Testi

T7TertullianoApologia della fede cristiana

L’apologia della fede cristiana procede da una distinzione, condotta da Tertulliano con accenti fortemente polemici, tra il cristianesimo e le credenze della religione pagana: in questo senso, la contrapposizione tra Dio e Giove, e quindi tra il Dio dei cristiani e gli dèi pagani con le loro metamorfosi (il “caprone” ne è un esempio), rende ancora più inaccettabile, agli occhi di Tertulliano, le restrizioni alla libertà di culto di cui soffrono i cristiani. Se la fede è quindi “adorare chi voglio”, anche l’obbligo di invocare l’imperatore come divinità non è solo moralmente inaccettabile per chi professi la fede cristiana, ma è soprattutto filosoficamente contraddittorio: il potere del sovrano, che è un uomo prima che un imperatore, gli deriva da quel Dio che noi cristiani, scrive Tertulliano, invochiamo proprio perché gli sia favorevole. Nel brano dall’Apologetico, Tertulliano procede a una difesa della fede cristiana sia rispetto alle credenze pagane sia in rapporto al potere politico.

Apologetico 24, 5-6; 30, 1, 3-4; 37, 4-6

da Tertulliano, Apologetico, in Apologia del Cristianesimo, trad. it. di L. Rusca, Rizzoli, Milano - 1984

Che uno adori Dio e un altro Giove: l’uno levi le mani supplici al cielo, l’altro all’altare della dea Fede; l’uno (se voi ritenete faccia ciò) conti le nuvole pregando, l’altro le travi del soffitto; l’uno voti la propria anima al proprio Dio, l’altro a quella di un caprone.

Esaminate, poi, se non sia già un’indicazione di irreligiosità il soffocare la libertà di culto e proibire la scelta della divinità, in modo da non permettermi di adorare chi voglio, ma di obbligarmi ad adorare chi non voglio. Nessuno vuole essere adorato suo malgrado, neppure un uomo. […].

Noi per la salvezza degli imperatori invochiamo il Dio eterno, il Dio vero, il Dio dei viventi, che gli stessi imperatori preferiscono più di tutti gli altri di aver favorevole. Essi sanno chi diede loro il supremo comando; sanno, in quanto uomini, chi ha infuso in loro il soffio vitale; sentono che quello solo è Dio, colui al cui potere appartengono, al quale sono secondi, ma primi dopo di lui […]. L’imperatore è grande: perché è inferiore al Cielo; egli infatti appartiene a Colui cui appartengono il Cielo e tutte le creature. Egli è imperatore, perché è stato uomo prima di essere imperatore: di qui il suo potere, di qui il soffio che lo anima […].

Se noi volessimo agire non dico da vendicatori segreti ma da nemici dichiarati, mancheremmo forse della forza dei reparti e delle schiere? […]. Siamo di ieri, ma abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori, le città, le isole, le fortezze, i municipi, le borgate, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, la reggia, il Senato, il Foro. Abbiamo lasciato a voi solo i templi! […].

T9Ermete TrismegistoLa rivelazione del nóus

Il testo presenta un intreccio sincretistico, comune a tutte le opere del Corpus Hermeticum, fra temi platonici e neoplatonici, stoici, egizi, biblici e gnostici. Ermes è protagonista di una visione o ascesi intellettuale, quasi un sogno nel quale gli compare il nóus, che possiede la sapienza divina di ogni cosa. Egli prepara Ermes alla rivelazione di ciò che il suo intelletto potrà comprendere e custodire; e tale rivelazione procede tramite una visione infinita” e mistica, e non attraverso un procedimento discorsivo. La cosmogonia del Poimándres descrive poi lo scontro tra il lógos luminoso e spirituale (il Figlio di Dio), scaturito dal nóus-Padre, e l’oscurità del principio materiale, che viene infine sopraffatto dalla luce del lógos divino. Il brano è tratto dall’inizio del Poimándres, uno dei diciassette “discorsi” di cui si compone il Corpus.

Corpus Hermeticum

da Ermete Trismegisto, Corpus Hermeticum, a cura di V. Schiavone, BUR, Milano - 2001

Un giorno, quando mi misi a riflettere sugli esseri, cosicché il mio pensiero di lì fu sommamente innalzato mentre i sensi corporei ne furono imbrigliati, come accade a coloro che sprofondano nel sonno per eccesso di cibo o per la spossatezza del corpo, mi parve di vedere un essere enorme, di proporzioni illimitate, che mi chiamò per nome e mi disse: “Che cosa vuoi sentire e vedere e, con il pensiero, apprendere e conoscere?”.

E io dissi: “Ma tu chi sei?”. “Io” disse “sono Poimandres, il Nous autentico e assoluto. So che cosa vuoi e sono con te dovunque.”

Io allora dissi: “Voglio istruirmi sugli esseri e com­prendere la natura, conoscere Dio. Oh quanto desidero ascoltare!”. A sua volta mi rispose: “Custodisci nel tuo intelletto tutto quanto vuoi apprendere e io te lo inse­gnerò”.

Così dicendo, mutò d’aspetto e improvvisamente tutte le cose mi si svelarono in un momento e ne ebbi una visione infinita, giacché tutto era diventato luce se­rena e gioiosa, al punto che, per averla contemplata, me ne innamorai. Poco dopo, sopraggiunta a sua volta, re­gnava un’oscurità discendente, spaventosa e tetra, av­volta tortuosamente a spirale e, da quel che si poteva presumere, simile a un serpente. Quindi l’oscurità si mutò in una sorta di natura umida, indicibilmente turbolenta, che sprigionava fumo come ne esce dal fuoco e produceva una specie di suono, un gemito indescrivibi­le. Da quella scaturì poi un grido di richiamo, ma inar­ticolato, simile – per quanto potevo immaginare – a una voce di fuoco.

Dalla luce un Logos santo coprì la natura e un fuoco puro uscì con slancio dalla natura umida su nelle altezze; era leggero, vivo e attivo nello stesso tempo; co­sì l’aria, che è leggera, si unì al soffio, salendo sino al fuoco dalla terra e dall’acqua, sembrando pendere dal fuoco. La terra e l’acqua rimanevano dov’erano e strettamente unite insieme, sì che la terra non si perce­piva disgiunta dall’acqua; erano tenute in movimento dal Logos spirituale che le sovrastava, per quanto l’o­recchio poteva percepire.

E Poimandres mi disse: “Hai compreso che cosa si­gnifica questa visione?”. E io dissi: “Lo conoscerò”. E quella luce disse: “Sono io, il Nous, il tuo Dio, colui che è prima della natura umida apparsa dall’oscurità. E il Logos luminoso uscito dal Nous è figlio di Dio”. “Di cosa si tratta, dunque?”, dissi. “Così intendi e conosci: ciò che in te è sguardo e ascolto è parola del Signore e il Nous è Dio Padre: essi infatti non sono sepa­rati l’uno dall’altro, giacché il loro essere uno è vita”.