L’attesa per l’arrivo di Stefano fu qualcosa di insopportabile e degradante. Vincenzo andò avanti e indietro sul bordo dell’anfiteatro per quasi mezz’ora. Gli tremavano le gambe e gli sudavano le mani e le ascelle. L’una era passata da poco e Vanessa non si era fatta sentire. Dalla notte prima, dopo il saluto nella stanza del B&B, non ne aveva più saputo niente. Le aveva mandato un altro messaggio ma lei non aveva risposto nemmeno a quello. Non le era successo niente, Vincenzo lo sapeva, anche perché lei era entrata e uscita da WhatsApp una decina di volte. Ma tutte quelle paure e quelle paranoie che nei giorni precedenti erano state sepolte grazie alla forza dei sentimenti che aveva cominciato a provare per Vanessa si erano ripresentate nella mente e nello stomaco. Tutti i consigli che gli erano stati dati dai suoi amici Stefano, Fabio e Christian, gli risuonavano nella mente come se uscissero da una cassa amplificata posta a pochi centimetri dalle sue orecchie.
Perché nello stesso giorno Vanessa si allontana e Stefano si fa risentire dicendo che ha qualcosa da mostrargli? E perché tutto ciò è avvenuto dopo che Christian gli ha consigliato di lasciar perdere tutto perché forse c’è qualcosa sotto?
I veloci processi di pensiero si spensero di colpo. Dall’angolo di Via Trinchese era apparso Stefano, che a passo svelto si stava dirigendo verso Vincenzo.
Mello si fermò e si approssimò sul piccolo muretto dell’anfiteatro posandoci sopra il sedere. La paura lo stava soffocando e tutto ciò che voleva era uscire subito da quella storia.
«Vincenzo» disse Stefano posizionandosi frontalmente al suo amico.
«Cos’è successo?» gli chiese lui.
«Cosa hai fatto con Vanessa?» E con quella frase, Stefano rafforzò le paranoie di Vincenzo e le rese vive!
«C… cosa intendi?»
«Ti avevamo detto di lasciar perdere. Perché non hai voluto ascoltarci? Le persone così non cambiano da un momento all’altro. Sono cattive e lo saranno per sempre.» Il suo tono era più di disperazione che di rabbia.
«S… Stef… Stefano io, io, io non so cosa vuoi dire.»
«Sei stato con Vanessa in questi giorni? Ti ha fatto spogliare, vero? È stata lei?»
Vincenzo si accigliò ma rimase in silenzio. Il panico lo aveva sovrastato.
«Ha fatto una cosa del genere?» ripeté Stefano.
“Sì.»
«Che bastarda. Lo sapevo. Appena ho visto il video sapevo fosse opera sua.»
«Che video?» chiese Vincenzo con il pianto che si preparava in volto.
«Mi dispiace Vincenzo.» Stefano prese il cellulare dalla tasca e manovrò qualcosa sullo schermo. «C’è questo video che sta girando tra i nostri coetanei da stamattina.»
Gli puntò lo schermo in faccia e gli mostrò una chat aperta con un ragazzo di nome Daniele.
“Ehi Ste, ma questo non è il tuo amico?” aveva scritto lui. Sotto compariva un video con un hashtag: #vincenzomellohaunpiccolopisello.
Vincenzo premette play.
“Comincia. Avanti!” diceva una voce femminile della quale non si vedeva la faccia. Al centro della scena, in una stanza dalle pareti grigie e un pavimento coperto da un grande tappeto rosso, era posizionato Vincenzo.
Tolse la maglietta e la gettò per terra. Poi attese guardando qualcosa che si trovava davanti a lui, ma che la visuale limitata non lasciava intravedere.
“Continua” disse quella voce dopo qualche attimo di silenzio. Vincenzo tolse le scarpe e i pantaloni e attese ancora. Poi abbassò lo sguardo.
