Testi

T2PlatoneLa missione di una vita

Durante la propria apologia, Socrate dà prova dell’estrema coerenza tra le proprie credenze e le proprie azioni, asserendo che nemmeno in cambio della libertà rinuncerebbe a quella che è insieme una missione affidatagli dal dio e il massimo bene per un uomo, ovvero esaminare costantemente la bontà delle proprie e delle altrui credenze. Prova di coerenza, la sua, che è insieme un atto di coraggio, dal momento che Socrate è consapevole che difficilmente gli “uomini di Atene” ai quali si rivolge crederanno alla sincerità delle sue parole.

Apologia di Socrate 29b-30c, 37e-38a

da Platone, Apologia di Socrate, trad. it. a cura di Simonetta Nannini, Barbera, Siena - 2007

Così anche se voi ora mi lasciaste libero di andare, non prestando fede ad Anito […] se in rapporto a ciò mi diceste: “Ora, Socrate, non presteremo fede ad Anito e ti lasceremo libero, a questa condizione però, che non devi più passare il tuo tempo in questa ricerca né a filosofare; se verrai colto mentre lo fai, verrai messo a morte”; se dunque, come ho detto, mi lasciaste libero a queste condizioni, io vi risponderei: “Uomini di Atene, nutro per voi gratitudine e affetto, ma ubbidirò al dio piuttosto che a voi, e fintanto che avrò respiro e ne sarò capace, non cesserò di fare filosofia, di esortarvi e di esprimere il mio pensiero a chiunque di voi io incontri di volta in volta, dicendo le cose che sono solito dire: ‘Migliore degli uomini, tu che sei di Atene, della città più grande e più famosa per sapienza e per potenza, non ti vergogni di curarti delle ricchezze, che siano quante più è possibile, della fama e dell’onore, mentre di intelligenza e di verità e dell’anima, che sia migliore possibile, non ti curi né ti dai pensiero?’; e qualora uno di voi mi contesti e asserisca di curarsene, non lo lascerò andare subito e io non me ne andrò, ma lo interrogherò, lo metterò alla prova e lo confuterò, e se non mi sembrerà che possieda la virtù, dicendo invece di possederla, lo svergognerò perché tiene nel minimo conto le cose che più valgono, e tiene invece in maggior conto quelle prive di valore. Questo farò con chiunque io incontri, giovane o vecchio, straniero o cittadino, ma soprattutto con voi cittadini, in quanto mi siete più vicini per stirpe. Che questo è ciò che comanda il dio, lo sapete bene, e io penso che sino ad ora non si sia verificato per voi nella città un bene maggiore del mio servizio al dio. Vado in giro a non fare null’altro che questo, a persuadervi cioè, giovani e vecchi, di non curarvi né del corpo né delle ricchezze prima o con maggiore accanimento di quanto vi occupate dell’anima perché sia migliore possibile, dicendo: ‘Agli uomini non da ricchezza deriva virtù, bensì da virtù ricchezza, con gli altri beni, tutti, in privato e in pubblico’. Se dunque dicendo queste cose corrompo i giovani, vorrà dire che sono dannose, ma se qualcuno sostiene che io dico cose diverse da queste, sostiene una cosa inesistente. In considerazione di ciò”, potrei dirvi, “uomini di Atene, che ubbidiate ad Anito o no, che mi lasciate andare libero o no, comunque io non mi comporterò diversamente, anche se dovessi morire mille volte”. […]

Forse uno potrebbe dire: “Ma possibile, Socrate, che non ti riuscirà di vivere, zitto e tranquillo, lontano di qui?”. Questa appunto è la cosa più difficile di tutte di cui persuadere alcuni di voi. Se dico infatti che questo significa disobbedire al dio ed è dunque il motivo per cui mi è impossibile stare tranquillo, non mi crederete, pensando che sto facendo dell’ironia.

Se d’altro canto vi dico che questo è addirittura il massimo bene per un uomo, parlare giorno dopo giorno della virtù e delle altre cose di cui voi mi sentite discutere, esaminando me stesso e gli altri, mentre una vita non soggetta a esame non è una vita per un uomo, se appunto dico questo risulterò ancor meno credibile.

T3PlatoneMaieutica socratica

Questo brano tratto dal Teeteto presenta la celebre similitudine tra l’ostetricia e l’arte socratica di far partorire le anime: come le levatrici aiutano le donne gravide a partorire figli, così Socrate aiuta gli uomini che hanno le “doglie” a partorire pensieri.

Teeteto 148e-150c

Platone, Teeteto, trad.. it. Simonetta Nannini

TEETETO Sappi bene, però, Socrate, che più volte ho intrapreso l’esame di questo problema, quando udivo ciò che mi riferivano delle tue domande, ma in realtà non riesco a persuadere me stesso che sono in grado di fornire una risposta in qualche modo adeguata, né riesco a sentire un altro rispondere così come tu richiedi, e d’altra parte non mi è possibile nemmeno sbarazzarmi dell’assillo che la questione mi procura.

SOCRATE È il segno che hai le doglie, caro Teeteto, non essendo tu vuoto bensì gravido.

