Di solito Francesco non faceva colazione a casa. Si sistemava in fretta e andava in ospedale passando prima dal bar del primo piano. Ma quella mattina qualcosa gli aveva chiuso lo stomaco. Aveva dormito male e aveva sognato la scena dell’incidente un paio di volte.
Aveva affrontato tanti problemi nella sua vita, ma erano stati sempre problemi appartenenti a lui e alla sua famiglia.
Questa volta non sarebbe dovuto essere un suo problema e invece si era trovato immischiato senza volerlo.
Aveva parlato con Christian la sera prima, e insieme, avevano deciso che bisognava informare la polizia sull’accaduto. Francesco alla fine si era convinto che era la cosa giusta, ma quella tensione derivava proprio dalla sua scelta. Aveva già molto a cui pensare durante le sue faticose giornate, cos’altro si sarebbe dovuto aspettare? Era stanco dei problemi. Due ragazzi che fanno una cosa del genere son capaci di fare qualsiasi altra cosa.
Fece il caffè e poi sistemò Marco, doveva portarlo in ospedale per una visita generale e giacché, ne avrebbe approfittato per confidarsi con un suo collega. Guardò suo figlio e lo abbracciò. Socchiuse gli occhi e disse qualcosa a Dio.
Uscirono di casa poco dopo le otto e trenta. Francesco aprì lo sportello della sua Ford Focus e posizionò Marco sul sedile del passeggero. Si mise alla guida e partì proseguendo sulla stradina di campagna. Giunto in prossimità dell’incrocio della SP241 si fermò e guardò indietro dallo specchietto retrovisore. Scosse la testa e sbuffò. Mise la retromarcia e ritornò verso casa. Aveva dimenticato la sedia a rotelle vicino l’ingresso. La forte ansia di quella mattina lo rendeva più distratto che mai.
In una Lancia ypsilon bianca accostata su una piazzola di sosta a cento metri di distanza vi erano due ragazzi altrettanto preoccupati che fissavano le mosse di Francesco.
Si erano posizionati lì un’oretta prima, anche loro avevano dormito male quella notte. Avevano deciso di risolvere quella situazione entro la mattinata. Per fortuna, Vanessa, aveva il giorno libero al lavoro essendo domenica.
«Ma cosa fa?» disse Federico quando vide la Focus fermarsi bruscamente e tornare indietro in retromarcia.
«Forse ci ha visti» insinuò Vanessa.
«Non ci ha visti. Non può riconoscere la tua macchina. Non essere paranoica!» le disse Manzoni.
«Come faccio a non essere paranoica? L’abbiamo combinata grossa stavolta.»
«Non ha importanza se nessuno ci ha visti. Dobbiamo solo assicurarci che quell’uomo non parli.»
«E se lo farà?»
«Non lo farà» rispose Federico in modo tranquillo, come se stesse parlando delle mosse del personaggio di un film.
«Fede io non voglio andare in prigione.»
«Ehi guardami» le intimò. «Noi non andremo in prigione. Chiaro? Risolveremo tutto. Sei d’accordo?»
Lei assentì con espressione disperata. Si voltò in avanti e restò in silenzio con le braccia tremolanti, poi vide la Focus riapparire all’incrocio e la additò. «Guarda» gli disse.
«Bene» rispose Federico girando la chiave.
Questa volta l’auto non interruppe il suo cammino. Uscì dalla stradina di campagna e si orientò verso Lecce.
Federico accese il motore della ypsilon e la inseguì mantenendosi a distanza.
Dieci minuti dopo, Francesco entrò nel parcheggio privato dell’ospedale e cercò un posto tra le strisce gialle vicino all’entrata principale. Federico e Vanessa, non essendo in possesso del pass, dovettero parcheggiare fuori. Lasciarono l’auto e diedero cinquanta centesimi a un sedicente responsabile del parcheggio esterno che si era premurato anche di lasciare loro un fogliettino numerato.
Andarono a passo veloce verso l’entrata e videro Francesco salire dallo scivolo con la sedia a rotelle.
All’ingresso, qualcuno fermò Serìo e lo salutò. Gli chiese se volesse qualcosa dal bar ma lui disse di no. Intorno a lui si fermarono altri colleghi e questo lo innervosì. Fece di tutto per apparire gentile come sempre ma dopo qualche scambio di battute dovette liberarsi da quel giro di discorsi e andare.
Vanessa e Federico si mantennero a distanza, cercando di nascondersi tra la folla.
Quando Francesco prese il lungo corridoio, loro attesero dietro un angolo per capire quale scala avesse scelto. In tutto vi erano cinque scale, nominate con le prime cinque lettere dell’alfabeto.
«Cosa starà facendo qui in ospedale?» chiese Vanessa a Fede.
«Non lo so. Mi sa che lavora qui» rispose lui.