“Continua” ripeté la voce fuori campo.
Afferrò le mutande e le tirò giù.
«Basta! Spegni questo coso!» urlò Vincenzo attirando l’attenzione dei passanti. Stefano obbedì e rimise il cellulare in tasca.
Vincenzo era sconvolto. Aveva le mani tra i capelli e le lacrime gli avevano imperlato le guance.
«Oh mio Dio» biascicò.
«Ehi, stai tranquillo. Li puoi denunciare!»
Vincenzo agitò più volte la testa da destra a sinistra. «Chi è in possesso di questo video?»
«Io, non lo so!» rispose Stefano rammaricato. «Ma potrebbero diffonderlo a tutti se non ti sbrighi a denunciare il fatto.»
«Aiuto» disse Vincenzo tra sé e sé.
I turisti e i ragazzi che si trovavano di passaggio lanciarono un’occhiata prolungata alla scena e poi proseguirono per la loro strada.
«Fallo cancellare a tutti. Ti prego» disse Vincenzo.
«E come dovrei fare? Ti ho già detto che devi denunciarli. Subito.» Vincenzo, che era in balia di un trambusto interno che lo deteriorava rapidamente, si deprimeva solo al pensiero di andare dai carabinieri e di sedersi in tribunale davanti a Vanessa e Federico. Denunciarli avrebbe significato dichiarare guerra a Manzoni e dunque non poter uscire più di casa. Doveva chiamare Vanessa e chiedere pietà. In fondo, si doveva essere affezionata almeno un po’ in quei giorni.
Prese il telefono e la chiamò. Squillò sei volte e lei chiuse la chiamata.
«Devi denunciarli» gli ripeteva Stefano.
«Lasciami fare» rispose Vincenzo disperato.
Fece altre sei o sette chiamate e ogni volta lei rifiutò. Ma all’ottava dovette arrendersi.
«Che cavolo vuoi?» rispose la voce femminile del video.
«V… Vanessa. P… perché lo hai fatto? N… noi stavamo bene.»
Vanessa si fece una forte risata. «Ma davvero credi che io possa innamorarmi di un fallito come te?»
«N… no. Okay. Ma per favore togliete il video. N… non merito questo.» Lei rise ancora. E in quelle risate Vincenzo scorse il Male. Per la prima volta ebbe di fronte ad esso la malvagità, pura e lucente, nel suo massimo splendore. Da quel momento in poi, si sarebbe immaginato il Male come la risata di Vanessa De Maio.
«Vanessa, mi costringerete a denunciarvi» le disse cercando di intimorirla.
«Perché non provi? E vedi cosa ti succede. Ah, a proposito. Qui a fianco a me c’è Federico. Ti manda i saluti!» I due si misero a ridere di gusto e Federico disse qualcosa di incomprensibile.
«M… mi farete del male con questa cosa. Io, io… mi rovinerete.»
«Ah, ti rovineremo? Ma cosa, poi? La reputazione?» le sue parole erano vasi stracolmi di sarcasmo e di crudeltà. «Tranquillo. Lo sanno tutti che sei scemo, fallito e ridicolo. Questo non cambierà la tua posizione. Anzi, almeno con questo video farai morire di risate qualcuno. Vedi? Anche gli stupidi hanno la loro utilità. E noi abbiamo trovato la tua. Dovresti ringraziarci scemo.»
«P… per favore Vanessa vieni qui e ne parliamo. Sono in piazza Sant’Oronzo. V… vi posso dare soldi. T… tutto quello che volete. Per favore!» Non aveva idea di dove avrebbe trovato quei soldi ma se loro avessero accettato lo avrebbe fatto subito.
«Ah, sei in piazza? Dove precisamente?»
«Vicino l’anfiteatro. Vieni, ti prego. Troveremo una soluzione e poi non mi farò mai più sentire.»
