportivo che rallentava il passo dopo la corsetta pomeridiana. Indossava una maglietta a manica corta gialla Adidas e dei pantaloncini rossi con lo stemma del Liverpool.
«Ciao Christian» rispose Vincenzo. «Non sei tornato a Brindisi questa settimana?»
«Mi son preso un po’di giorni liberi» disse facendo susseguire un’espirazione forte con l’intento di spezzare l’affanno. «Ho quasi finito il tirocinio e ho un esame bello tosto in vista. Quindi ho deciso di restare a casa per prepararlo» disse combattendo col fiatone.
«Ho capito» rispose Vincenzo sorridendo.
«Come va? Tutto okay?»
“Sì» disse Vincenzo. «Ho comprato una borsa Armani a Vanessa e tra poco andrò a farle una sorpresa» esclamò col petto pieno d’orgoglio. Hai visto che uomo sono diventato? Pensò.
«Ah» convenne Christian mostrando un filo di incertezza.
Vincenzo rimase deluso.
«Sai, ho pensato a ciò che mi hai detto domenica» riprese Christian, poi sbuffò e spalancò impercettibilmente gli occhi palesando indecisione sul che dire.
«Dimmi pure. I tuoi consigli sono sempre utili» lo incitò.
«Non lo so… non è adatta a te.»
Vincenzo fece una smorfia. «Perché dici questo?»
Nel frattempo qualcosa nella sua mente gli ricordò il fatto che lui sarebbe stato per sempre Vincenzo Mello agli occhi di tutti.
«Perché la conosco bene, so che tipa è. E so che tipi sono i suoi amici» proseguì Christian parlando con cautela, come se quelle parole potessero ledere il suo amico.
«È cambiata» rispose Vin, ma l’insicurezza aveva già avvolto ogni sua parola.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Lo dico per te, lo sai. Li conosco molto bene, anche se, per fortuna, non sono mai uscito con loro. Sono dei ragazzacci, delle persone orribili. Non vorrei che lei si prendesse gioco di te. O nel peggiore dei casi tutti loro.»
«Non credo. Come ti ho già detto lei mi ha anche baciato.»
«Lo so, lo so. Io spero che i miei sospetti siano infondati e spero che abbia ragione tu a dire che sia cambiata. Però…» fece una smorfia tipica chi non riesce a trovare le parole adatte al discorso, «sii prudente, ecco. Cerca di non affezionarti troppo.»
Sono innamoratissimo, pensò Vincenzo. Ma come aveva detto prima a se stesso, i ragazzi normali si innamorano dopo qualche mese, quindi doveva fare lo stesso.
«Va bene, ma tu stai tranquillo» gli rispose sorridendo.
I tentativi di metterlo in guardia di fronte alla trappola di Vanessa non avevano funzionato e non lo avrebbero mai fatto. Era già troppo preso per guardare in faccia la realtà, troppo preso per rendersi conto dell’assurdità di quella coppia che stava fingendo di crearsi.
«Sii prudente» rispose Christian con tono troppo serio. Riprese a correre e Vincenzo si incanalò verso casa, prese il cellulare e fece qualche altro tentativo.
Un telefono squillava ignorato con una melodia dei Red Hot Chili Peppers su di un comodino bianco e rosa. A un metro di distanza, Vanessa era impegnata a godersi emozioni intense tra le lenzuola del suo letto con il suo amico Andrea, un ragazzo ventottenne conosciuto nell’estate del duemiladodici a Porto Cesareo. Quell’estate Vanessa l’aveva passata nella marina sullo Ionio con i genitori, e in una delle tante serate di festa e musica nei lidi, aveva conosciuto Andrea. Tra i due c’era stata soltanto attrazione fisica, e ciò stava bene a entrambi. Lui non era di certo all’altezza di Federico, ma poteva andare bene come passa tempo. Non si vedevano da un po’, ma lui era di passaggio a Lecce e le aveva telefonato, lei lo aveva invitato a casa per un caffè con un seguito che per essere prestabilito non aveva avuto bisogno di parole.
La sua amica Virginia, una volta, le aveva consigliato di non darla a chiunque, o almeno, di attendere qualche mese tra un ragazzo e l’altro. Secondo lei, questo le avrebbe evitato di beccarsi qualche nomina in città. Vanessa aveva provato a seguire quel consiglio ma Andrea non lo conosceva nessuno, e nessuno dei suoi amici sarebbe venuto a conoscenza di quel rapporto. Quindi si poteva fare.
Alla seconda telefonata di Vincenzo si era liberata dal groviglio per dare una sbirciata al cellulare. Anche Andrea aveva lanciato un’occhiata per vedere chi fosse.
Vincenzo M.
«È il tuo ragazzo?» le aveva chiesto lui.
«No» gli aveva risposto Vanessa. «È soltanto uno sfigato. Dai, vieni. Continuiamo».