Testi

T1 Aristotele Talete: l’arché della natura

In assenza di testimonianze dirette, il pensiero di Talete ci è noto solo attraverso fonti posteriori, tra le quali il primo libro della Metafisica di Aristotele è certamente la più importante. Aristotele indica nella ricerca dell’arché di tutte le cose la questione fondamentale della filosofia naturalistica ionica; Talete, Anassimandro e Anassimene inoltre avrebbero condiviso l’idea che l’arché sia un elemento naturale, benché si trovassero in disaccordo su quale esso fosse. Talete, in particolare, lo avrebbe individuato nell’acqua, principio e sostanza di tutto ciò che esiste in natura.

Metafisica, Libro I, 3, 983b 17 - 984a 3

da G. Giannantoni (a cura di), I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari - 1981

“Ci dev’essere una qualche sostanza, o più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane.

Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l’acqua (e perciò sosteneva che anche la terra è sull’acqua): egli ha tratto forse tale supposizione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido, che il caldo stesso deriva da questa e di questa vive (e ciò da cui le cose derivano è il loro principio): di qui, dunque, egli ha tratto tale supposizione e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida – e l’acqua è il principio naturale delle cose umide. Ci sono alcuni secondo i quali anche gli antichissimi, molto anteriori all’attuale generazione e che per primi teologizzarono, ebbero le stesse idee sulla natura: infatti cantarono che Oceano e Tetide sono gli autori della generazione [delle cose] e che il giuramento degli dèi è su quell’acqua chiamata Stige dai poeti [...]”.

T2AnassimandroL’ápeiron e la generazione del cosmo

Anassimandro identifica l’arché del divenire cosmico non in uno degli elementi naturali, come l’acqua di Talete, ma in un principio “illimitato” (ápeiron, cioè assenza di limite). Esso sarebbe infinito per estensione ma anche privo di differenziazioni interne, e per questo in grado di fungere da materiale inesauribile per la generazione delle cose e da elemento ordinatore dei principi costitutivi del cosmo. Il primo brano è tratto dall’opera perduta di Anassimandro Sulla natura; benché in forma frammentaria e con uno stile oscuro, esso costituisce la prima fonte diretta della filosofia greca (è riportato dal commentatore aristotelico Simplicio, vissuto nel VI secolo d.C.). Nella seconda testimonianza, invece, si descrive il processo di generazione del cosmo dalla massa indistinta dell’ápeiron, attraverso processi fisici di trasformazione.

Sulla natura, fr. 1 e fr. 12 A 10 DK

tr. it. Maria Michela Sassi

■ ■ da Ionici. Testimonianze e frammenti, [tr. modificata da A. Maddalena], La Nuova Italia, Firenze - 1963

“Di dove è la nascita per le cose che sono, qui ha luogo anche la loro distruzione, secondo il dovuto: esse infatti scontano reciprocamente la pena e il fio dell’ingiustizia in base alla disposizione del tempo.”

■ ■ “Dice [Anassimandro] che nella generazione di questo cosmo si staccò l’elemento generatore dall’eterno sia del caldo che del freddo, e che da esso nacque una sfera di fiamma intorno all’aria circondante la terra, come una corteccia intorno all’albero e che, spezzatasi questa sfera e separatasi in alcuni cerchi, ne nacquero il Sole e la Luna e gli astri. Disse ancora che l’uomo si generò da principio da animali diversi da esso, a partire dal fatto che gli altri animali presto si nutrono ciascuno da sé, mentre l’uomo, soltanto esso, ha bisogno di un lungo allattamento […].”

T3AnassimeneL’aria principio di tutte le cose

Dall’opera di Anassimene sulla natura, oggi perduta, proviene questo breve frammento, citato dal teologo Aezio (IV sec. d.C.). Vi si sostiene l’idea della funzione vitale dell’aria come principio e sostegno di ogni cosa, in analogia con il respiro dell’uomo.

Sulla natura, fr. 13 B 2 DK

tr. it. di Maria Michela Sassi

“Proprio come la nostra anima […] essendo aria, ci domina tenendoci insieme, così respiro e aria circondano l’intero cosmo.”

