1. Cosmogonie ioniche: Talete, Anassimandro, Anassimene

di Maria Michela Sassi

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La civiltà greca

1.1 I naturalisti ionici

L’attività di Talete, il primo autore di cui siano tramandate opinioni sulla natura (nonché elementi di teoria astronomica e geometrica), si svolge fra la seconda metà del VII e i primi decenni del VI secolo a.C. La fioritura di Anassimandro è collocabile a meno di una quarantina d’anni da quella di Talete, dunque intorno alla metà del VI secolo a.C., mentre quella del terzo pensatore ionico, Anassimene, può essere di poco successiva.

Mileto

Di fatto, l’unità dell’interesse di fondo non impedisce che essi esprimano posizioni assai diverse sulla natura e sul cosmo e trova spiegazione nella nascita comune a Mileto.

Mileto, sulle coste meridionali della Ionia (attuale Turchia sud-occidentale), è infatti in questi anni un attivo centro di scambi commerciali fra Oriente e Occidente, esposto a contatti con tradizioni culturali diverse che stimolano, fra l’altro, il confronto critico con i modelli cosmologici elaborati nelle mitologie della Mesopotamia, della Fenicia, dell’Egitto.

Mito e filosofia

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La poesia epica di Omero ed Esiodo

Il termine italiano mito – come il mythe dei francesi, il myth degli inglesi, il mythos dei tedeschi, e così via – deriva direttamente dal termine greco mýthos. Ma possiamo esser certi che, se ci mettessimo a discutere il significato di questa parola con i suoi legittimi proprietari, i Greci, emergerebbe subito una notevole diversità di opinioni.

Con mýthos infatti i Greci indicavano la “parola”, il “discorso”, il “racconto”. Ma chi si aspettasse di veder definito come mýthos esclusivamente il racconto sacro, favoloso, o semplicemente la storia alla quale non si presta fede sarebbe destinato a restare deluso: sono tutti significati a cui ci ha abituati la fortuna posteriore di questo termine. Agli inizi della letteratura greca, ossia in Omero ed Esiodo, mýthos indica sì discorsi o racconti, ma non quelli incredibili o pieni di accadimenti soprannaturali. Al contrario, nella lingua dell’epica arcaica sono definiti mýthos racconti o discorsi di carattere indiscutibilmente autorevole. In Omero viene definito mýthos il discorso pronunziato con veemenza da maschi guerrieri sul campo di battaglia; e quando Poseidone respinge l’ordine di Zeus di abbandonare la lotta, la sua risposta “dura e potente” è definita mýthos (Omero, Iliade XV, v. 202). Non diversamente sono definite mýthos le orazioni pronunziate, in assemblea, da eroi che posseggono il prestigio necessario per farlo.

Il mýthos dell’epica è un discorso assertivo, che chiede in qualche modo di essere eseguito: prova ne sia il fatto che esso non viene mai pronunziato da donne - “speaker” prive di autorità, perché a detenerla sono solo gli uomini – e suona male perfino sulla bocca di maschi troppo giovani. Il mýthos insomma è, in primo luogo, un discorso autorevole.

Sarà solo nel seguito della cultura greca, con Erodoto e Tucidide, oltre che con Platone, che questo termine comincerà a designare il discorso favoloso, in cui compaiono eventi di carattere meraviglioso o tali comunque da suscitare il problema della credibilità. E sarà proprio attorno all’asse della credibilità del mito che si articolerà tanta parte della riflessione greca su questo tipo di racconti, con l’elaborazione di strategie interpretative che – come l’allegoria – tenderanno a salvare l’importanza della mitologia senza per questo accettarne gli imbarazzanti, talvolta scandalosi, significati letterali.

In ogni caso, parlando di mýthos per la Grecia classica, non bisogna dimenticare che questa forma discorsiva resta specificamente connessa alla produzione di carattere poetico: sono i poeti che hanno creato o creano il mýthos.

La fabula

Quanto alla vicenda moderna della parola, è opportuno ricordare che, per designare i racconti mitologici degli antichi, il Medioevo e il Rinascimento non hanno più parlato di mýthos o di mýthus, ma hanno usato il termine latino fabula (da cui l’italiano favola, il francese fable e così via). A riportare in luce il termine greco dimenticato saranno Giambattista Vico in Italia e Christian Gottlob Heyne in Germania, entrambi nella seconda metà del XVIII secolo. Da questo momento in poi, le vicende (ma anche le metamorfosi) del mito assumeranno un andamento turbinoso. Il discorso mitico comincerà a essere inteso come manifestazione di una civiltà prefilosofica destinata ad essere superata dalla razionalità.

