Perché Aristotele?

Aristotele consegna ai posteri un pensiero della sostanza, della forma e della materia, della potenza e dell’atto, gli strumenti della deduzione e dell’induzione, della definizione, una classificazione dei generi e delle specie che, benché variamente rivisitata e riformulata, continua a coinvolgere il pensiero moderno.

Se gli stereotipi possono dirci qualcosa, la definizione dantesca di Aristotele come “maestro di coloro che sanno”, scritta quasi sedici secoli dopo la sua morte, ci dimostra quanto sia stata vasta e quanto abbia durato la fama di Aristotele come il Filosofo per eccellenza – senza parlare di come questa influenza si sia manifestata anche dopo i secoli medievali, sino a riguardare molti aspetti anche della filosofia moderna e contemporanea. Come a dire che, se si voleva filosofare, o si doveva partire da Aristotele, o comunque non si poteva ignorare la sua ingombrante presenza, così che, come vedremo, molti termini filosofici ancora in uso ricalcano quelli aristotelici, anche da parte di chi o aristotelico non si proclama, o ignora questa eredità.

Se pure i discepoli di Aristotele continuarono a dare vita a una scuola peripatetica, l’influenza del filosofo non si fece sentire particolarmente su importanti autori successivi, come per esempio gli stoici, ma i suoi scritti riappaiono nel I secolo a. C. a opera di Andronico di Rodi. Di lì vanno gradatamente a nutrire il pensiero arabo e quindi per l’influenza dei pensatori arabi tornano nell’Occidente cristiano, e basti pensare come i fondamenti teologici della transustanziazione, ovvero trasformazione del pane e del vino nel corpo di Gesù, siano basati sulla nozione aristotelica di sostanza.

All’inizio, degli scritti aristotelici erano pervenuti alle soglie del medioevo, e in lingua latina, solo alcuni testi, grazie alle traduzioni di Boezio, ma dal XII secolo in avanti il corpus aristotelico sarà interamente tradotto prima dall’arabo e poi dal greco, dai libri detti “naturali” sino alla Metafisica, e questi testi produrranno una vera e propria rivoluzione filosofica nel pensiero medievale, così che con Tommaso d’Aquino l’aristotelismo diventerà la filosofìa ufficiale della teologia cristiana. Una vulgata corrente e le affermazioni di molti filosofi rinascimentali farà pensare che il nuovo pensiero moderno si svolga tutto in chiave platonica e antiaristotelica, ma tra la fine del Medioevo e il Rinascimento abbiamo l’aristotelismo padovano (e basti ricordare il nome di Pomponazzi) mentre sul piano dell’ortodossia religiosa continua a fiorire negli ambienti e nelle università ecclesiastiche un aristotelismo controriformista che sopravviverà sino alla rinascita neotomista del XIX secolo.

D’altra parte, se in ambienti rinascimentali perde influenza l’Aristotele metafisico, fiorisce una rinnovata attenzione per l’autore della Poetica e della Retorica – tradizione che continua nella retorica barocca e che verrà infine ripresa a metà del secolo scorso nell’ambiente anglosassone. Richiami costanti ad Aristotele si hanno negli studi di logica, e ritorni a riflessioni aristoteliche troviamo in vari filosofi moderni, per esempio tra i fenomenologi.

Cosa ha fatto di Aristotele, il filosofo da cui non si poteva prescindere? Certamente la vastità delle sue indagini, che andavano da una filosofia dell’essere agli studi (“scientifici” per l’epoca in cui erano stati scritti, e considerati tali anche in epoche successive) sull’astronomia, sulla fisica, sulla biologia e sulla zoologia, per non dire delle sue teorie sulla politica e sull’etica. La logica si era profondamente trasformata quasi subito dopo Aristotele a opera degli stoici ma, a prescindere dal fatto che il pensiero degli stoici era pervenuto alle epoche successive in forma frammentaria (e spesso attraverso i loro avversari), la teoria aristotelica del sillogismo fa ancora parte degli studi logici contemporanei, per quanto si siano sviluppati in direzioni inedite, così come rimangono principi ineludibili, anche da parte di chi li critica, quelli dell’identità, della non contraddizione, del terzo escluso.

Nel suo antiplatonismo, riportando le forme universali dall’iperuranio al modo fisico, Aristotele ha consegnato ai posteri un pensiero della sostanza, della forma e della materia, della potenza e dell’atto, gli strumenti della deduzione e dell’induzione, della definizione, una classificazione dei generi e delle specie che, benché variamente rivisitata e riformulata, continua a coinvolgere il pensiero moderno.

Si è detto a proposito di Platone che tutta la storia della filosofìa altro non è che un commento alle sue teorie, ma lo stesso si potrebbe dire di Aristotele. La sua è stata e rimane una presenza ineliminabile che, se talora ha indotto a reazioni conservatrici, ha pur sempre ispirato lo sviluppo della filosofia.

Per tornare agli stereotipi, nella Scuola d’Atene di RaffaelloPlatone appare col dito volto all’insù, a ricordare la sua visione del mondo iperuranio delle idee, mentre Aristotele appare con la mano tesa all’ingiù. Questa era certamente una semplificazione, ma sta di fatto che Aristotele ci ha insegnato (ricorrendo a metodi empirici, osservando la natura) a parlare del mondo in cui viviamo, lasciando nell’iperuranio solo una Causa Prima, un Motore Immobile, un Atto Puro che pensa sé stesso pensante.

Si potrebbe caratterizzare gran parte del pensiero filosofico dal Rinascimento a oggi come guidato dalla domanda “come sbarazzarsi di Aristotele?” Ma è difficile sbarazzarsi di un pensatore che ha impresso una traccia così grandiosa a cui spesso i posteri non sono riusciti a “girare attorno”. Per cui vale la pena di capire Aristotele per capire moltissimo di quel che si è detto dopo di lui, talora contro di lui. Senza capirlo non si capirebbe moltissimo di quello che è avvenuto dopo.