Guardando agli antichi

Guardando agli antichi in una continuità ideale, gli autori altomedievali ci hanno consegnato una concezione della filosofia come studium et amor sapientiae.

Secondo le datazioni che si studiano ancora a scuola, il medioevo va dal 476, anno della caduta dell’Impero romano d’Occidente, al 1492, anno della scoperta dell’America. Questi mille anni sono troppi per poter parlare di un pensiero unitario, né omogeneo è il periodo, perché si va dallo sfacelo delle città romane e dalle invasioni barbariche ai primi grandi stati nazionali, all’invenzione della stampa e della polvere da sparo.

Dovendo definire la riflessione filosofica medievale, o quantomeno trovarvi un elemento di stabilità, non viene di meglio che individuarlo proprio nella negazione di questa stabilità a opera di un pensiero che si rinnova di secolo in secolo. Questi “rinnovamenti” sono talora scarsamente percepibili perché, mentre ogni pensatore moderno ha sempre cercato di presentarsi come innovatore, il filosofo medievale al contrario cercava sempre di presentarsi come custode fedele della tradizione – e pertanto anche quando innovava faceva del proprio meglio per non darlo a vedere.

È indubbio che tutto il pensiero medievale sia dominato dalla presenza del cristianesimo ma, nel millennio che continuiamo per cattiva abitudine a chiamare medioevo, questa filosofia “cristiana” muta di continuo nell’inarrestabile intrecciarsi delle tradizioni. Se proprio si vuole individuare un principio comune, è meglio ricorrere alle immagini e dire che la cultura medievale nasce e si sviluppa come una biblioteca, caratterizzata dalla comune coscienza che, prima di qualsiasi altra ricerca, sia innanzitutto necessario leggere e capire il testo che ci si trova di fronte, anche se questo è l’universo mondo concepito come un libro.

Per rendersi conto ancora meglio della forzatura cui si andrebbe incontro riducendo a unità la ricchezza delle tradizioni filosofiche medievali, basti ricordare che tra Agostino, il quale muore con la caduta dell’impero romano, e Tommaso d’Aquino intercorrono otto secoli: almeno quanti separano Tommaso da noi. Ed è difficile credere che in più di un millennio il modo di vivere e di pensare sia rimasto sempre lo stesso. Quindi bisogna avvicinarsi al pensiero medievale consapevoli del fatto che, se esso ha un carattere comune, questo risiede proprio nella pluralità e nella compresenza delle tradizioni che lo compongono.

A sfidare le periodizzazioni convenzionali, la filosofia medievale inizia quasi un secolo prima che inizi ufficialmente il medioevo. Infatti il IV secolo e l’inizio del V sono dominati dalla figura di uno dei più grandi e influenti pensatori di tutti i secoli: Agostino di Ippona. Con le infinite suggestioni sul senso e l’ordine in cui rientra ogni cosa creata dalla parola divina, Agostino trasferisce al pensiero medievale una mentalità fatta di immagini, analogie, ricordi ed emozioni, metafore che affollano le pagine delle sue opere, e soprattutto delle Confessioni.

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Alto medioevo

Dopo Agostino, la filosofia assume le sembianze di una donna non più giovane ma ancora bella in quella meravigliosa guida per gli oppressi di ogni tempo che è la Consolatio Philosophiae di Boezio (nel XVIII secolo Casanova, rinchiuso ai Piombi a Venezia, legge ancora questo capolavoro). Apparsa per recare conforto a Boezio, Filosofia lo aiuterà a risvegliare e tramandare i valori civili e le tradizioni culturali del mondo antico. Boezio è davvero l’ultimo degli antichi: la filosofia è per lui ancora il desiderio di possesso di una verità inalterabile e superiore alle cose del mondo.

Guardando agli antichi in una continuità ideale, gli autori altomedievali ci hanno consegnato una concezione della filosofia come studium et amor sapientiae. Studiare e amare il sapere significa trasmettere, conservare, salvare e insegnare le pagine degli antichi insieme allo studio della Sacra Pagina. Sarà nelle grandi comunità monastiche benedettine, e anche sotto l’impulso missionario del monachesimo irlandese, che verranno conservati, trascritti e commentati i testi fondamentali della filosofia e della teologia medievale. Prima del Mille, la filosofia “rinasce” alla corte di Carlo Magno: sorge infatti ad opera di Alcuino la Schola Palatina, cenacolo di ricerca e di insegnamento. E proprio nell’ambiente della corte carolingia maturerà la riflessione dell’irlandese Giovanni Scoto Eriugena, autore di quel capolavoro filosofico che è il Periphýseon. Riprendendo poi la tradizione di Plinio e dei bestiari e libri di meraviglie dell’epoca ellenistica, opere enciclopediche come quelle di Isidoro di Siviglia o di Beda sono in realtà ispirate a un preciso criterio d’ordine anche se non sempre corrispondente ai moderni criteri di razionalità.

Per lungo tempo, infine, si è creduto che, nella notte fatale del 31 dicembre 999, l’umanità avesse vegliato nelle chiese attendendo la fine del mondo, salvo erompere in canti di sollievo al mattino seguente. In realtà i testi dell’epoca non recano alcuna traccia dei terrori: gli umili a quell’epoca non sapevano neppure di trovarsi nell’anno Mille, perché la datazione dalla nascita di Cristo non era ancora di uso corrente. Mentre già dai primi anni del XI secolo compare chiara la raffigurazione di una cultura che, tra biblioteche e scuole, rinasce ricoprendosi, nelle parole di Rodolfo il Glabro, cronista dell’epoca, di un “bianco mantello di chiese”.