Tradizioni filosofiche e religiose nella tarda antichità

La cultura si accresce e l’educazione si diffonde in modo organico [...], d’altro lato mancano creazioni veramente originali, si conosce tutta la cultura del passato, la si sviluppa, la si rielabora, la si commenta, ma la volgarizzazione prevale sulla scoperta.

Il periodo che va da Traiano a Costantino (I-IV sec. d.C.) è un’epoca piena di contrasti. Da un lato si vive in un’epoca di civiltà, di ordine politico, di pace, e tutti i popoli dell’impero sono uniti da una lingua e da una cultura comune, i retori viaggiano di città in città a pronunciare discorsi, la medicina compie grandi progressi, si sviluppano le matematiche, la musica, l’astronomia, si inventano macchine pneumatiche, apparati bellici sofisticati, fiorisce l’ottica. Insomma la cultura si accresce e l’educazione si diffonde in modo organico, tanto che è in quest’epoca che si definisce il concetto di enkýklios paidéia, di “educazione globale”, che mira a produrre una figura di uomo completo e versato in tutte le discipline. Ma d’altro lato mancano creazioni veramente originali, si conosce tutta la cultura del passato, la si sviluppa, la si rielabora, la si commenta, ma la volgarizzazione prevale sulla scoperta.

In opposizione alla tradizione razionalistica, al pensiero di Aristotele, degli stoici o degli epicurei, si sostituisce una forma di pensiero religioso che in seguito sarà definito come sincretismo, che unisce (senza preoccupazioni filologiche) diverse forme di tradizione mistica e diverse rivelazioni.

Lo spirito sincretista investe anche le religioni tradizionali. Ormai la religione imperiale è puramente formale, un’espressione di lealismo: ogni popolo conserva i propri dèi che vengono accettati dal pantheon latino, senza badare a contraddizioni, sinonimie o omonimie. Originariamente queste divinità avevano per ciascun popolo un significato profondo, ma nel momento in cui l’impero dissolve le patrie locali esso dissolve anche l’identità dei vari dèi, confondendoli tutti in una sorta di crogiolo mitologico. Vediamo la sorte che tocca a una divinità egiziana come Iside: essa diventa Demetra e Cibele, l’Afrodite siriaca, Giunone, l’Anaitis persiana e la Maia degli Indiani. Assume tutti i nomi e tutte le funzioni. Troppi dèi, indistinguibili l’uno dall’altro, dai poteri confusi.

Ci si può chiedere se, in questa situazione di sincretismo e scetticismo, il verbo cristiano non si presentasse come una soluzione. Ma non dobbiamo pensare al cristianesimo di quest’epoca come a una religione diffusa e nota a tutti: solo più tardi esso diventerà religione di Stato e attirerà anche la classe dirigente. In quest’epoca – che pure conta pensatori cristiani di rilievo come Ireneo, Tertulliano, Clemente, Origene e i Padri cappadoci – il cristianesimo è ancora una religione per gli schiavi, e agli occhi del sapiente appare come una delle tante sette misteriche.

Si manifesta allora, presso le anime deluse dagli dèi, una sorta di religiosità diffusa, si pensa a un’anima universale del mondo, che sussiste negli astri come nelle cose terrestri e di cui la nostra anima individuale è una minima parte. È su questo spirito di religiosità cosmica che si innesta il neoplatonismo.

Ma oltre allo scetticismo e alla pietà diffusa esisteva una terza scelta: il misticismo. Poiché sui massimi problemi i filosofi non potevano offrire nessuna verità sostenuta dalla ragione, non restava che cercare una rivelazione al di là della ragione, che pervenisse per visione diretta e per rivelazione della divinità stessa.

La psicologia dello spirito religioso ci dice che nulla è più facile che trovare un dio quando si è intimamente deciso che si vuole credere. Ma siccome ora si cerca una fede diversa, una fede altra, non si può non essere persuasi che questa fede e questa rivelazione, se esistono, debbano essere ignote e segrete. Questa è la colorazione che assume in età imperiale il misticismo ellenistico: c’è una verità ma è segreta, e il dio supremo è inconoscibile.