A motivo di questa prima trasformazione, il “mito” ne subirà poi una seconda, che svilupperà e completerà quella precedente. Esso infatti perderà definitivamente il proprio valore originario di enunciazione, di modalità del discorso, per presentarsi come un vero e proprio “modo di pensare”: la manifestazione di una ragione arcaica, ovvero primitiva, e in ogni caso diversa da quella condivisa dai moderni, che esprimeva in maniera fascinosamente “mitica” le proprie memorie storiche o le proprie idee cosmologiche e filosofiche.

Maurizio Bettini

1.2 Talete “iniziatore” della filosofia

Talete non affida le sue idee a uno scritto, e anche per questo la sua figura si espone ben presto a essere assunta come archetipo del filosofo. Egli diviene, per esempio, emblema della vita dedita alla riflessione e alla contemplazione nel celebre episodio del Teeteto, dialogo di Platone, là dove suscita la derisione della servetta tracia perché, distratto dalla contemplazione delle stelle, finisce in un pozzo. Ancora più significativa sarà l’operazione che Aristotele compirà nel primo libro della Metafisica, dichiarando Talete “iniziatore” di quell’indagine sulla causa materiale del divenire con cui ha avvio lo studio della natura (e con questa, la filosofia stessa), per aver identificato l’acqua come principio e origine di tutte le cose. Tale “principio e origine” è indicato con il termine greco arché.

DK: i frammenti dei presocratici

Se ad Aristotele e alla sua scuola si deve la prima raccolta sistematica delle teorie dei filosofi presocratici, l’edizione critica dei loro frammenti e delle testimonianze pervenuteci risale ai primi anni del Novecento, ed è opera di due filologi tedeschi, Hermann Diels e Walther Kranz. La loro è la prima raccolta condotta secondo criteri rigorosamente filologici, allo scopo di recuperare la forma autentica del pensiero presocratico oltre ogni strumentalizzazione ideologica. A Diels e Kranz si deve il sistema di classificazione bibliografica ancora in vigore: ogni frammento, ad esempio il 22 B 88 DK, è identificato da un primo numero, che si riferisce al filosofo considerato (in questo caso, Eraclito), da una lettera che indica se si tratti di fonti indirette (A) o dirette (B), da un secondo numero relativo alla disposizione nell’elenco dei frammenti dell’autore (qui il numero 88), mentre la sigla finale DK indica le iniziali dei due filologi.

Valore del mito

TESTO

T1: Aristotele, Talete: l’arché della natura

La figura di Talete come “padre della filosofia” ha attraversato indenne i secoli. Sull’onda di studi antropologici dedicati al mondo antico che ha caratterizzato la prima metà del Novecento, storici del pensiero religioso e filosofico greco hanno “riscoperto” il valore del mito come veicolo di pensiero e si sono spesi a rintracciare nel mondo delle mitologie orientali gli antecedenti dei punti di vista sul cosmo proposti dai naturalisti ionici. Il precedente più ovvio, per Talete, era la nozione di un’origine del cosmo da una massa di acque primordiali, reperibile in testi non a caso prodotti nell’ambito di grandi civiltà fluviali come la Mesopotamia e l’Egitto, e rappresentata anche nella più antica poesia greca dalla figura del fiume cosmico Oceano. Ma va notato che Aristotele stesso, in un passo della Metafisica, menziona “alcuni” autori che attribuiscono una indagine teorica sulla natura agli “antichissimi” poeti (Omero ed Esiodo): per primi essi hanno discorso sugli dèi, ponendo come “padri della generazione” figure divine del mare come Oceano e Teti, o affermando che gli dèi giurano sul fiume infernale Stige.

Aristotele sottolinea che l’opinione di Talete si presenta come la prima che si è focalizzata chiaramente sulla natura. Ovvero essa mira a risolvere un problema specifico, identificando come principio della natura non un’entità divina ma un elemento fisico come l’acqua, basandosi sull’osservazione del ruolo dell’umido nei fenomeni vitali. Se accettiamo di attribuire al procedere di Talete queste caratteristiche, possiamo continuare a concedergli il titolo di “padre della filosofia”. Inoltre, vedremo ora che gli stessi tratti caratterizzano il procedere di Anassimandro e Anassimene, il che ci consentirà di considerare la riflessione degli ionici, più in generale, come il luogo di incubazione della filosofia, intesa come attività di pensiero consapevole e critica.

