4. Eraclito ed Empedocle

di Maria Michela Sassi

4.1 Un sapere oracolare

Eraclito l’“oscuro”

L’opera di Eraclito di Efeso (VI-V sec. a.C.) ci è giunta, né più né meno come per gli altri pensatori di età presocratica, in forma di frammenti. Ma nel caso di Eraclito il problema è complicato ulteriormente dal fatto che, a quanto pare, egli stesso ha affidato il proprio messaggio a brevi detti “frantumati” e volutamente ambigui: il che gli è valso fin dall’antichità la qualifica di “oscuro” (skoteinós).

Procedere per aforismi

ESERCIZIO

E4: Eraclito

Il filologo tedesco Hermann Diels è celebre per aver raccolto tutti i frammenti di vari autori presocratici, ma è significativo che abbia rinunciato al tentativo di ricostruire la sequenza originale dei frammenti di Eraclito, limitandosi a disporli secondo l’ordine alfabetico della fonte che li cita. Quest’operazione, apparentemente neutrale, ha contribuito in realtà ad accentuare gli aspetti legati a una forma espressiva condensata ed enigmatica qual è quella degli aforismi di Eraclito, e alcuni studiosi si sono spinti fino a negare che egli sia stato autore di uno scritto organico. Si tratta di una ipotesi contraddetta dalla notizia antica che Eraclito avrebbe dedicato il suo libro presso il tempio di Artemide a Efeso, con un atto che, richiamando l’uso arcaico di esporre sulle pareti dei templi i testi legislativi, realizza una volontà di dare al proprio pensiero valore duraturo e sacrale. Ma non solo: la lettura attenta dei frammenti rivela una serie di risonanze espressive e contenutistiche altamente calcolata, che poteva avere senso solo all’interno di un testo continuo.

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DK: i frammenti dei presocratici

Va sottolineato, in ogni caso, il valore filosofico che di per sé riveste la scelta di esprimere il proprio pensiero attraverso aforismi. Eraclito si rifà a un complesso di modelli di comunicazione della sapienza arcaica (la rivelazione misterica, l’oracolo, la sentenza morale, l’indovinello), tutti testi di difficile comprensione. L’autore di tali testi è in possesso di una conoscenza superiore, che rivela ai pochi capaci di intendere. L’espressione enigmatica, d’altronde, è aderente alla forma in cui per Eraclito la natura si manifesta, cioè tramite segni la cui interpretazione è difficile per gli uomini.

La polemica con i sapienti dell’età arcaica

Per il filosofo greco, infatti, la natura “ama nascondersi” (frammento 123), e occorre saper decrittare le indicazioni dei sensi per cogliere il principio di armonia che sottostà alla trasformazione incessante esibita dalla realtà fenomenica. Su questo punto si innesta un altro tratto tipico dello stile di Eraclito: la polemica contro rappresentanti illustri del sapere arcaico che non hanno avuto l’intelligenza per scoprire la legge che governa la realtà.

4.2 Non solo “tutto scorre”

Che Eraclito sia autore di uno scritto unitario è suffragato anche dal fatto che ci è pervenuto grazie al filosofo romano Sesto Empirico un testo relativamente lungo e articolato, che si configura chiaramente come un proemio.

Il lógos

In esso il filosofo delinea il contenuto del suo messaggio come un lógos, “ragione” o “regola” del divenire, che gli uomini sono generalmente “incapaci di comprendere”. È significativo che il termine ax´ynetoi, qui usato per designare gli uomini “privi di comprensione”, sia attinto dal linguaggio dei misteri. Coloro cui Eraclito si rivolge sono come “non-iniziati”: Eraclito si pone di fronte a essi come il detentore di un sapere religioso, di cui annuncia la rivelazione.

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I culti misterici

TESTO

T11: Eraclito, Lógos, saggezza, ignoranza

Lógos in greco significa anche “discorso”: facendo leva sulla polisemia del termine greco, Eraclito riesce a spostare l’attenzione sulle sue stesse parole, concepite come perfettamente aderenti alla realtà profonda che intende comunicare. Nell’ascoltare le sue parole gli uomini potranno uscire dall’isolamento in cui sono soliti vivere, e si apriranno alla comprensione di una legge “comune”, che avvolge loro stessi con la natura tutta. Essi così comprenderanno che la natura è attraversata da una vera e propria “guerra” fra forze opposte, e che del resto proprio in questo consiste il principio d’ordine del cosmo.

Nel momento in cui si concentra sul problema dell’ordine cosmico, e lo risolve, come già Anassimandro, in termini di equilibrio dinamico, Eraclito rivela che le radici del suo pensiero affondano nell’ambiente del naturalismo ionico. D’altronde la sua visione degli opposti fa spazio, oltre che agli effetti dell’interazione fisica fra masse cosmiche, alla tensione dinamica che si esprime nella relatività delle impressioni soggettive, al succedersi di stadi vitali ed esistenziali, alla incongrua applicazione di un determinato nome a un determinato oggetto.

