Testi

T4PlotinoDichiarazione d’intenti

In questi due passi tratti dalle Enneadi, Plotino rispettivamente enuncia la propria dichiarazione d’intenti circa il metodo che intende seguire nella sua opera e ne fornisce un esempio.

Enneadi,

V 1 [10], 8.10-14;

■ ■ IV 8 [6], 1.23-50

da Plotino, Enneadi, a cura di Mario Casaglia et al., UTET, Torino - 1997

Platone sapeva dunque che dal Bene viene l’intelletto, e dall’intelletto l’anima. D’altra parte questi discorsi non sono nuovi né si fanno soltanto ora, ma furono fatti già dagli antichi, benché non in modo esplicito; quel che ora diciamo è un’interpretazione di quei discorsi, un’interpretazione che, appoggiandosi alla testimonianza degli scritti dello stesso Platone, conferma l’antichità di tali opinioni.

■ ■ Non ci resta che il divino Platone, il quale ha detto molte belle cose sull’anima ed ha spesso anche parlato, nei suoi scritti, dell’arrivo dell’anima quaggiù, così da farci sperare di ottenere da lui un po’ di chiarezza. Che cosa dice dunque questo filosofo? Non sembra che egli dica la stessa cosa ovunque, tanto da poter riconoscere facilmente la sua intenzione. Comunque, disprezzando in ogni occasione tutto ciò che è sensibile e biasimando la comunione dell’anima col corpo, egli afferma che l’anima “è in catene” e sepolta nel corpo, e che “grande è la parola pronunciata nei misteri” che dichiara l’anima “in carcere”. Inoltre la “caverna” per lui, come l’“antro” per Empedocle, indica – mi pare – questo universo, in cui “la liberazione dalle catene” e “la risalita” dalla caverna rappresentano per l’anima, egli dice, il viaggio “verso l’intelligibile”. Nel Fedro poi la perdita delle ali è causa dell’arrivo dell’anima quaggiù; e sempre secondo lui determinati cicli riportano l’anima, salita in alto, nuovamente quaggiù, e i giudizi mandano sulla terra altre anime, così come le sorti, le fortune e le necessità.

E però, se in tutti questi passi egli biasima l’arrivo dell’anima nel corpo, nel Timeo, parlando di questo universo, loda il cosmo e lo chiama “un dio beato”, affermando inoltre che l’anima è stata donata dalla “bontà del Demiurgo” per “infondere intelligenza” in questo universo, poiché esso doveva essere intelligente e senza l’anima ciò non sarebbe stato possibile. Dunque, per questo l’anima dell’universo fu inviata dal dio nell’universo, e perché il tutto fosse perfetto fu inviata l’anima di ognuno di noi; poiché era necessario che le specie comprese nel mondo intelligibile, queste stesse specie di esseri viventi esistessero anche nel mondo sensibile.

T5PlotinoI tre principi metafisici

In questi passi tratti dalle Enneadi Plotino distingue tre principi metafisici o “ipòstasi”, che corrispondono a tre diversi gradi di unità. Questa dottrina è presentata come risultato della sua interpretazione del Parmenide platonico e costituisce uno degli aspetti del pensiero plotiniano che influiranno maggiormente sul platonismo successivo.

Enneadi,

II 9, 1.1-18;

■ ■ V 3-10

da Plotino, Enneadi, a cura di Mario Casaglia et al., UTET, Torino - 1997

Pertanto, poiché ci è apparsa la natura semplice e primaria del Bene – dato che tutto ciò che non è primario non è semplice –, che non ha niente in sé ma è un’unica realtà, e poiché la natura di ciò che chiamiamo Uno è la stessa – e infatti non è dapprima un’altra cosa e poi l’Uno, né questo Uno è dapprima un’altra cosa e poi il Bene –, quando diciamo “il Bene”, dobbiamo ritenere che la natura di cui parliamo sia la stessa e che la diciamo “una” non intendendo predicare nulla di essa, ma per renderla chiara a noi stessi, per quanto è possibile. E lo chiamiamo “Primo” nel senso che è assolutamente semplice e autosufficiente, poiché non è composto da una molteplicità di parti – infatti in questo modo dipenderebbe dalle sue parti –, e diciamo inoltre che non è in altro, poiché tutto ciò che è in altro deriva da altro. Dunque, se non deriva da altro né è in altro, e neppure è un composto, è necessario che non vi sia nulla al di sopra di esso.

Pertanto, non bisogna risalire ad altri princìpi, ma una volta stabilito l’Uno, dobbiamo porre dopo questo l’Intelletto – che è ciò che pensa primariamente – e l’Anima dopo l’Intelletto. Questo infatti è l’ordine naturale; e non dobbiamo porre niente di più e niente di meno nel mondo intelligibile. Poiché se taluni pongono di meno, diranno che sono identici l’Anima e l’Intelletto, o l’Intelletto e il Primo. Ma che siano diversi l’uno dall’altro lo abbiamo già dimostrato in molte occasioni.