La nascita degli dèi e l’ordine del mondo: le cosmogonie

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Il mondo vivente

La Teogonia di Esiodo

L’origine dell’universo e la theogonía (“nascita degli dèi”) costituiscono il tema del celebre poema di Esiodo (VII sec. a.C.), che racconta il lento e conflittuale processo attraverso il quale l’universo trova infine un suo equilibrio, garantito dalla suprema autorità di Zeus, re degli dèi e degli uomini. Nella TeogoniaEsiodo non si limita a raccogliere e sistemare un insieme di tradizioni, ma descrive il presente e celebra l’ordine di Zeus.

Discendente dalla stirpe di Urano (“Cielo”) e Gaia (“Terra”), ultimo figlio di Crono e Rea, Zeus è la sola potenza divina in grado di assicurare l’equilibrio dell’universo. Tre sono le potenze primordiali da cui trae origine l’universo intero: dapprima Chaos, il grande “Abisso”, voragine spalancata e informe, affine a quello che sarà l’ápeiron di Anassimandro; poi Gaia, “Terra”, sede stabile e dai contorni definiti; infine il vero e proprio motore della generazione, la pulsione irresistibile di Eros, che rivestirà un ruolo analogo anche nelle cosmogonie di Parmenide ed Empedocle.

Da Chaos nascono Notte ed Erebo (la “tenebra” al maschile, in quanto spazio), che si uniscono per generare Giorno e Etere. Gaia, dal canto suo, produce per partenogenesi Urano, il “Cielo” che la sovrasta, poi i Monti e infine Ponto, il “Mare”. Urano e Gaia costituiscono la coppia primordiale e danno origine a una stirpe divina. Dai due nasce Crono, che castra Urano e lo sostituisce sul trono degli dèi, per essere poi a sua volta detronizzato dal figlio Zeus, che ottiene infine dagli altri dèi l’incarico di governare il mondo.

Nessun erede verrà a turbare l’ordine di Zeus, perché egli ha l’accortezza di ingoiare Metis, l’“Intelligenza astuta”, divinità potente da cui sarebbe nato il temuto successore. La stabilità del cosmo è così assicurata e la suprema autorità di Zeus garantisce l’equilibrio tra le forze molteplici che vi operano.

L’antichista Jean-Pierre Vernant ha sottolineato come il racconto esiodeo presenti una struttura che ritorna nelle cosmogonie ioniche: uno stato di confusione primordiale e la scissione in due coppie d’opposti che instaurano un ciclo eterno di scontro e unione, sul modello delle fasi della vita naturale (le stagioni, il giorno e la notte, la nascita e la morte ecc.).

Senso e struttura delle cosmogonie

La complessa struttura genealogica del mondo divino non è fine a se stessa, né va ritenuta espressione di un pensiero primitivo rivolto a mettere un qualche ordine nel caos del politeismo. Si tratta invece di un sofisticato strumento conoscitivo che disegna una mappa delle potenze operanti nel mondo e le rappresenta attraverso i vincoli della parentela e le modalità della nascita: ad esempio, Oceano, il fiume divino che circonda la Terra, e Tethys, entrambi figli di Urano e Gaia, costituiscono una coppia di antiche divinità acquatiche e sono all’origine di tutti i Fiumi e di una stirpe di divine fanciulle, le Oceanine, i cui nomi evocano qualità specifiche dei corsi d’acqua.

L’altro asse portante del canto teogonico, insieme alla struttura genealogica, è la ripartizione degli onori, corrispondenti alla “parte” (móira) assegnata nella società divina. Il poema esiodeo racconta appunto come gli dèi si sono ripartiti il mondo e come ognuno di essi ha finito col ricevere la parte che gli spettava. L’ordine di Zeus è iscritto nella capacità del figlio di Crono di riconoscere a ognuno la sua parte e di garantire l’equilibrio tra le potenze che agiscono nell’universo. Conflitti e disordini possono sempre insorgere, ma il re degli dèi e degli uomini, in virtù della métis e del rapporto privilegiato con la sfera della thémis (“norma”), riuscirà sempre vittorioso, come testimoniano i quattro principali Inni omerici (A Demetra, Ad Apollo, A Ermes, Ad Afrodite) e alcuni rapidi cenni nell’Iliade (XV, 187-193).

