Per saperne di piùMedicina e filosofia in Ippocrate

di Valentina Gazzaniga

Di Ippocrate, ritenuto il fondatore della medicina razionale, possediamo un’immagine non sempre veritiera, in parte frutto dell’elaborazione tarda di biografie e leggende che ne hanno ricostruito un profilo perlopiù immaginario.

Nato a Kos intorno al 460 a.C. da una famiglia aristocratica, Ippocrate avrebbe curato pazienti illustri, come Democrito e il re macedone Perdicca; avrebbe viaggiato molto, spostandosi dall’isola nativa verso la Tessaglia, in un peregrinare di città in città che bene illustra le modalità di azione degli antichi medici itineranti. Avrebbe soccorso i cittadini di Atene durante una pestilenza, purificando l’aria della città con l’accensione di fuochi, e sarebbe morto a Larissa, in un arco di tempo compreso tra il 375 e il 351 a.C. I suoi figli sarebbero stati i suoi primi allievi, anche se la sua scuola si sarebbe ben presto allontanata dall’orbita familiare con l’arrivo di discepoli esterni, per vincolare i quali egli avrebbe scritto il Giuramento.

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La medicina nell'antichità classica

Il Corpus Hippocraticum

Sotto il nome di Ippocrate sono state tramandate una sessantina di opere di paternità, intenzione e stile diversi, e di datazione molto variabile. La discussione su quali di esse siano effettivamente ascrivibili a Ippocrate, e costituiscano pertanto un “nucleo originale”, quali siano opera della sua stretta cerchia di allievi, quali invece siano state scritte in un lasso di tempo più avanzato, è antica. Alcuni testi presentano parti comuni, altri sembrano composti da più autori, o da un unico autore in fasi diverse della vita.

Tutti gli scritti riconducibili a Ippocrate, tanto quelli ritenuti autentici quanto quelli contenenti teorie assimilabili a quelle del maestro, sono stati raccolti in epoca alessandrina in un’unica collezione, il Corpus Hippocraticum.

Alcune opere del Corpus sembrano effettivamente scritte nell’ambiente culturale della scuola di Kos: si tratta dei libri “chirurgici”, che trattano di ferite, lussazioni e fratture; del trattato Sulla natura dell’uomo, che contiene la formulazione della teoria umorale; dei libri sulle Epidemie, cataloghi di casi clinici e malattie che hanno colpito zone particolari della Grecia in dati periodi dell’anno; del trattato Delle arie, acque e luoghi, manuale per il medico itinerante che deve essere informato sulle condizioni geografiche e climatiche che incontrerà nei suoi viaggi; del Prognostico, nel quale si individua il metodo per comprendere l’evoluzione della malattia e per impostare una terapia globale che includa la modificazione dell’intero stile di vita; del Giuramento, in cui si prescrivono le norme comportamentali che il medico deve osservare.

Altre opere, i cosiddetti trattati “cnidi”, sembrano invece provenire dalla scuola di Cnido, “rivale” di quella di Kos: tra questi, il trattato sulle Affezioni e parte dei trattati sulle Malattie. Vi è infine una serie di scritti a carattere filosofico, alcuni più antichi, come il trattato sulla Medicina antica, un’opera sul metodo, altri più tardi, tra i quali è possibile riconoscere una matrice estranea all’ippocratismo di prima data.

Presupposti comuni

Malgrado le differenze stilistiche, sintattiche e talvolta teoriche, in tutti questi scritti è possibile individuare almeno due comuni denominatori: in primo luogo, il rifiuto dell’idea di un intervento divino nella genesi della malattia, espresso nel trattato sulla Malattia sacra; in questo scritto si confuta l’idea diffusa che l’epilessia rappresenti un morbo inviato dagli dèi. In secondo luogo, il concetto che salute e malattia, proprio perché non sono fenomeni “divini”, vadano ricondotte all’ambito della phýsis (“natura”).

