Una Mercedes nera svoltò su una stradina comunicante con la SP241 ad alta velocità. Alzò un polverone che per un attimo cancellò la visuale sullo specchietto retrovisore ed accostò su un ritaglio di prato che divide due case molto simili tra loro.
Il dottor Andreolli scese dall’auto col cuore in gola e guardò la casa sulla sua destra. Era la casa del suo amico Francesco Serìo.
Era già stato lì qualche volta, e secondo i suoi sospetti, i due ragazzi scomparsi si dovevano trovare proprio lì dentro -in quali condizioni non osò immaginarselo-.
Si avvicinò all’ingresso e salì le scale. Si accorse che la porta era aperta, una piccola fessura lasciava intravedere gli interni.
Entrò in casa e accese le luci. Nel soggiorno non c’era nessuno. Si guardò per bene intorno, sembrava una casa disabitata da tempo. Provò ad avanzare e andò nella stanza a fianco. Tutto vuoto. Si distrasse guardando una foto sul muro che raffigurava Christian, Marco e Francesco. A fianco ve ne era una della moglie di Francesco.
Avevano tanti problemi ma erano felici! Pensò. Decise di rimandare quelle lacrime pronte a venire al mondo e ritornò nel soggiorno per prendere le scale. Le salì pian piano e domandò se ci fosse qualcuno. Non udì risposte. Controllò prima la stanza di Christian e poi quella di Francesco. Diede un’occhiata anche nel bagno ma era tutto deserto.
La casa sembrava disabitata da mesi. Era ridotta in pessime condizioni e c’era odore di chiuso.
Scosse la testa e per un attimo pensò che quelle di Christian potessero essere solo altre allucinazioni. Forse non aveva fatto niente di tutto ciò che aveva fatto intendere.
Ritornò al piano terra e si guardò ancora intorno. Ebbe una sensazione di disorientamento. Girò pian piano su se stesso e guardò le foto appese ai muri. Quando osservò una cornice a pochi centimetri dalla finestra venne attratto da qualcosa. Fissò la casa adiacente e ricordò le parole di Christian.
Lui pensava di essere di essere Vincenzo! si disse convinto.
Uscì fuori e andò verso l’abitazione adiacente. Senza saperlo stava camminando sul prato dove Christian aveva lottato contro le sue paure nei giorni precedenti. Appena mise piede sotto il porticato un brivido gli percorse la schiena. Per terra vi era un cacciavite insanguinato. Le sue pupille si dilatarono come se fosse al buio, ma era una splendida giornata e il sole rendeva radioso ogni angolo. Procedette a rilento e aprì la porta che portava al soggiorno. Non si sorprese di averla trovata aperta.
Quando l’anta in legno si dissipò dal suo campo visivo avvertì un gelo invernale invadergli la mente. Le sue supposizioni erano vere. Doveva aspettarselo.
Christian, nelle vesti di Vincenzo, aveva catturato coloro che pensava avessero causato il suo incidente. Erano entrambi legati su due sedie al centro della stanza.
La luce che filtrò dalla porta illuminò i visi dei due ragazzi ed entrambi alzarono la testa per dare un’occhiata. L’immagine che apparve agli occhi di Federico fu poco nitida. Ma di una cosa fu subito sicuro: il tipo che aveva davanti non era Christian Serìo.
Vanessa riuscì a vedere solo una sagoma immersa in un’accecante luce gialla. I muscoli del suo collo cedettero subito e riabbassò la testa. Non ragionò nemmeno su chi potesse essere. Non comprese nemmeno che qualcuno era entrato nella stanza. A dire la verità, non capì nemmeno dove si trovava.
Andreolli si avvicinò a Federico e gli strappò il nastro dalle labbra.
«Chi… sei?» chiese il ragazzo sofferente.
La parte sinistra della sua maglietta e del suo pantalone era imbevuta di sangue. Si intravedeva un foro sulla coscia e una ferita sulla spalla. «Chi vi ha fatto questo?» chiese Andreolli per avere conferma.
Federico lo guardò ma non riuscì a mettere bene a fuoco il suo viso. Aveva ripreso coscienza da poco ma non riusciva a percepire gran parte del suo corpo. Non si rese nemmeno conto se fosse in piedi o seduto o sdraiato. «Sei… un poliziotto» disse sottovoce.
«No. Sono un medico. Chi vi ha fatto questo?»
«A… Aiutami» disse Manzoni.
«Dimmi chi vi ha fatto questo» insistette.
«È stato» Federico si fermò a pensare «Christian.»
Andreolli fece un cenno con la testa.
«Aiutami» gli ripeté Federico.
Andreolli andò verso la cucina e prese una bottiglia d’acqua. Si avvicinò e sciacquò il viso di Federico.
Solo allora la vista di Manzoni si fece più nitida e riuscì a vedere il viso dell’uomo che li stava salvando.
È finita! Pensò speranzoso.
«Slegami… P… Portami in ospedale.»
«No!» disse Andreolli con tono serio.
Federico si sentì confuso. Abbassò lo sguardo e notò che l’uomo indossava dei guanti in lattice. Quando lo riguardò in viso gli sembrò più cattivo. Le sue speranze si affievolirono lievemente.
«Aiutami» gli disse.
«Siete stati voi, vero? Avete fatto uscire voi Vincenzo Mello fuori strada.» Federico non si aspettava che in quello stato sarebbe potuto andare incontro a una spinta di adrenalina, ma qualcosa gli diede un po’ di ragione e lo svegliò. Non era ancora lucido, ma la frase di quell’uomo lo trascinò verso il mondo reale.
«Noi non volevamo» disse increspando il viso. «Chi sei tu?» gli chiese.