Le cosmogonie orientali

La Grecia antica conosce altri modelli cosmo-teogonici, in parte coincidenti in parte divergenti rispetto alla tradizione più diffusa, rappresentata dal poema di Esiodo. Figure mitiche di poeti come Orfeo e Museo avrebbero composto teogonie, come anche il sapiente cretese Epimenide; inoltre, filosofi come Parmenide ed Empedocle avevano espresso in versi le proprie riflessioni cosmologiche.

Ma cosmogonie e teogonie non sono esclusive della cultura greca. Fin dal II millennio a.C. circolavano nel Vicino Oriente svariati racconti sulle origini dell’universo, degli dèi, degli uomini. Alcuni di questi presentano innegabili analogie con le tradizioni greche, analogie che sono state spesso utilizzate per sostenere l’origine orientale delle teogonie elleniche. È questo il caso dell’epopea babilonese della creazione, l’Enuma Elish, che racconta di una coppia primordiale, Apsu (l’acqua salata) e Tiamat (l’acqua dolce), di una lotta tra generazioni divine e delle gloriose imprese del dio Marduk. Un mito di successione analogo a quello raccontato da Esiodo si incontra in alcune tradizioni ittite, incentrate sulle lotte tra gli dèi del cielo. Le evidenti somiglianze tra queste epopee e la tradizione teogonica greca rimandano probabilmente a una comunità culturale che coinvolse, nella più alta antichità, tanto il Mediterraneo quanto il Vicino Oriente.

Gabriella Pironti

1.3 Anassimandro e Anassimene: il divino della natura

Se risale effettivamente a Talete il detto “tutto è pieno di dèi” che gli viene attribui-to anticamente, egli non avrà voluto con esso indicare che gli dèi personali della religione tradizionale siano attivamente presenti nel mondo naturale, ma semmai esprimere una visione della natura come animata, nel suo insieme, da un potere interno di movimento.

L’ápeiron di Anassimandro

Analogamente, Anassimandro ascrive la qualità dell’immortalità, attributo tradizionale degli dèi olimpici, a una entità impersonale e astratta, benché concepita materialmente, in cui identifica il principio del divenire cosmico: ovvero l’ápeiron, un principio “senza limiti”, per dimensione ma anche in quanto mancante di differenze al suo interno. Grazie a queste caratteristiche esso funge come una sorta di serbatoio inesauribile del divenire delle cose e della natura. Il mondo di Anassimandro non richiede un intervento creatore o ordinatore di persone divine, e questa assenza ha un significato forte di innovazione nei confronti di una visione mitica dell’origine del cosmo come quella che la cultura greca aveva già espresso, per esempio, nella Teogonia di Esiodo.

TESTO

T2: Anassimandro, L’ápeiron e la generazione del cosmo

Per Anassimandro, infatti, il cosmo si è formato in origine per il distaccarsi di un nucleo “generatore” di “caldo” e “freddo” da un principio “eterno”, che è appunto l’ápeiron. Qui Anassimandro fa agire, come già Talete e in forma più elaborata, un’analogia con la crescita biologica: il caldo si configura come una sfera infuocata all’interno della quale, in posizione perfettamente centrale, si colloca la massa più fredda della Terra, che ha la forma di un tronco cilindrico.

La Terra è circondata da uno strato atmosferico al quale aderisce lo strato esterno del fuoco (paragonato a una corteccia), che poi, sotto la pressione dell’aria, si divide in più cerchi inframmezzati da cerchi di vapore: Sole, Luna, stelle corrispondono al trasparire del fuoco in grandi squarci circolari che si aprono nel vapore, come attraverso “canne di mantice”.

Nascita della vita animata

La nascita della vita animata ha luogo secondo modalità analoghe di interazione fra fattori fisici: i primi animali sarebbero nati dall’umidità riscaldata dal Sole, avvolti da cortecce spinose, per passare successivamente sulla terraferma, su cui sarebbero sopravvissuti per poco tempo a causa del rompersi della corteccia nel nuovo habitat; e gli uomini, dal canto loro, si sarebbero sviluppati nel ventre di una particolare specie di pesci entro il quale sarebbero stati nutriti e protetti fino a quando si fossero resi autonomi, sulla Terra. Va notato come questo quadro si collochi agli antipodi di un racconto mitico in cui la creazione dell’uomo è attribuita a questo o quel dio.