TESTO

T10: Eraclito, L’unità e il contrasto degli opposti

Il filosofo del pánta rhéi

Eraclito è comunemente noto come il filosofo per cui “tutto scorre” (pánta rhéi): “acque sempre diverse scorrono su coloro che entrano negli stessi fiumi” (frammento 12, cfr. frammenti 49a, 91a). È un’immagine non scorretta ma sicuramente parziale, che molto deve a una prospettiva in seguito disegnata da Platone. Questi è infatti assai intrigato da quella mobilità inafferrabile della realtà sensibile, teorizzata a suo modo di vedere da Eraclito, e che i suoi seguaci hanno portato all’estremo, fino a sostenere l’impossibilità di conoscerla e comunicarla (è possibile che Platone abbia conosciuto e frequentato in Atene uno di essi, Cratilo). Perciò è opportuno insistere sul fatto che nella visione di Eraclito la mobilità è importante quanto la stabilità, e la contraddizione fra gli opposti è altrettanto in rilievo rispetto alla loro unità: proprio per questo egli identifica il principio delle cose nel fuoco, che può essere simbolo tanto di massima mobilità quanto di massima permanenza. Il fuoco è divino, come il principio fondamentale della realtà negli ionici, e in esso la contraddizione degli opposti si risolve in superiore unità.

L’anima

TESTO

T8: Eraclito, Il divenire

Un’altra componente importante che l’immagine del filosofo del pánta rhéi può avere messo in ombra è il suo interesse per l’anima. La psicologia di Eraclito ha un’impostazione “materialistica”, coerente con la rappresentazione corporea, o legata a organi corporei, dell’anima e delle sue attività, siano esse vitali come il nutrirsi o cognitive come il pensiero. Tale concezione è comune nella letteratura arcaica, da Omero alla poesia lirica e tragica, ai medici ippocratici.

Analogamente all’anima-aria di Anassimene, quella di Eraclito è fondamentalmente affine all’arché cosmica, dunque al fuoco. La documentazione su questo punto non è sufficiente a dire se l’anima (psyché) eraclitea sia più precisamente una forma di vapore o soffio (comunque igneo) o una mescolanza di acqua e fuoco, o ancora di fuoco e aria. In ogni caso il variare delle sue proprietà di asciuttezza, mobilità, sottigliezza sia da un individuo all’altro sia in diverse fasi di una singola vita influisce direttamente sulla qualità dei processi cognitivi. In particolare, l’intelligenza si indebolisce se l’anima si inumidisce, per esempio in stato di ubriachezza. Anche la vecchiaia è vista come un’età relativamente più umida, e l’umidità è morte per le anime.

La “coscienza”

La concezione materialistica delle attività psichiche si connette probabilmente a una negazione dell’immortalità individuale. Ma va sottolineato come essa non impedisca a Eraclito di dar comunque voce a una delle prime affermazioni consapevoli sull’insondabile profondità della dimensione psichica, in altre parole, potremmo dire, della “coscienza”: “Per quanto tu vada non riuscirai mai a trovare i confini dell’anima, percorrendo ogni strada: tanto profondo è il Lógos che essa possiede”. (22 B 45 DK)

Il carattere

LETTURE

Il destino

Va visto in questo quadro un altro detto famoso, “è il carattere un dáimon per l’uomo” (frammento 119), affermazione inequivocabile dell’indipendenza del destino individuale dall’intervento di dèi o demoni protettori. Non è escluso che tale affermazione riposi su una determinata idea del formarsi del carattere nel gioco fra ragione e passione, se nel controverso frammento 85 è corretto leggere l’idea che il fuoco di una passione come l’ira si nutre “a spese” di quello (più asciutto?) dell’anima e lo consuma: con l’implicazione, appunto, che le facoltà più elevate dell’anima possano essere accecate se la passionalità prevale. “Difficile lottare contro il desiderio: ciò che vuole infatti lo compra pagandolo con l’anima”.

4.3 Empedocle, un “Centauro”

I quattro elementi

Empedocle, vissuto ad Agrigento tra il 484-481 a.C. ca. e il 424-421 ca., è autore di due poemi, Sulle purificazioni e Sulla natura, dei quali ci sono rimasti alcuni frammenti. Egli postula quattro elementi fondamentali, cui ascrive autoidentità, eternità ed eguaglianza di poteri, così soddisfacendo i requisiti richiesti per l’essere in base al ragionamento di Parmenide. Si tratta delle “radici” (rhízai) del fuoco, dell’aria, dell’acqua e della terra, il cui movimento è determinato dalle due forze di Amicizia e Contesa: tanto la denominazione delle “radici” quanto la connotazione emozionale delle due forze motrici sono spie del retaggio di quella concezione “organicistica” del cosmo che è alla base delle prime cosmologie ioniche. Di qui discende anche il fatto che Empedocle assegni alle une e alle altre uno status divino.