TEETETO Non lo so, Socrate; esprimo solo ciò che provo.

SOCRATE E allora, ridicola creatura, non hai sentito dire che io sono figlio di una levatrice, davvero nobile e maschia, Fenarete?

TEETETO Questo sì, l’ho già sentito.

SOCRATE Hai anche sentito, allora, che pratico lo stesso mestiere?

TEETETO Mai.

SOCRATE Ma sappi che è così. Solo non denunciarmi agli altri; ho infatti tenuto nascosto, amico mio, di possedere quest’arte, e loro, poiché ne sono all’oscuro, non è questo che dicono di me, bensì che sono il più strano degli esseri e suscito aporie negli uomini. Anche questo, l’hai sentito?

TEETETO Io sì.

SOCRATE Debbo dunque dirtene la causa?

TEETETO Certamente.

SOCRATE Poni allora attenzione a tutto quanto riguarda l’attività della levatrice, e imparerai piuttosto facilmente cosa voglio dire. Suppongo infatti che tu sappia che nessuna di loro, sino a che è ancora in grado di concepire e di generare, fa da levatrice ad altre, ma lo fanno soltanto quelle alle quali è ormai impossibile generare.

TEETETO Certamente.

SOCRATE Responsabile di ciò, a quanto si dice, è Artemide, che, pur essendo “senza parto”, ebbe in sorte di proteggere il parto. Alle donne sterili, per conseguenza, non ha concesso di fare le levatrici, perché la natura umana è troppo debole per acquisire un’arte che concerne cose di cui non ha esperienza. Ha invece attribuito l’incarico a quelle che, per l’età, non sono in grado di procreare, onorandone la somiglianza con se stessa.

TEETETO È probabile.

SOCRATE Anche questo dunque è probabile e anzi necessario, cioè che le levatrici meglio di altre riconoscano quelle che sono incinte e quelle che non lo sono?

TEETETO Certo che sì.

SOCRATE E inoltre naturalmente le levatrici, somministrando blandi farmaci e pronunciando incantamenti, possono sia stimolare sia, se vogliono, rendere meno dolorose le doglie, e far partorire le donne che hanno difficoltà; e se sembra opportuno far abortire un feto ancora immaturo, allora procurano l’aborto?

TEETETO È così.

SOCRATE E non ti sei accorto, inoltre, di questa loro prerogativa, che sono anche abilissime mediatrici di nozze, in quanto più che sapienti nel riconoscere quale donna debba unirsi a quale uomo per generare i figli migliori possibile?

TEETETO Questo non mi è affatto noto.

SOCRATE Sappi invece che di questo vanno più orgogliose che della loro abilità nel tagliare cordoni ombelicali. Rifletti, infatti: pensi che facciano parte del medesimo mestiere, o di uno diverso, la cura e la raccolta dei frutti della terra e, ancora, il riconoscere in quale terra quale pianta e quale seme vadano collocati?

TEETETO Non di un mestiere diverso, bensì dello stesso.

SOCRATE E per quanto concerne la donna, tu pensi che un mestiere sia quello di quest’ultimo genere, e uno quello della raccolta?

TEETETO Non mi pare verosimile.

SOCRATE Non lo è, infatti. Ma a causa della pratica di unire un uomo e una donna al di fuori di norme e senza perizia – pratica nota col nome di lenocinio – le levatrici, in quanto persone onorevoli, rifuggono anche dall’arte di combinare matrimoni, per paura di incorrere, a causa di tale pratica, in quell’accusa; eppure alle vere levatrici soltanto, come credo, spetta combinare matrimoni nel modo corretto.

TEETETO Mi sembra giusto.

SOCRATE Di così grande importanza è dunque il compito delle levatrici, minore, tuttavia, di quella assunta dalla funzione che io sono solito svolgere. Non capita, infatti, alle donne di partorire talora mere immagini, in altri casi esseri veri, e che la natura del parto non sia facile da riconoscere. Se capitasse, sarebbe il compito più grande e più bello per le levatrici quello di distinguere il vero dal falso parto. Non credi?

TEETETO Sì che lo credo.

SOCRATE Ora, la mia arte ostetrica presenta tutte le caratteristiche che appartengono a quella delle levatrici, essa differisce però nel fatto che io faccio partorire uomini, non donne, e sorveglio le loro anime partorienti, non i corpi. Ma la più importante caratteristica inerente alla nostra arte è questa, che chi la possiede è in grado di saggiare in ogni modo se la mente del giovane dà alla luce una mera immagine e una falsità, o qualcosa si fertile e di vero. Poiché anch’io mi trovo, quanto a questo, nella stessa condizione delle levatrici: sono incapace di generare sapienza, e il rimprovero che molti ormai mi hanno mosso, che interrogo cioè gli altri, mentre io non mi pronuncio su alcuna cosa dal momento che non ho alcuna sapienza in me, è un rimprovero che ha del vero. La causa di questo mio comportamento è la seguente: il dio mi costringe a far da levatrice, ma mi ha impedito di generare.