«Scordatelo idiota. Sarai il personaggio più ridicolo della città adesso. E fammi chiudere questa chiamata. Mi hai stancato. E se proverai a richiamarmi Federico ti prenderà a calci in culo. Hai capito?»
Le quasi impercettibili speranze di trovare una soluzione svanirono del tutto dopo quella frase. Vincenzo si sentì in una gabbia di umiliazione, la sua vita non sarebbe stata più tranquilla. Mai più!
«Sei…» disse accennando un pianto. «Sei una maledetta puttana!»
«Cosa hai detto?» chiese Vanessa sorpresa.
«Sei una puttana di merda e vai all’inferno!» urlò Vincenzo.
«Ehi, stupido. Girati un attimo. Guarda verso il McDonald’s.» Vincenzo si voltò a sinistra e vide in lontananza Federico Manzoni e Vanessa De Maio. Il suo battito cardiaco accelerò bruscamente.
«Adesso ti becchi una bella scarica di pugni davanti a tutti. Aspetta e vedrai!» disse Vanessa, e insieme a Federico, presero a camminare verso Vincenzo.
Mello mise il cellulare in tasca e fece segno a Stefano. «Vieni con me, presto, aiutami!»
«Vincenzo io, non voglio immischiarmi sinceramente» rispose lui indietreggiando.
Vincenzo lo guardò e scosse la testa deluso, poi cominciò a correre verso il cinema Massimo, dove era parcheggiata la sua auto. Appena Federico e Vanessa si accorsero della sua fuga cominciarono a correre anche loro.
Circa duecentocinquanta metri separavano Vincenzo Mello dalla sua macchina. Mosse le gambe più velocemente possibile e attraversò le strisce pedonali senza guardare. Qualcuno suonò il clacson ma lui lo ignorò. Un tipo su una Golf nera lo insultò pesantemente. Vincenzo incanalò il sentiero di mattonato che costeggia Via Marconi e corse schivando i passanti. All’altezza della Fontana dell’Armonia dovette fermarsi. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione. Una piccola fiammella di speranza si accese nel buio pesto.
Di fronte a lui vi era Carmine Serti. L’amico che avrebbe sempre voluto avere.
Vincenzo lo rincorse e gli posò una mano sulla spalla. Carmine si girò e corrugò la fronte. Si sorprese nel vedere qualcuno spaventato in quel modo. Sembrava avesse visto un fantasma.
«Carmine aiutami, ti prego» gli disse Vincenzo.
«Che succede?» gli chiese Carmine.
«Federico Manzoni. Mi sta inseguendo. Vuole picchiarmi. Aiutami!» Carmine vide all’orizzonte Federico e Vanessa intenti ad attraversare la strada che li avrebbe portati sul viale della Fontana dell’Armonia. «Cosa? Perché vuole picchiarti?»
«Io non ho fatto nulla. Sono stati loro a…» Vincenzo si voltò indietro e notò che i due si erano già rimessi a correre verso di lui. «Ti spiegherò dopo, okay? Vieni con me per favore.» Mosse il passo e gli fece segno di inseguirlo. Carmine stava andando al lavoro e un ritardo avrebbe fatto incavolare suo padre, dato che il ristorante era strapieno per quel pranzo di sabato, ma non poteva lasciare da solo un ragazzo in quelle condizioni. Senza pensarci tre volte -perché per due lo aveva già fatto-, inseguì Vincenzo.
Attraversarono via Marconi e salirono in una Panda nera vecchio tipo.
Uscirono in retromarcia dal parcheggio e partirono sfrecciando.
A distanza di cinquanta metri, Vanessa De Maio e Federico Manzoni, salirono su una Fiat Stilo celeste e si misero sulla scia della panda di Mello.
All’imbocco di Viale Cavallotti, tra le due auto vi erano quattro altre macchine, che si ridussero a due quando Vincenzo girò intorno agli scavi archeologici per prendere Via San Lazzaro.