Amicizia e Contesa

ESERCIZIO

E5: Empedocle

In Empedocle, Amicizia compare anche nella veste di Armonia o Cipride, ovvero Afrodite. Essa unisce gli elementi dissimili in composti che Contesa disgrega, separando ciò che è dissimile e facendo in modo che il simile si mescoli al simile. Proprio come i pittori possono riprodurre la varietà delle cose sensibili mescolando i diversi colori, Amicizia e Contesa producono “alberi e uomini e donne, e fiere e uccelli e pesci che si nutrono nell’acqua, e dèi dalla lunga vita ricchi in onori” (frammento 23). Perciò gli aspetti e le espressioni del divenire non sono frutto di mero inganno della percezione sensibile, il cui valore per la conoscenza della natura è tutt’altro che sottovalutato da Empedocle, ma riflettono il mescolarsi delle quattro “radici”, in diverse proporzioni, sotto la spinta di Amicizia e Contesa.

TESTO

T14: Empedocle, Amicizia e Contesa

La competizione fra queste due forze avviene lungo un movimento ciclico incessante, la cui articolazione è oggetto di controversia, probabilmente irrimediabile, fra gli interpreti di Empedocle. Certo è che in un qualche momento ha luogo un trionfo di Amicizia che si realizza nello “Sfero”. Esso è una perfetta mescolanza delle quattro radici, che viene a un certo punto aggredita da Contesa, la quale attraendo il simile verso il simile produce, via via, la completa separazione delle radici l’una dall’altra. Amicizia d’altronde si contrappone a questa disgregazione cercando di tenere mescolate le cose dissimili: il cosmo che conosciamo corrisponde per l’appunto a una delle fasi intermedie fra i due estremi del predominio di una delle due forze.

“Centauro filosofico”

Ma la cosmologia non costituisce l’unico interesse di Empedocle. Vi sono anzi fondati motivi per ritenere che la sua preoccupazione principale sia di carattere religioso ed escatologico (legato cioè al destino finale dell’uomo e dell’umanità), e la natura funga da cornice a un itinerario di salvezza spirituale dell’uomo: un connubio peculiare che ha indotto Werner Jaeger, nel suo celebre Paidéia del 1936, a definire Empedocle, felicemente, un “Centauro filosofico”.

Di fatto la tradizione gli attribuisce due diversi scritti in esametri, uno dei quali, intitolato Sulla natura, dovrebbe avere carattere cosmologico, mentre l’altro, intitolato Sulle purificazioni (Katharmói) avrebbe carattere religioso e morale. Ma l’intreccio di temi “scientifici” e di preoccupazioni legate al destino e alla salvezza dell’anima è, probabilmente, la nota caratterizzante di entrambi questi scritti.

Il dáimon Empedocle

Le linee stesse della concezione escatologica di Empedocle sono difficili da ricostruire e se ne può isolare qui solo qualche punto relativamente sicuro. In un frammento la cui collocazione nell’uno o nell’altro poema è discussa, Empedocle si presenta come un essere semidivino (dáimon) esiliato dall’esistenza beata, un tempo condivisa con altri dèi, in seguito a spergiuro e delitti di sangue commessi per adesione al lato oscuro di Contesa. La caduta del dáimon è dunque connessa in qualche modo con la rottura dello Sfero? La questione rimane aperta, ma è certo, però, che il dáimon è condannato da una legge di necessità cosmica a un viaggio espiatorio e travagliato prima attraverso le masse cosmiche, poi in corpi di diversi ordini di esseri animati, fino a prendere forma umana.

Elementi pitagorici e orfici

In questa veste, si può presumere, il dáimonEmpedocle non solo può giungere sulla soglia della liberazione finale dalla catena della metempsicosi, ma può guadagnare la possibilità di presentarsi agli altri uomini come un dio dispensatore di verità su nascita e morte degli esseri naturali, di strumenti di dominio sulla natura, e perfino di rimedi agli affanni degli uomini, alle malattie, alla vecchiaia. Tali qualità sarebbero state conquistate durante il suo lungo viaggio nel cosmo, e consolidate in uno stile di vita puro, improntato a pratiche vegetariane e al rifiuto del sacrificio cruento.

Sono qui evidenti le affinità con aspetti del pensiero di Pitagora, nonché con il movimento orfico, sotto il segno comune di quella connessione fra filosofia e preoccupazioni escatologiche che è caratteristica, in questo periodo, del clima intellettuale della Magna Grecia. Inoltre, nell’elaborare la nozione di un’entità come il dáimon, che mantiene la propria identità attraverso mille vicissitudini, Empedocle reca un importante contributo all’approfondimento della dimensione della coscienza individuale.

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I culti misterici