Ma torniamo alla formazione degli astri: la distanza dalla Terra dei cerchi di stelle-Luna-Sole è precisata da Anassimandro nei termini di 9-18-27 volte il diametro della Terra. Si riflette in questa costruzione un’idea di simmetria ed equilibrio del cosmo, che per altro verso si esprime nella nozione della posizione centrale della Terra nell’universo, nonché nel celebre frammento 1 di Anassimandro, che è anche il primo testo originale conservato di tutta la tradizione filosofica greca: “Di dove è la nascita per le cose che sono, qui ha luogo anche la loro distruzione, secondo il dovuto: esse infatti scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia in base alla disposizione del tempo” (tr. it. di Maria Michela Sassi).

Equilibrio “dinamico”

Le “cose” di cui si parla in questo frammento sono le grandi masse cosmiche del vento, dell’acqua, del vapore, del fuoco, che una volta emerse dall’ápeiron entrano nel gioco conflittuale del succedersi delle stagioni, dell’alternanza giorno-notte, o del ciclo delle acque che evaporano dalla Terra per ritornarvi in forma di pioggia. Il prevalere dell’una sull’altra rappresenta un’ingiustizia che va risarcita, entro un determinato limite di tempo, dando spazio a una massa opposta. Nelle parole di Anassimandro possiamo dunque vedere la prima affermazione di una legge cosmica imperniata su un principio di equilibrio, ed è notevole che questa sia ispirata, di nuovo, da un procedimento analogico, questa volta giocato su una situazione giuridica.

Si tratta di un equilibrio “dinamico”, interno al mondo, ma che rimanda anche in parte a un garante superiore, l’ápeiron: secondo Anassimandro tale principio opera alla stregua di un giudice in una contesa giudiziaria. L’ápeiron dunque è principio non solo in quanto ha dato origine a un mondo ordinato, ma anche in quanto continua, come dirà Aristotele nella Fisica (III, 4, 203b 6), a “circondare tutte quante le cose e tutte governarle”, assicurando che nessuno dei principi costitutivi del cosmo si faccia sovrano assoluto sugli altri, infrangendo i limiti di un predominio che è lecito solo entro i ritmi di un’alternanza regolare fra le diverse forze cosmiche.

Il termine che, nella testimonianza aristotelica appena citata, esprime l’atto del “circondare” (periéchein) potrebbe risalire allo stesso Anassimandro.

Anassimene e il principio dell’aria

Lo stesso termine compare nel frammento 2 di Anassimene, il quale identifica il principio delle trasformazioni naturali nell’aria, che “circonda” il cosmo così come la nostra anima, essendo aria (la parola greca psyché, infatti, significa “soffio” prima che “anima”), tiene in vita noi. “Proprio come la nostra anima […] essendo aria, ci domina tenendoci insieme, così respiro e aria circondano l’intero cosmo”. Questa immagine di qualcosa che avvolge il tutto da ogni parte è adatta a sottolineare il ruolo preminente dell’arché, ed è probabile che Anassimene assegni all’aria lo stesso status immortale e divino che caratterizza l’ápeiron di Anassimandro. È significativo che quella di Anassimene sia anche la prima espressione specifica di un pensiero sulla natura dell’anima umana. Non è detto perciò che nel frammento vada letta una semplice analogia che parte da un microcosmo più noto per illustrare un altrimenti sconosciuto macrocosmo. Può darsi che Anassimene ponga il ruolo della respirazione per gli esseri viventi e quello dell’atmosfera intorno alla Terra su piani identici e che si illuminano a vicenda, nel senso che mutamenti di densità e temperatura dell’aria sono per lui osservabili con pari facilità tanto nell’ambito umano quanto in quello cosmico (il frammento 1 di Anassimene valorizza in questo senso tale constatazione sostenendo che il fiato è più o meno caldo a seconda che sia emesso a labbra più o meno serrate).

TESTO

T3: Anassimene, L’aria principio di tutte le cose

In ogni caso, la riflessione di Anassimene manifesta gli stessi elementi che abbiamo ravvisato in Talete e Anassimandro come caratteristici del pensiero ionico sul cosmo: presa diretta sulla realtà degli elementi fisici, distacco da modelli mitici dell’ordine cosmico in favore di una concezione della natura che trova in sé i principi della propria spiegazione, costruzione di un metodo d’indagine centrato sul procedere analogico. Infine, questo sviluppo di una nuova immagine dell’ordine cosmico va visto sullo sfondo di un processo di formazione e consolidamento della pólis arcaica, che vede un distacco crescente dal riferimento al soprannaturale come elemento portante dell’ordine sociale in favore di una regolazione legislativa dei rapporti economici e di potere fra i gruppi cittadini.

LETTURE

Le origini della pólis