Nonostante Francesco fosse a più di quaranta metri di distanza fecero attenzione a non alzare troppo il tono della voce.
Quando l’uomo con la carrozzina svoltò per la scala D, i ragazzi si misero a correre in modo da raggiungerlo in tempo. Non volevano assolutamente perderlo di vista.
Si approssimarono alla porta che divide il corridoio dalla scala e guardarono all’interno. Francesco stava entrando nell’ascensore con suo figlio.
«Caspita! Che idioti!» disse Federico.
«Cosa facciamo? Non possiamo seguirlo in ascensore. Ci potrebbe riconoscere. Andiamo vicino alla sua macchina e attendiamo che esca dall’ospedale. Potremmo provare a parlarne direttamente.»
«Ma che cazzo dici?» la ammonì Fede. «Cosa vuoi che ci dica? Che per questa volta chiuderà un occhio? Che idiota che sei!»
«E cosa vorresti fare, scusa?»
«Vedremo. Devo essere sicuro che non ci darà fastidio.» Senza attendere risposta, Federico aprì la porta e andò verso le scale.
«Dove andiamo?» gli chiese Vanessa.
«Proviamo a salire di qualche piano» le rispose.
Francesco arrivò all’ottavo piano e uscì fuori dall’ascensore.
Entrò nel corridoio delle degenze e trovò Andrea.
Il suo collega gli andò incontro. «Cos’è successo?» gli chiese. Francesco gli aveva accennato poco prima per messaggi che aveva qualcosa da confessargli, ma se non gli avesse detto nulla, Andrea avrebbe riconosciuto lo stesso il suo stato d’animo inquieto. Se l’era imparato bene ormai.
Francesco si avvicinò e, prima di parlare, si guardò intorno. «Hai saputo dell’incidente che c’è stato ieri?» disse.
«Quello dei due ragazzi?» rispose Andrea.
“Sì.»
«Certo, caspita» rispose Andrea. «Uno di loro si trova ancora qui nella camera mortuaria. Che disgrazia. Erano giovanissimi.»
«Bene. Non è stato un incidente fortuito. Io ho visto tutto.»
«Buongiorno carissimi» disse qualcuno. Entrambi si voltarono e videro il dottor Andreolli di passaggio.
«Buongiorno dottore» disse Andrea.
Francesco rispose al saluto e cercò di imitare un’espressione tranquilla.
Attesero che il medico facesse qualche altro passo e ripresero il discorso.
«Cosa vuoi dire?» chiese Andrea.
«Voglio dire che è stata un’altra macchina a portare fuori strada quella dei due ragazzi.»
«Ma… com’è successo? Un sorpasso sbagliato?»
«Non credo proprio» rispose Francesco. E con il solo sguardo rivelò la verità al suo collega.
«Vuoi dire che lo ha fatto apposta? Era sua intenzione portarli fuori strada?»
«Credo proprio di sì» disse Francesco mortificato. «Le due auto si stavano inseguendo già da molti metri. Poi, in prossimità del ponte, una ha sorpassato l’altra e le ha tagliato la strada.»
«Porca miseria. Parlavano di un malore poco fa.»
“Sì. La solita scusa. Ma stavolta non è andata così.»
«Che storiaccia. Ma hai visto chi c’era nell’altra auto? Sapresti riconoscerlo?» gli chiese Andrea.
“Sì. Riconoscerei l’auto ma anche i due ragazzi che c’erano all’interno.»
Tra i due ci fu silenzio.
«Credi che debba avvertire la polizia?» disse allora Francesco.
«Beh» rispose Andrea. «Direi che sarebbe la cosa giusta.»
«Appunto.»
Ci furono altri secondi di silenzio e poi Andrea mormorò qualcosa alla quale Francesco non diede importanza.
«Dov’è andato Andreolli?» chiese Francesco.
«Credo abbia preso le scale.»
«Vediamo.» Francesco spinse la carrozzina e ritornò sulla rampa della scala D. Si fermò e cercò di udire un eventuale rumore di passi. Non sentì nulla e storse il muso.
«Forse è ancora in reparto» disse voltandosi indietro, ma si accorse che Andrea non lo aveva seguito. Lasciò la sedia a rotelle sulla rampa e tornò in reparto.
«Andrea? Sicuro che abbia preso le scale?» gridò appena entrato nel corridoio senza sapere dove fosse andato il suo collega.
«Attenzione a non cadere» disse Andreolli ammonendo due ragazzi che correvano sulle scale. Loro non lo degnarono di uno sguardo. Sembravano in preda al panico e Andreolli si chiese se fosse successo qualcosa di grave. Ma al diavolo tutto! Sembrava proprio una mattinata malinconica!
Vanessa si girò per guardare Andreolli ma lui si era già voltato in avanti e avanzava indisturbato verso la sua direzione. Gli avrebbe voluto fare un cenno con la testa per fargli capire che andava tutto bene ma non ci riuscì.