Una Panda nera, una Mito rossa, una Delta grigia e una Stilo celeste, percorsero insieme la strada fino a Torre del Parco.
In Viale Rossini, la doppia corsia permise e Federico di sorpassare le due auto e di posizionarsi dietro Vincenzo.
Mello prese la rotatoria del Bar Daniel’s e fece un’inversione a U. Dopo venti metri svoltò a destra e prese via Camassa, ovvero la via di casa. «Vuoi spiegarmi cosa è successo?» gli chiese Carmine mentre si teneva forte con la mano sinistra sul freno a mano e con la destra sulla maniglia dello sportello. Vincenzo alternava lo sguardo tra la strada e lo specchietto retrovisore. «E guarda avanti. Ci penso io a guardare loro», gli disse Serti.
«Questi due bastardi mi hanno umiliato e ora vogliono anche picchiarmi.»
«E dove stiamo andando adesso?»
«A casa» disse Vincenzo. Poi ci ripensò. Non poteva andare a casa. Cosa avrebbe fatto? Era solo e non avrebbe fatto in tempo a scendere dall’auto per entrare in casa. «Anzi, non lo so!» si corresse.
Appena la carreggiata si fece più larga le due auto toccarono i centodieci chilometri orari.
«Devi rallentare e fermarti. Proverò a parlare con loro. Così ci ammazzeremo» gli disse Carmine.
Vincenzo fece scendere altre due lacrime sugli zigomi e fece segno di no con la testa. «Quelli non hanno voglia di parlare.»
Nell’auto retrostante si consumava musica hip hop fatta da un gruppo musicale statunitense -Cypress Hill- con un volume al limite tra l’ascoltabile e l’insopportabile.
«Federico, devi rallentare. Lo prenderemo un’altra volta» disse Vanessa.
«No… lo prenderemo adesso!» Manzoni fece un sorrisetto. «Ho voglia di picchiarlo.»
«Rallenta!» lo implorò lei.
«Ora facciamo rallentare lui. Stai a vedere. L’ho visto fare nei film e funziona.»
«Ma che cavolo dici?» gli disse guardandolo sconvolta.
«A proposito. C’è una busta con dell’erba a fianco a te. Tienila in mano e se noti un posto di blocco gettala via.»
«Perché non mi ascolti mai? Devi fermarti!»
Federico sorrise. «Ma perché mai dovrei ascoltarti? Non sai fare niente tu.»
Vanessa non rispose ma si sentì esplodere.
«Anzi» riprese lui. «Sai scopare. Quello sì» disse ridendo in modo divertito. «E ora stai a vedere.»
Dopo aver attraversato un ponte e una rotatoria, Vincenzo si trovò la SP241 spianata davanti. Spinse al massimo sull’acceleratore e cercò di riprendere la velocità che aveva perso a causa delle curve. «Vincenzo, devi fermarti!» gli disse Carmine.
«Se ne andranno prima o poi» rispose Vincenzo. “Si arrenderanno.»
«Non credo proprio.»
Mello guardò lo specchietto retrovisore e vide l’immagine della Stilo ingrandirsi sempre di più per poi scostarsi sul lato sinistro della strada.
Le due auto sfiorarono i centodieci e salirono sul ponte che sovrasta la Tangenziale est. La Stilo oltrepassò la linea bianca continua, invase l’altra corsia e si accostò alla Panda.
Vincenzo e Carmine si voltarono a sinistra. Vanessa era terrorizzata e gridava qualcosa facendo segno in avanti. Federico Manzoni sorrise con la massima spietatezza.
Tutto sembrò rallentare. Come se il tempo si stesse fermando. I centodieci chilometri orari sembrarono ridursi a dieci. I movimenti di Federico e il labiale di Vanessa sembravano lo svolgersi di un brutto sogno.