«Non ha importanza» gli rispose l’uomo.
«Vuoi aiutarci?»
«Devi rispondere a un’altra domanda.»
Federico lo fissò senza assentire.
«Siete stati voi a togliere il freno alla sedia a rotelle di Marco Serìo, vero? Siete stati voi quella mattina in ospedale. Io vi ho visti. Mi ricordo le vostre facce. Avete spinto voi la carrozzina dalle scale. Avevate paura di Francesco, perché lui aveva visto tutto e vi avrebbe accusati alla polizia. È così? Devi dirmi la verità. Altrimenti vi lascerò qui.»
Federico avvertì ancora una piccola scarica nelle sue vene. Fece un colpo di tosse smorzato e piegò la testa di lato gemendo a causa di un dolore atroce alla spalla.
«Rispondimi» intimò Andreolli.
«No!» disse Federico con un tono che sembrò più sfogare un dolore che una verità nascosta.
«Bugiardo. Io vi ho visti quella mattina in ospedale. Stavate salendo all’ottavo piano. Siete stati voi. Ti conviene confessarlo se vuoi il mio aiuto!»
Manzoni scosse pian piano la testa e corrugò le sopracciglia. «No» ripeté. «Noi… io… non volevo togliere il freno.» Il dolore alla spalla si faceva sentire sempre di più. Nel giro di qualche minuto non sarebbe più stato capace di parlare. Lo sapeva bene. Emanava dei gemiti di lamento ma cercava di stare attento alle parole dell’unico uomo che avrebbe potuto salvarli. Si sforzò per restare lucido.
«Sei un bugiardo!» urlò Andreolli. «Dimmi la verità.»
Federico chinò il capo e urlò. Cominciò a piangere e Andreolli lo prese per il mento e gli puntò gli occhi contro i suoi. «Dimmi la verità se vuoi vivere.»
Federico cercò di inspirare forte ma il dolore glielo impedì.
«È stato… Christian» rispose in un pianto attenuato. «Non noi!»
Andreolli si mise dritto di scatto. «Ma cosa dici?» gli chiese infastidito.
«Noi…» riprese Federico. «Noi… siamo saliti all’ottavo piano e abbiamo visto il ragazzino disabile. Ci siamo spavent… spaventati» sospirò e assunse la tipica espressione di chi cerca di sopprimere un dolore. «Non volevamo permettere a Francesco Serìo di confessare. Saremmo andati in prigione.»
«E avete spinto Marco dalle scale!» lo interruppe Andreolli.
«No» disse Federico disperato. «Io… io avevo pensato di rapirlo o di tenerlo in ostaggio davanti a Francesco per convincerlo a lasciarci in pace, ma sapevo che… non avrebbe…» si fermò e sfogò il dolore con un verso selvaggio.
«Continua» gli disse Andreolli impassibile.
«Non avrebbe funzionato» riprese. «Poi ho sentito… ho visto l’ascensore aprirsi. Era… era Christian. Mi è venuto incontro e mi ha spinto. Mi ha chiesto cosa avessi intenzione di fare. Gli ho risposto nulla. Lui ha tolto il freno alla sedia a rotelle e… e l’ha allontanata da noi avvicinandola di più alle scale. Era spaventato e tremava. Ci ha detto di restare fermi e ha preso il telefono per chiamare qualcuno. Van… Vanessa si è messa a correre e io l’ho inseguita. A… anche Christian ci ha inseguiti. Ci diceva di fermarci. È stato tutto così… tutto così veloce. Quando siamo arrivati al terzo piano abbiamo sentito un rumore e ci siamo fermati tutti e tre. Sembrava… sembrava fosse caduto dalle scale uno di quei carrelli che portano gli infermieri. Ma… ma poi abb…» Federico fece fatica a parlare e il tono della sua voce si abbassò sempre più. «Abbiamo ripreso a correre e quando siamo usciti fuori dall’ospedale era… era succes… qualcosa! C’era tanta gente che correva e urlava. Christian si è ferm… fermato e noi siamo… andati via.» Concluse il discorso con un altro urlo di sfogo. Il dolore gli aveva invaso il torace e respirava a fatica.
Andreolli restò fermo. Una lacrima gli scivolò dall’occhio destro ma era talmente inconsistente da non raggiungere nemmeno lo zigomo. «Aiuta… mi» gli disse Federico.
Andreolli non rispose. Ripensò a tutto ciò che era successo. Si chiese se Christian fosse arrivato a ricordare anche questa scena. Si chiese se quella crisi finale gli fosse venuta proprio per questo brutto ricordo. Si chiese se fosse stata questa la goccia che aveva fatto traboccare il vaso e lo aveva portato a quella fuga psicogena.
Abbassò lo sguardo. Pensò a chi avrebbe dovuto pagare per quella storia. Era stato tutto un gran caos. Tutto troppo veloce e confuso. Troppi morti, troppo dolore, troppe disgrazie si erano gettate a capofitto senza pietà.
Si sfilò i guanti e li mise nella tasca della sua giacca.
Federico provò ad alzare lo sguardo ma l’uomo gli riapparve sfocato. Non capì se fosse uno scherzo della sua mente, ma gli sembrò che l’uomo si stesse allontanando verso la porta.
«C… ci» si sforzò a parlare. «Ci aiut… ci aiuti» lo implorò.
Andreolli si fermò sulla soglia della porta e si voltò verso i ragazzi. Li guardò con espressione triste ma decisa. Si passò la lingua sulle labbra e socchiuse gli occhi. «Voi non meritate una seconda possibilità» disse. Uscì da quella casa, salì nella sua auto e fece ritorno all’ospedale.