Federico correva senza nemmeno assicurarsi che Vanessa stesse al suo passo. Oltrepassarono la rampa del settimo piano e arrivarono all’ottavo.
Appena svoltarono l’angolo si bloccarono entrambi. Di fronte a loro, a pochi metri di altezza e a una dozzina di gradini di distanza, c’era Marco Serìo immobile sulla sedia a rotelle.
«È suo figlio» disse Vanessa.
«Lo so» rispose Federico, e ricominciò a salire le scale a passo lento.
«Ehi, cosa vuoi fare?» chiese la De Maio ancora impietrita. «Potrebbe esserci anche lui.»
«Lo so» rispose Fede. Ma continuò a camminare verso il ragazzo paralizzato stando ben attento a ogni minimo rumore.
Vanessa scrollò la testa e mostrò cenni di esaurimento in viso. Mosse anche lei un passo sul primo gradino a ricominciò a salire.
Arrivarono sulla rampa e guardarono Marco. Lui li fissò qualche secondo e poi rivolse di nuovo lo sguardo in basso.
«Andiamocene da qui!» disse Vanessa a voce bassa.
Federico la guardò e le fece segno di stare in silenzio. Diede un’occhiata alle scale che portano al nono piano e poi si affacciò dal vetro della porta per sbirciare in reparto. Si rivoltò verso Vanessa e si mostrò pensieroso.
Lei aprì le braccia e scosse la testa come per chiedergli cosa stesse facendo.
Federico restò fermo ancora un istante. Assorto e dubbioso. Guardò Marco e socchiuse gli occhi. Si avvicinò alla sua amica e le parlò sottovoce. «Cosa vuoi fare? Cercare di rimediare o andare in prigione per trent’anni?»
«Cosa dici? Spiegati bene» rispose lei. «Vuoi che aspettiamo qui il padre di Christian e poi gli chiediamo di stare zitto? Potremmo proporgli una ricompensa in denaro?»
«Sei una stupida. Ma credi di stare in un film? Pensi davvero che quell’uomo potrebbe chiudere un occhio e lasciar perdere tutto? Ma sai quanto costa un silenzio del genere?»
«Non lo so. Non chiamarmi stupida!»
«Bene. Se hai centomila euro daglieli e torniamo a casa. Ce li hai?»
«Ovvio che no» rispose lei.
«E allora taci e segui i miei consigli.»
«Allora andiamo via e poi pensiamo a cosa fare» gli propose lei appena notò che il suo amico guardava di continuo la carrozzina.
«Io non me ne vado da qui. Ti ho detto che avrei risolto il problema entro stamattina. Dopo sarà troppo tardi!» Ferocia e determinazione si mescolarono nella sua espressione gelida.
«Cosa vuoi fare, Fede? Non toccare questo ragazzino per piacere!» disse Vanessa quasi singhiozzando.
Un frastuono distrasse Francesco Serìo dalla conversazione con Andrea. Si voltò e si rese conto che il rumore veniva dalla scala D. Si mise a correre più forte che poteva e spalancò la porta.
Rimase a bocca aperta e avanzò a rilento verso le scale. Il suo sangue sembrò fermarsi e divenne pallido in volto. In un attimo, tutta la saliva si ritirò dalla bocca. Passo dopo passo, la visuale della discesa di scale diventava completa. C’erano pezzi di ferro ovunque, una ruota era rimasta a metà scala, sulla rampa più in basso vi era sangue e un corpo che sembrava quasi accartocciato.
Tutti i problemi che aveva in testa un attimo prima si erano cancellati. Non aveva pensato più a nessuno di loro.
Ho lasciato la carrozzina senza freno!
Si chiese come era potuto accadere. Incolpò la distrazione, poi lo stress, ma nessuna scusa gli sembrò valida. Un senso di fallimento e di fine lo avvolse e lo stritolò trascinandolo in un inferno non troppo lontano dalla terra.
Pessimo padre, gli disse una vocina. Non ci sono scuse, hai fallito!
Gli venne in mente lo sguardo triste di sua moglie e poi quello di suo figlio Christian sconvolto.
Non potrai mai perdonartelo, è la fine! Continuava a dirgli la vocina. Udì un richiamo alle sue spalle che sembrava provenire da una realtà separata dalla sua tramite una robusta barriera.
Non capì cosa gli disse quella voce. Si voltò solo un attimo e riconobbe Andrea. Gli stava dicendo qualcosa, stava urlando, era sconvolto, ma non riusciva a comprenderlo. Lo vedeva sfocato e la sua voce rimbombava così forte da far perdere significato alle parole. Francesco si voltò e vide il finestrone delle scale semiaperto. Agì senza pensare. Si mise a correre, spalancò la finestra e la oltrepassò abbandonandosi nel vuoto.