T4AristotelePitagora: i numeri e il cosmo

Nel primo libro della Metafisica, Aristotele descrive le ricerche naturalistiche dei filosofi che lo hanno preceduto, e passa a esaminare le dottrine dei pitagorici. Questi avrebbero sostenuto che tutte le cose sono numeri, e identificato l’arché (origine e principio) della natura nel numero stesso. Il brano che segue presenta l’esposizione aristotelica di alcuni principi fondamentali attribuiti alla scuola di Pitagora: il numero come principio primordiale ed essenza dell’universo fisico, l’armonia delle sfere celesti, l’interpretazione delle cose e dei fenomeni naturali in termini di rapporti numerici, il valore simbolico della tetrakt´ys (la decade perfetta formata dai primi quattro numeri).

Metafisica, Libro I, 5, 985 b 23 - 986 a 21

da Aristotele, Opere, trad. it. a cura di A. Russo, Laterza, Roma-Bari - 1973

“[...] I cosiddetti Pitagorici si dedicarono per primi alle scienze matematiche, facendole progredire; e poiché trovarono in esse il proprio nutrimento, furono del parere che i principi di queste si identificassero con i principi di tutte le cose.

I numeri occupano naturalmente il primo posto tra tali principi, e i Pitagorici credevano di scorgere in quelli, più che nel fuoco o nella terra o nell’acqua, un gran numero di somiglianze con le cose che esistono e sono generate, e asserivano che una determinata proprietà dei numeri si identifica con la giustizia, un’altra con l’anima e l’intelletto, un’altra ancora col tempo critico, e che lo stesso vale, presso a poco, per ciascuna delle altre proprietà numeriche, e individuavano, inoltre, nei numeri le proprietà e i rapporti delle armonie musicali e, insomma, pareva loro evidente che tutte le altre cose modellassero sui numeri la loro intera natura e che i numeri fossero l’essenza primordiale di tutto l’universo fisico; e per tutte queste ragioni essi concepirono gli elementi dei numeri come elementi di tutta la reatà, e l’intero cielo come armonia e numero […]. E anche se, in qualche parte, ne veniva fuori qualche difetto, essi con facilità si mettevano a fare addizioni allo scopo di rendere pienamente concreta la loro dottrina; così, ad esempio, poiché la decade sembra perfetta e capace di abbracciare tutta quanta la natura dei numeri, essi asseriscono che sono dieci anche gli astri che si spostano sotto la volta celeste; ma, poiché quelli visibili sono soltanto nove, per questa ragione essi ne creano un decimo, l’Antiterra.

[…] Elementi del numero sono, secondo loro, il pari e il dispari, e di questi il primo è infinito, il secondo è finito, e l’Uno risulta da tutti e due questi elementi (giacché esso è pari e, insieme, dispari), e il numero deriva dall’Uno e l’intero cielo […] si identifica con i numeri.”

T5SenofaneLa ragione e il divino

Delle numerose opere che Senofane avrebbe composto, come poeta e come filosofo, ci rimangono solo alcuni frammenti. Tra questi, i più celebri sono quelli legati alla critica nei confronti dell’antropomorfismo degli dèi, cioè dell’attribuzione alla divinità di caratteristiche fisiche e psicologiche tipiche dell’uomo.

Fr. 21 B 11 DK;

■ ■ 21 B 15 DK

“Omero ed Esiodo attribuirono agli dèi tutte quelle cose che presso gli uomini provocano onta e biasimo cioè rubare, commettere adulterio e ingannarsi reciprocamente.”

“Ma se i buoi e i cavalli e i leoni avessero le mani e potessero dipingere con le mani e portare a termine le loro opere come gli uomini, i cavalli dipingerebbero le figure degli dèi simili a cavalli, i buoi simili a buoi, e modellerebbero i loro corpi a quel modo che è l’aspetto di ciascuno di essi.”