Il metodo ippocratico

Il metodo come registrazione di segni

Il metodo ippocratico è basato sulla ricerca delle cause di malattia, per comprendere le quali il medico ha a disposizione procedimenti sensoriali e processi dell’intelletto. Se salute e malattia appartengono all’ordine delle cose naturali, esse devono possedere caratteri percepibili attraverso i cinque sensi. Non basta però registrare i fenomeni del corpo così come sembrano accadere; il medico deve ricorrere all’osservazione, che è un atto intellettuale e selettivo, e deve infine organizzare i dati della sensazione attraverso il ragionamento (lógos), attribuendo ai sintomi corporei un significato e un ordine che ne fanno dei segni, comprensibili a lui soltanto. Il segno colma in un certo senso l’ignoranza circa il reale stato interno del corpo: si tenga presente che lo studio anatomico, inteso come metodo scientifico e non come mero risultato di osservazioni casuali, non è praticato nella medicina ippocratica.

I cinque sensi per risalire alle cause della malattia

Nell’utilizzare i propri sensi per ricevere informazioni su quanto accade nel corpo il medico privilegia la vista: vedere il colorito dell’ammalato, dei suoi occhi, delle sue secrezioni, il modo in cui tiene le mani, osservarne i tremori e gli spasmi, significa incamerare dati utili nella costruzione della storia della malattia. A questi dati il medico aggiunge quello che è capace di percepire toccando il corpo dell’ammalato, il suo grado di calore o di umidità, la reazione alla palpazione del ventre, la consistenza degli escreti del corpo, che sono testimoni privilegiati dello squilibrio umorale. Vengono poi l’olfatto e il gusto: escreti che emanano cattivo odore sono in genere giudicati segno prognostico negativo, indici di “corruzione” interna; allo stesso modo, se il sapore delle urine acquista una anomala dolcezza, specie se associata a un eccessivo fluire, è indice di diabete. L’udito, infine, fornisce dati di diversa natura: da un lato, permette di ascoltare i rumori del corpo, percependone innaturali variazioni; dall’altro, consente al medico di acquisire l’unica conoscenza che i maestri e i testi non sono in grado di fornire, quella sul vissuto di malattia, che può venire solo dall’ascolto delle narrazioni del paziente (anamnesi).

Ambiente e salute

La registrazione sensoriale non si limita al corpo dei malati, ma considera anche l’ambiente in cui vivono. L’aria che respirano, l’acqua che bevono e in cui si bagnano, i venti che attraversano le loro città, facendo parte del mondo della phýsis, veicolano le stesse qualità da cui dipende l’equilibrio del corpo, la salute. Un eccesso di calore, di umidità o di freddo, andando a sommarsi alle qualità interne al corpo dell’uomo, ne può causare infatti lo sbilanciamento. Il trattato Delle arie, acque e luoghi è espressamente composto per agevolare la comprensione delle relazioni tra salute, malattia e ambiente, inteso anche nella sua dimensione istituzionale e politica: come ha rilevato Mario Vegetti, un regime tirannico, per esempio, incide sul corpo e sul carattere dei sudditi, rendendoli deboli e imbelli.

Ricomporre i segni per comprendere la realtà

Acquisiti tutti i dati di sensazione e di osservazione, il medico può utilizzare la sua facoltà logica per confrontarli e ricomporli in una storia coerente. Punto di partenza è la considerazione che la malattia non è un’entità stabile, ma un “essere” in evoluzione nel tempo, che ha un’origine, cresce di intensità, raggiunge un’acme e va incontro a una crisi che può portare il malato alla guarigione o alla morte. Lo svolgersi nel tempo della malattia va considerato con la massima attenzione, tanto che i medici ippocratici arrivano a formulare una teoria della periodicità delle malattie, o “teoria dei giorni critici”: secondo alcuni trattati la crisi può intervenire al terzo o al quarto giorno (febbri terzane e quartane), secondo altri la malattia evolve invece in archi di sette giorni.

L’importante, per il medico, è trovare un ordine, anche numerico, che si contrapponga al caso. Solo attraverso quest’ordine i segni acquisiti formeranno una sorta di “banca dati”, scelti attraverso un processo di diagnosi o “selezione dei segni”, mediante la quale ciò che non è significante e che accade per caso viene separato da ciò che invece consente comprensione delle cause e degli sviluppi futuri della malattia.