■ ■ L’anima pertanto, in quanto deriva dall’Intelletto, è di natura intellettuale; e il suo intelletto consiste in ragionamenti, e la sua perfezione viene di nuovo dall’Intelletto, come da un padre che ha allevato un figlio e non l’ha generato perfetto quanto lui. Essa dunque deriva la propria realtà dall’Intelletto, ed è ragionamento in atto allorché contempla l’Intelletto. Quando infatti fissa lo sguardo verso l’Intelletto, l’anima trae dall’interno, come qualcosa di familiare, gli oggetti del suo pensiero e della sua attività. Queste soltanto dovremmo chiamare attività dell’anima, le attività intellettuali e provenienti dal suo interno; mentre le sue attività inferiori hanno origine altrove, e sono affezioni dell’anima che le possiede. L’Intelletto dunque rende l’anima ancora più divina, in quanto le è padre e in quanto è presente in lei; nulla si interpone tra loro se non la loro differenza, e l’anima sicuramente corrisponde a ciò che viene dopo e che riceve, mentre l’Intelletto corrisponde alla forma. Bella d’altra parte è anche la materia dell’Intelletto, in quanto è simile all’Intelletto ed è semplice. Quale sia poi la natura dell’Intelletto, è evidente dal fatto stesso che l’Intelletto è superiore ad un’anima di tale grandezza.

[…] Avvicinandosi all’Intelletto e divenendo, per così dire, una cosa sola con lui, l’anima chiede chi abbia generato questo Dio: colui che è semplice ed esiste prima di tale molteplicità, la causa dell’esistenza e dell’essere molteplice di questo Dio, l’artefice del numero. Il numero infatti non è primo; prima della diade è l’Uno, e la diade, seconda e derivata dall’Uno, ha l’Uno come suo determinatore, essendo per sé indeterminata; una volta determinata è numero, numero però come essenza. Anche l’anima è un numero. Ciò che è primo infatti non è una massa, né una grandezza: queste realtà solide, che la sensazione crede reali, vengono per ultime. Neppure nei semi ha valore quello che è umido, ma quello che non si vede; e questo è il numero e il principio razionale.

[…] Diciamo dunque che l’Intelletto è immagine dell’Uno, poiché dobbiamo parlare più chiaramente. Innanzi tutto, diciamo che quanto viene ad essere è necessariamente, in qualche modo, quello stesso principio primo, conserva molte sue caratteristiche e gli somiglia, come la luce al sole. Ma l’Uno non è Intelletto. Come dunque l’Uno genera l’Intelletto? Perché volgendosi verso di lui l’Intelletto vede; e quest’atto del vedere è Intelletto.

[…] È stabilito dunque che bisogna credere questo, cioè che l’Uno esiste al di là dell’essere, come volevamo mostrare col nostro discorso – per quel che è possibile mostrare su simili argomenti – e che immediatamente dopo vengono l’essere e l’Intelletto quindi, per terza, la natura dell’Anima. Ma queste tre realtà di cui si è detto, come esistono in natura, così bisogna credere che esistano anche presso di noi: non dico nell’ambito del sensibile – si tratta infatti di realtà separate – ma al di sopra del sensibile, all’esterno, e diciamo “esterno” nello stesso senso in cui diciamo che quelle realtà sono esterne all’intero cielo; tali esse sono anche nell’uomo, come afferma Platone parlando di “uomo interiore”.

T8AnassimandroEnade delle enadi

Nel pensiero di Proclo, il termine “enadi”, al plurale, indica “le realtà intermedie tra l’uno e i molti e trova il suo fondamento nel principio secondo cui ciò che è più vicino all’uno è maggiormente simile ad esso. Le enadi infatti – pur non identificandosi con l’uno – si configurano come una molteplicità di unità e hanno gli stessi caratteri dell’uno […] definito da Proclo ‘enade di tutte le enadi’”.

Teologia platonica, III 7

da Proclo, Teologia platonica, a cura di M. Abbate, Bompiani, Milano - 2005

[…] A questo punto dobbiamo riprendere la mistica dottrina sull’Uno, per celebrare, procedendo “per la nostra via”, a partire dal Principio Primo i secondi e terzi principi del Tutto. Di fatto a tutti quanti gli enti e agli dèi stessi che introducono gli enti preesiste una Causa unica, trascendente e impartecipabile, ineffabile ed indicibile per ogni ragionamento, ma pure inconoscibile ed incoglibile per ogni conoscenza, che da un lato fa apparire da sé tutte le cose, e che dall’altro preesiste in modo ineffabile a tutte le cose; e che per un verso fa rivolgere tutte le cose verso di sé, e che per un altro è il fine supremo di tutte. Ebbene questa Causa, che risulta realmente trascendere in modo separato tutte le altre cause, che fa sussistere in modo unitario da un lato tutte le enadi delle realtà divine, e dall’altro tutti i generi e le processioni degli enti, Socrate nella Repubblica la chiama “il Bene” e attraverso l’analogia con il sole svela la sua meravigliosa ed inconoscibile superiorità rispetto a tutti gli intelligibili; a sua volta Parmenide la chiama Uno […] poi nella Lettera a Dionisio il discorso, procedendo per enigmi, celebra tale Causa come quella “attorno alla quale sono tutte le cose” e come “causa di tutte le cose belle”; infine Socrate nel Filebo onora questa Causa quale principio che fa sussistere la totalità delle cose, proprio per il fatto che è causa di ogni natura divina: infatti tutti gli dèi ottengono di essere dèi ad opera del Primo Dio.

Dunque sia che risulti lecito chiamarla “Fonte della natura divina”, sia “Re di tutte le cose”, sia “Enade di tutte le enadi”, sia “Bontà generatrice della verità”, sia “Realtà che trascende tutte quante queste realtà” e “al di là di tutte le cause”, sia di quelle paterne che di quelle generatrici, questa Causa sia onorata da noi con il silenzio e con l’unificazione che precede il silenzio e che essa faccia risplendere il destino “del mistico compimento” che si confà alle nostre anime; si contemplino poi con l’intelletto le due sorte di principi che procedono a partire da essa e dopo di essa. Cos’altro infatti si deve porre dopo l’unità della natura divina universale se non la diade dei principi?