T7ParmenideGli attributi dell’essere

In questo frammento del suo poema Sulla natura, Parmenide definisce l’essere e i suoi attributi fondamentali. Le proprietà dell’essere sono dimostrate attraverso un procedimento deduttivo, che parte dal presupposto dell’identità dell’essere con se stesso (l’essere è, e non è possibile che non sia), e che conduce a eliminare, uno dopo l’altro, tutti quegli attributi che negherebbero quel presupposto. Si ottengono così una serie di proprietà – ingenerato, eterno, immobile, intero, unico, continuo – la cui verità è dimostrata dall’assoluta necessità del procedimento logico che le ha definite.

Sulla natura

da G. Giannantoni (a cura di), I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari - 1981

“Non resta ormai che pronunciarsi sulla via

che dice che è. Lungo questa sono indizi

in gran numero. Essendo ingenerato è anche imperituro,

tutt’intero, unico, immobile e senza fine.

Non mai era né sarà, perché è ora tutt’insieme,

uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare?

Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetterò né

di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare

ciò che non è. E quand’anche, quale necessità può aver spinto

lui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima?

Di modo che è necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.

Giammai poi la forza della convinzione verace concederà che dall’essere

alcunché altro da lui nasca. Perciò né nascere

né perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami,

ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini:

è o non è. Si è giudicato dunque, come di necessità,

di lasciar andare l’una delle due vie come impensabile e inesprimibile (infatti non è

la via vera) e che l’altra invece esiste ed è la via reale.

L’essere come potrebbe esistere nel futuro? In che modo mai sarebbe venuto all’esistenza?

Se fosse venuto all’esistenza non è e neppure se è per essere nel futuro.

In tal modo il nascere è spento e non c’è traccia del perire.

Neppure è divisibile, perché è tutto quanto uguale.

Né vi è in alcuna parte un di più di essere che possa impedirne la contiguità,

né un di meno, ma è tutto pieno di essere.

Per cui è tutto contiguo: difatti l’essere è a contatto con l’essere.

Ma immobile nel limite di possenti legami

sta senza conoscere né principio né fine, dal momento che nascere e perire

sono stati risospinti ben lungi e li ha scacciati la convinzione verace.

[...]

È la stessa cosa pensare e pensare che è :

perché senza l’essere, in ciò che è detto,

non troverai il pensare: null’altro infatti è o sarà

eccetto l’essere, appunto perché la Moira lo forza

ad essere tutto intiero e immobile. Perciò saranno tutte soltanto parole,

quanto i mortali hanno stabilito, convinti che fosse vero:

nascere e perire, essere e non essere,

cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore.

Ma poiché vi è un limite estremo, è compiuto

da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera”.

T8EraclitoIl divenire

Eraclito considera la natura oggetto di una perenne e incessante trasformazione, nella quale elementi contrari mutano gli uni negli altri. Il divenire della natura coinvolge ogni cosa in un flusso eterno che non è tuttavia determinato dal caso, ma regolato dall’armonia ciclica degli opposti che si succedono come il giorno e la notte, il caldo e il freddo, la luce e il buio, la guerra e la pace. Il fiume che scorre e il fuoco che brucia incessantemente sono le immagini più note del principio del pánta rhéi, “ogni cosa scorre”, secondo la formula che, benché non sia attribuibile a Eraclito, ha stabilito fin dall’antichità la lettura tradizionale del pensiero eracliteo.

Sulla natura, fr. 22 B 88, 91, 12, 30, 67 DK

tr. it. M.M. Sassi

■ ■ da I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1981

■ ■ “La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio; questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi.” (22 B 88 DK)

■ ■ “Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte.” (22 B 91 DK)

■ ■ “Acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi” (22 B 12 DK)

■ ■ “Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura.” (22 B 30 DK)

■ “Il dio: giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame. Muta proprio come [il fuoco], quando si mescola agli aromi, prende nome secondo la fragranza di ciascuno.” (22 B 67 DK)

T3AnassagoraL’intelligenza è la più pura di tutte le cose

Per Anassagora la realtà deve il proprio ordine all’azione di un’entità cosmica separata dalla natura, chiamata intelligenza o intelletto (nóus). Essa ordina i “semi”, le unità minime, non percepibili, eterne e immutabili che sono i componenti di tutta la natura. In questo modo il nóus dà forma ai composti sensibili, differenti tra loro per le diverse proporzioni tra le differenti qualità di semi che li costituiscono. La teoria del nóus è la prima testimonianza, nel pensiero greco, di un principio separato rispetto alla natura, secondo un modello forte di dualismo tra intelletto e natura. Nel secondo brano si riporta il passaggio fondamentale della critica ad Anassagora da parte di Aristotele, che accusa la teoria del nóus di costituire una soluzione ad hoc incapace di rispondere alle domande sulla causa e sul fine delle cose naturali.

