Mileto, centro di scambi commerciali tra Oriente e Occidente, è il luogo dove si sviluppa la prima riflessione greca sulla natura. Sarà Aristotele a indicare in Talete il primo filosofo, come iniziatore di una tradizione volta a ricercare il principio della natura non in una entità divina ma in un elemento fisico, individuato attraverso un procedimento induttivo che dall’osservazione dei fenomeni fisici risale alla teoria. Per Talete tale principio è l’acqua, “alimento di tutte le cose”. Anassimandro invece lo individua nell’ápeiron, cioè in un principio illimitato e indefinito. Ultimo esponente del naturalismo ionico, Anassimene identifica l’arché con l’aria, che circonda il cosmo e attraversa l’uomo sotto forma di respiro.
La comunità di Crotone, sviluppatasi nel VI secolo attorno alla figura di Pitagora, sostiene la dottrina che “tutte le cose sono numeri”, ritrovando tale regolarità matematica negli accordi armonici della scala musicale, nell’ordine naturale del cosmo e nella geometria. Allo stesso tempo, i pitagorici praticano un regime alimentare e uno stile di vita improntato alla purificazione morale del filosofo: a loro si attribuisce la credenza nella “metempsicosi” o trasmigrazione delle anime immortali.
Figura di poeta-filosofo, Senofane è legato alla critica nei confronti della rappresentazione antropomorfica degli dèi: a essi infatti la tradizione greca attribuiva fattezze e comportamenti propri degli uomini. In tal modo, Senofane mostra in azione la forza corrosiva del pensiero filosofico, capace di mettere in discussione i fondamenti del sistema tradizionale di valori.
Parmenide è considerato il primo filosofo ad aver individuato una realtà che si sottrae ai sensi e che risulta indagabile solo dal lógos. Nel suo poema egli distingue le tre vie del non-essere, dell’essere e delle opinioni “plausibili” (le indagini dei filosofi naturalisti). L’essere è ciò che esiste necessariamente e che si sottrae ai processi di nascita, morte e mutamento di tutti gli enti. Parmenide elenca e spiega gli attributi dell’essere: esso è eterno, ingenerato, immobile, immutabile, unico; è una totalità cui si addice la forma omogenea e perfetta della sfera.
L’allievo Zenone sviluppa una serie di paradossi per confutare la tesi degli avversari di Parmenide, mostrando le conseguenze assurde che derivano dalle loro posizioni.
Eraclito ed Empedocle delineano due modelli diversi del divenire cosmico. In Eraclito troviamo l’affermazione della perenne trasformazione e mobilità di tutte le cose, ma al contempo anche della loro stabilità e permanenza: la natura è un equilibrio dinamico degli opposti. Eraclito è anche il primo pensatore greco a mostrare interesse per l’anima e per il destino individuale dell’uomo.
Empedocle riprende invece l’immutabile necessità dell’essere parmenideo cercando al contempo di spiegare il divenire delle cose attraverso la combinazione delle quattro radici del fuoco, dell’aria, dell’acqua e della terra, unite e disgregate dalle due forze dell’Amicizia e della Contesa.
Anassagora è annoverato tra i pensatori “pluralisti”, insieme a Empedocle e agli atomisti. Essi sono accomunati dall’idea che il divenire non sia il risultato di un inganno dei sensi, ma che possa essere spiegato come il prodotto della mescolanza e separazione di elementi fondamentali e non percepibili, che dell’essere di Parmenide condividono l’immutabilità e l’eternità. In Anassagora tali elementi sono i “semi”, ordinati dal principio divino del nóus.
In Democrito e Leucippo si parla invece di “atomi”: parti minime e indivisibili della materia, le quali si muovono nel vuoto secondo leggi puramente meccaniche e senza un principio intelligente che le ordini.
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