Manzoni strinse le labbra e afferrò lo sterzo con forza, tanto che le sue mani si impallidirono. Si mosse come per caricare un colpo e fece ruotare bruscamente il manubrio verso destra. Gli occhi di Vincenzo si spalancarono, si rese conto di non essere più padrone del suo corpo. L’istinto prese il timone. Le sue braccia seguirono i movimenti di quelle di Manzoni. Le ruote anteriori della panda si orientarono sulla destra. Le due macchine non si urtarono per pochi centimetri.
Si sentì un forte stridore, qualcuno urlò. Forse Carmine. Vincenzo si girò in avanti.
Poi l’effetto rallentatore passò. Tutto avvenne in maniera troppo veloce. La visuale della strada divenne una rete grigio chiaro. Lo stridore degli pneumatici sull’asfalto si trasformò nel rumore metallico della carrozzeria che sbatte sul ferro. Si sentì qualche scoppio, il parabrezza si frantumò e a Vincenzo sembrò di cadere da una montagna innevata.
Qualcosa gli urtò la testa ma non sentì dolore. Nonostante fosse seduto avvertiva il vuoto sotto i piedi.
L’abitacolo della macchina mutò, variò di forma e divenne irriconoscibile. Percepì il battito lento del suo cuore e poi un sibilo acuto e particolare, molto simile alle orecchie che fischiano. Qualcosa pressò vigorosamente gran parte del suo corpo. Le ultime immagini che vide furono i visi dei suoi amici Stefano e Fabio. Con loro era tutto più tranquillo. Forse non era bello, ma era molto tranquillo.
Federico accostò con la sua auto e scese di corsa. Vanessa fece lo stesso. I loro sguardi erano terrorizzati e Vanessa aveva entrambe le mani ad avvolgerle la bocca.
Il guard rail e la rete erano sfondati. Per terra vi erano vetri e pezzi di carrozzeria irriconoscibili.
Si approssimarono sull’apertura che si era formata nella rete di sicurezza e guardarono in basso. La Panda era finita sul prato sottostante a poco più di un metro di distanza dalla Tangenziale est.
«Ma che cazzo hai fatto?» gridò Vanessa. Federico era sconvolto. «Non volevo.»
Vanessa scoppiò a piangere. Respirava a fatica.
Manzoni si passò una mano sulla fronte. Poi qualcosa attirò la sua attenzione e guardò sul prato, a cinquanta metri di distanza dalla panda accartocciata.
Qualcuno stava passeggiando sullo sterrato… e non si era perso la scena. «Oh no» disse Federico. «Guarda lì.»
Vanessa seguì il suo sguardo e li vide anche lei.
Sulla stradina in terra rossa vi erano un uomo sulla cinquantina con un folto baffo e un ragazzino su di una sedia a rotelle.
L’uomo si era fermato e li stava guardando. A tratti rivolgeva lo sguardo verso ciò che era rimasto di quella che un tempo era una Panda nera vecchio tipo e poi riguardava Vanessa e Federico.
«Ci ha visti. Ci ha sicuramente visti!» disse Vanessa singhiozzando.
Una Mercedes classe C blu rallentò sulla Tangenziale e mise le quattro frecce. Dietro di lei fece lo stesso una Ford Fiesta bianca.
«Vieni, presto. Andiamo!» disse Federico strattonando Vanessa per il braccio. Lei lo ascoltò senza obiettare e risalirono in auto. Manzoni mise la prima marcia e fece fischiare le gomme sull’asfalto.
Appena si furono allontanati dalla scena di cento metri, Vanessa si voltò indietro e vide una macchina che si fermava vicino alla rete di sicurezza sfondata.
«Cosa cazzo facciamo adesso? Ci hanno visti. Ci distruggeranno!» disse Vanessa nella disperazione totale.
«Conosco quell’uomo» rispose Federico. «So chi è, e so dove abita. Vedremo di trovare una soluzione.»
Le sue parole non incoraggiarono Vanessa.