Prognosi

Il concetto di prognosi è fondamentale per la medicina ippocratica, tanto che a esso è dedicato un intero trattato, il Prognostico (pro-ghignósko, “conosco in anticipo”), che la critica antica attribuisce personalmente a Ippocrate e che tratta della capacità del medico di tracciare la storia futura della malattia, guadagnandosi in tal modo la fiducia del malato. In questo senso il medico pratica la stessa arte mantica dei sacerdoti che avversa, e anzi sarà tanto migliore quanto più esatta sarà la sua proiezione sul futuro. Il buon medico però, a differenza dei “ciarlatani, maghi e imbroglioni” che praticano nei templi e per le vie delle città, e che sono violentemente attaccati nel trattato sulla Malattia sacra, ha consapevolezza della relatività della propria arte, sa che guarire tutti non è possibile e che è anzi indispensabile, in qualche caso, riconoscere la forza della phýsis come superiore a quella della medicina.

La filosofia della medicina ippocratica

La téchne medica

Le opere del Corpus rispondono variamente alla domanda sulla differenza tra la medicina e le altre pratiche di guarigione. Il trattato Sull’arte, databile alla fine del V secolo a.C., ha tra i suoi scopi di individuare le caratteristiche che fanno della medicina una téchne, una competenza in grado di ottenere un risultato pratico (la guarigione), a partire dalla conoscenza del “perché” si agisce in un modo piuttosto che in un altro. La più importante di queste caratteristiche, come si è già accennato, è l’eliminazione del caso: “Tutto ciò che accade, accade per un perché, e nella misura in cui si dà un perché risulta manifesto che il caso non ha nessuna realtà al di fuori del puro nome”.

La téchne medica è frutto della combinazione tra principi teorici e “saper agire”, ed è destinata alla creazione, o meglio “ricreazione” di un prodotto, la salute perduta. Si distingue sia dall’epistéme, il sapere astratto e tendente a una dimensione assoluta, sia dalla tribé, la competenza degli artigiani basata su un procedimento puramente empirico, “per prova ed errore”.

Curare gli ammalati, nella tradizione ippocratica, è qualcosa di profondamente diverso dalla capacità di forgiare un vaso: il vasaio sa quali sono i gesti da compiere e la loro corretta successione, ma perché il suo prodotto sia perfetto non è necessario che egli conosca le motivazioni teoriche del suo agire. Il medico ippocratico, invece, pur fondando il suo sapere sull’esperienza, ha necessità di superarne i limiti, inquadrando i dati di osservazione che ha raccolto in un sistema logico, il cui fine è ottenere una modificazione dello stato di natura.

Fisiologia e patologia ippocratica: la teoria degli umori

Il trattato Sulla natura dell’uomo, attribuito a Polibo, l’allievo prediletto di Ippocrate, contiene la sistematizzazione più coerente della teoria ippocratica dei “quattro umori”, in base alla quale a sangue, flegma, bile gialla e bile nera, costituenti del corpo, corrisponderebbero le qualità del caldo, freddo, secco e umido.

Umori e qualità hanno un equilibrato rapporto tra loro, consono alle età della vita e al genere sessuale. In questo equilibrio sta la salute, nel cambiamento del loro stato (metabolé), che è una rottura (discrasia), la malattia. Qualsiasi elemento del mondo naturale, che è composto degli stessi principi del corpo umano (caldo, freddo, secco e umido), è in grado di penetrare in quest’ultimo e di modificare l’equilibrio-salute.

Causalità, base del metodo clinico

La malattia è dunque un “cambiamento”, prodotto da una “causa” che si trova nell’ambiente o nel regime, vale a dire nell’insieme delle abitudini di vita del paziente. Ma se c’è causa, c’è prevedibilità: il medico può formulare la sua prognosi, può cioè, come abbiamo visto, “predire” l’andamento della malattia. Non è sufficiente che affermi che un certo comportamento, un cibo o un clima sono nocivi alla salute, ma bisogna anche che sappia dire “perché”. In questo principio della causalità come base del metodo clinico la medicina ippocratica si fa maestra della filosofia, come si può osservare in particolare nel Gorgia platonico.

