I sofisti sono protagonisti, insieme a Socrate, della scena filosofica nell’Atene del V secolo a.C. Nel contesto di una pólis sempre meno legata ai valori della morale aristocratica e in rapida trasformazione, i sofisti si fanno portatori di un’etica relativista e pragmatica, che fa del sapere filosofico un sapere pratico e utile, una professione volta a formare cittadini capaci di argomentare e di agire secondo l’utilità del momento e del contesto.
Pur nella varietà di temi propria di un movimento di pensiero molto eterogeneo, è possibile individuare alcuni temi ricorrenti nella sofistica: il relativismo dei valori come verità, bene e giustizia; la riflessione sulla natura degli dèi e sull’ordine del cosmo; le nozioni di legge e natura e le teorie della politica; infine, il potere persuasivo e “seduttore” della parola.
Protagora sostiene che l’uomo è misura di tutte le cose e che quindi la verità sia sempre relativa. Le azioni vanno valutate non sul fondamento di un valore assoluto di riferimento, ma in relazione all’utile e all’efficacia. Il sofista ha dunque il compito, per Protagora, di insegnare quelle tecniche argomentative che consentano la scelta migliore nei diversi contesti.
Gorgia porta a conseguenze ancora più radicali la riflessione protagorea sulla verità. Essa non è che un effetto di seduzione del linguaggio, e non ha alcuna consistenza se non la capacità persuasiva delle parole. In polemica con la teoria dell’essere di Parmenide, Gorgia sostiene tre famose tesi: nulla è; se anche fosse, non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile. Ogni conoscenza, anche quella relativa, è dunque radicalmente negata. Al tema del linguaggio sono dedicate anche le analisi della “sinonimica” di Prodico.
Altri sofisti, come Antifonte, Ippia, Trasimaco, si distinguono soprattutto per la riflessione politica.
Socrate nasce ad Atene attorno al 470-469 a.C. Appartiene alla tradizione di filosofi antichi che non hanno scritto nulla. Di lui ci rimangono tuttavia molte informazioni grazie ai numerosi “discorsi socratici” composti dai suoi allievi. La diversità delle fonti ha posto il problema di quale sia da considerare il Socrate autentico, se quello descritto da Senofonte, da Aristofane, oppure quello di Platone. La critica considera i dialoghi platonici, nei quali Socrate è protagonista, come la fonte più fedele all’autentico pensiero del maestro.
Avvicinatosi alla filosofia della natura con la lettura degli scritti di Anassagora, Socrate se ne allontana per dedicarsi all’indagine sul bene e sulla natura dell’uomo. Cittadino esemplare nei doveri militari e civili, Socrate è citato in giudizio nel 399 a.C. con l’accusa di empietà e corruzione dei giovani. La sua difesa, narrata nell’Apologia di Socrate di Platone, diventerà esemplare per il coraggio e la coerenza dimostrata di fronte alla minaccia della pena capitale. L’esito del processo vede la condanna a morte del filosofo, che viene eseguita un mese dopo (primavera del 399 a.C.).
Socrate dedica la propria vita all’educazione dei concittadini, spingendoli a occuparsi della conoscenza di sé e della cura dell’anima attraverso l’esame di ciò in cui si crede. La sua filosofia, quindi, si presenta non solo come una forma di riflessione teorica, ma anche come modello etico e come modo di vivere la filosofia a tempo pieno. Spinto dall’oracolo di Delfi, che lo avrebbe definito il più saggio tra i Greci, Socrate sostiene che nessun uomo è realmente sapiente, ma lo è piuttosto chi, come lui, è consapevole di non esserlo riguardo alle questioni più importanti, relative alla natura dell’uomo. La filosofia è la ricerca di questa sapienza attraverso la continua interrogazione, di sé e degli altri: è quindi amore del sapere e non suo possesso (che è l’ambizione, invece, dei sofisti). Questa tensione etica, che prende la forma del dialogo educativo e che è animata da una spinta interiore (il dáimon socratico), usa lo strumento della dialettica in due sensi: dapprima verifica le credenze dell’interlocutore e ne confuta gli errori (élenchos, fase critica) attraverso l’ironia, cioè nascondendo il proprio sapere dietro una dichiarazione d’ignoranza; poi aiuta l’interlocutore a “partorire” la verità che egli ha dentro di sé (maieutica, fase costruttiva).
La ricerca socratica è rivolta alla virtù e alla definizione della natura umana: l’uomo può praticare il bene solo se lo conosce, e può conoscerlo solo se è cosciente della natura dell’uomo e di ciò che le è adeguato. Per questo, secondo Socrate, nessuno compie il male volontariamente, ma agisce in modo non virtuoso chi non sa riconoscere quale sia la natura autentica del bene. La virtù è quindi una sola e consiste nella capacità di distinguere il bene dal male.
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