■ da Testimonianze e frammenti, tr. it. D. Lanza, La Nuova Italia, Firenze 1966

■ ■ da Metafisica, I, 985a 18-21, tr. it. G. Reale Loffredo, Napoli 1968

■ “Tutte le altre cose hanno parte di ogni cosa, ma l’intelligenza è illimitata, indipendente, e non è mescolata ad alcuna cosa, ma sta sola in sé. Se infatti non stesse in sé, ma fosse mescolata a qualche cosa d’altro, parteciperebbe di tutte le cose, se fosse mescolata a qualcuna. In tutto si trova infatti parte di ogni cosa, come ho detto prima, e le cose mescolate le sarebbero d’ostacolo, sì che non avrebbe potere su alcuna cosa, come lo ha stando sola in sé. È infatti la più sottile e la più pura di tutte le cose e possiede piena conoscenza di tutto e ha grandissima forza. E quante cose hanno vita, le maggiori e le minori, tutte domina l’intelligenza. E alla rotazione universale diede impulso l’intelligenza, sì che da principio si attuasse il moto rotatorio.”

■ ■ “Anassagora […] nella costituzione dell’universo si serve [del Nóus] come di un artificio, e solo quando si trova in difficoltà nel dar ragione della necessità di qualche cosa, trae in scena l’intelligenza; per il resto, invece, come causa delle cose che avvengono pone tutto, tranne che l’intelligenza.”

T14EmpedocleAmicizia e Contesa

La riflessione di Empedocle prende l’avvio dalle argomentazioni di Parmenide sull’essere e sul non essere: tenendo ferma l’immutabilità del principio primo dell’essere, Empedocle cerca tuttavia di superare i problemi che la teoria di Parmenide presentava di fronte alle trasformazioni del divenire naturale. Ecco allora che nel suo poema Sulla natura Empedocle afferma l’esistenza di quattro principi fondamentali, immutabili, eterni e ingenerati (come l’essere di Parmenide): sono le quattro “radici”, cioè l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco. Il loro movimento è dato dalle due forze cosmiche, Amicizia e Contesa: le trasformazioni che i sensi registrano in natura, dunque, non sono frutto di un inganno, ma riflettono la mescolanza tra le quattro radici primordiali.

Sulla natura, fr. 31 B 17 DK

da G. Giannantoni (a cura di), I presocratici. Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari - 1981

“Duplice cosa dirò: talvolta l’uno si accrebbe ad un unico essere

da molte cose, talvolta poi di nuovo ritornarono molte da un unico essere.

Duplice è la genesi dei mortali, duplice è la morte:

l’una è generata e distrutta dalle unioni di tutte le cose,

l’altra, prodottasi, si dissipa quando di nuovo esse si separano.

E queste cose continuamente mutando non cessano mai,

una volta ricongiungendosi tutte nell’uno per l’Amicizia,

altra volta portate in direzioni opposte dall’inimicizia della Contesa.

[...]

Duplice cosa dirò: talvolta l’uno si accrebbe ad un unico essere

da molte cose, talvolta di nuovo molte cose si disgiungono da un unico essere,

fuoco e acqua e terra e l’infinita altezza dell’aria,

e la Contesa funesta da essi disgiunta, egualmente tutt’intorno librata,

e l’Amicizia fra essi, eguale in lunghezza e larghezza:

lei scorgi con la mente e non stare con occhio stupito;

lei, che dagli uomini si crede sia insita nelle membra

e per lei pensano cose amiche e compiono opere di pace

[…].

Tutte queste cose sono eguali e della stessa età,

ma ciascuna ha la sua differente prerogativa e ciascuna il suo carattere,

e a vicenda predominano nel volgere del tempo.”