L’arte medica e l’etica ippocratica

Etica medica?

Nel Corpus Hippocraticum non esistono testi esplicitamente dedicati all’etica medica, intesa come insieme di principi e norme ben individuati e autonomi da altri settori della riflessione. Quello che spesso viene letto come esempio di etica medica antica, il Giuramento, è infatti solo un testo a carattere deontologico, riguardante cioè esclusivamente le regole di comportamento proprie della professione medica, che solo in parte possono essere considerate casi specifici di precetti morali più generali.

Il Giuramento si configura come un patto davanti alle divinità della cura (Apollo, Asclepio, Igea e Panacea, invocati nel preambolo) che sancisce un processo di iniziazione. Si tratta di una sorta di contratto di associazione, nel rispetto di doveri esclusivi della professione, come agire nell’interesse del paziente, compiere solo atti dei quali si è capaci, soccorrere il maestro in caso di bisogno. In altri trattati del Corpus vengono incluse una serie di norme che regolano anche l’apparenza fisica del medico, il contegno che deve tenere in pubblico, il modo in cui deve vestire, il riserbo assoluto che deve mantenere nei confronti di fatti, medici o no, di cui venga a conoscenza durante l’esercizio della professione.

Tecnoetica e giusto mezzo come regola di comportamento

Al di là di questi precetti di base non è necessario approfondire ulteriormente cosa sia bene o male nell’esercizio dell’arte medica: è bene solo l’essere competenti (tecnoetica) e ispirare il proprio comportamento alla regola del giusto mezzo, da cui il medico ricaverà autorevolezza di fronte al malato. Egli deve rivolgersi al paziente con tono pacato, le sue parole e i suoi gesti non devono apparire rudi, deve evitare, in quanto “estranea alla convenienza”, una condotta eccessivamente gioviale. A queste prescrizioni, volte a evitare la cattiva fama del medico, va aggiunto il rifiuto a compiere atti potenzialmente mortali, come la somministrazione di farmaci eutanasici o l’interruzione di gravidanza – ciò che ha aperto la strada a letture del Giuramento ippocratico in un’ottica di etica cristiana.

Lo scopo della medicina

Il principio cardine dell’etica ippocratica, nel quale si riassume lo scopo dell’intera medicina, è quello dell’“essere utile e non procurare danno all’ammalato” (il primum non nocere della tradizione successiva). La medicina deve “eliminare le sofferenze del malato e diminuire la violenza delle malattie, astenendosi dall’intervenire nei casi in cui il male è più forte”: questo passo, derivato dal trattato Sull’arte, stabilisce un principio morale non formalizzato, che la letteratura ha definito “naturalismo etico”. L’ordine morale si fonda cioè sul rispetto della phýsis: il buon medico asseconda l’andamento ordinato della natura, evitando i rischi di un interventismo forzato. Di fronte a malattie incurabili, dove la forza della phýsis è maggiore di quella della medicina, egli si astiene da terapie che accrescerebbero solo la sofferenza. La medicina va vista insomma come parte costitutiva di un tutto armonico, retto dalle leggi della necessità.

Il “consenso informato”

Sebbene gli scritti del Corpus espongano teorie diverse tra loro riguardo alla relazione medico-paziente, si può dire che l’attenzione è posta principalmente sulla centralità del paziente nell’atto clinico: il medico deve esercitare in sinergia con un soggetto cosciente, consapevole della sua malattia e della storia che la caratterizza – una prefigurazione del tema attuale del “consenso informato”. Il paziente non deve accogliere passivamente ordini e prescrizioni, ascolta le impressioni del medico e dà vita a un rapporto di scambio che gli consente addirittura di insegnare, anche da una posizione culturale umile, qualcosa al curante. Non c’è cura senza convinzione dell’ammalato, né guarigione senza che il medico conosca il vissuto psicologico della malattia. L’anamnesi ippocratica, che costringe il malato a ricercare nella memoria la storia vicina e lontana del suo corpo, è lo strumento fondamentale di una relazione attiva, in cui gli aspetti tipici del paternalismo medico antico sono mitigati dal dialogo e dal confronto.