Nello stesso I secolo vivono e scrivono sia Seneca che Filone di Alessandria […]; nel II secolo convivono gnostici come Basilide e Valentino, Marco Aurelio e san Giustino martire, Clemente di Alessandria e Galeno, il quale muore quando Tertulliano ha già quarant’anni.
È ingannevole etichettare come filosofia latina o romana quella che si sviluppa nell’area dell’intero Mediterraneo, dalla fine delle guerre puniche alla caduta dell’impero di Occidente. E non perché, come vuole una vulgata alquanto pigra, non vi sia stata una filosofia romana: infatti Cicerone o Seneca o Marco Aurelio, se pure riprendono i temi della cultura greca e in particolare di quella del periodo ellenistico, non sono pensatori privi di vigore intellettuale. Per non dire di un gigante come Lucrezio. È che le esigenze scolastiche della periodizzazione si sono scontrate con quelle della tematizzazione; per questo si trattano e si studiano come entità indipendenti il pensiero romano, quello cristiano, quello ebraico, la rinascita del platonismo attraverso le tradizioni delle scuole neoplatoniche, Plotino, le varie forme di sincretismo religioso che hanno attraversato il mondo mediterraneo dal II secolo in avanti, o la gnosi e il manicheismo…
È come se uno storico del futuro decidesse di trattare la cultura del XX secolo in volumi separati, dedicandone uno alla cultura americana, l’altro al mondo sovietico, un altro ai popoli già coloniali, altri due all’India e alla Cina. Senza rendersi conto che un russo leggeva gli americani e poteva essere influenzato dal pensiero indù, che un bramino sapeva molto del cristianesimo, che alcuni polinesiani andavano a studiare alla Sorbona, e così via.
Non ci rendiamo forse conto che nello stesso I secolo vivono e scrivono sia Seneca che Filone di Alessandria, che rilegge la Bibbia in chiave grecizzante; nel II secolo convivono gnostici come Basilide e Valentino, Marco Aurelio e san Giustino martire, Clemente di Alessandria e Galeno, il quale muore quando Tertulliano ha già quarant’anni. Non consideriamo abbastanza che Seneca nel 20 d.C. ha visitato l’Egitto e ne ha studiato la cultura. Possibile che tutta questa gente non si conoscesse? Forse Marco Aurelio non sapeva dell’esistenza di uno gnostico come Basilide e all’inizio del II secolo si conosceva poco dei cristiani tanto che Plinio il Giovane, inviato in Bitinia da Traiano, discute con l’imperatore su come procedere nei confronti della nuova religione; ma i Padri della Chiesa sanno molto del pensiero che dichiarano eretico, e i contatti tra cristianesimo e neoplatonismo non sono soltanto episodici.
La filosofia fu importata a Roma dalla Grecia, né si formò mai una filosofia romana distinta dalle scuole filosofiche greche, se si eccettua la scuola dei Sestii in età imperiale. I Romani non erano inclini come i Greci verso le speculazioni astratte, ma erano profondamente legati alle proprie tradizioni e a tutto ciò che concorreva alla potenza e alla grandezza di Roma. La filosofia era considerata parte della formazione culturale, della humanitas di un romano della classe colta, ma non doveva oltrepassare questi limiti.
Sarebbe comunque ingiusto non riconoscere alla filosofia romana originalità e creatività nel selezionare e nell’adattare temi della filosofia greca alle esigenze dell’ideale morale del mos maiorum e della compiuta formazione di un uomo politico. Anche se pochi Romani coltivarono la filosofia come occupazione principale, molti Romani colti ne furono indirettamente influenzati, basti pensare a Marco Terenzio Varrone, ai poeti Orazio, Virgilio, Persio, Petronio, allo storico Tacito. Allo stoicismo attingono sia il circolo degli Scipioni sia gli esponenti della fazione rivale, quella democratica dei Gracchi; stoici si professeranno sia l’imperatore Marco Aurelio sia lo schiavo Epitteto, e anche Seneca, nel quale pure confluiscono motivi epicurei, cinici, medioplatonici. E un analogo eclettismo su fonti greche si può trovare nell’opera filosofica di Cicerone. Alla poesia di Lucrezio, invece, e alla fortuna del suo De rerum natura si dovrà gran parte della diffusione in lingua latina del pensiero di Epicuro.
Il rapporto dei Romani con la filosofia passa dunque attraverso due momenti: anzitutto la contrastata diffusione, a partire dal II secolo a.C., della filosofia greca a Roma; poi, la formazione di una filosofia propriamente romana, come rielaborazione in lingua latina del pensiero greco.