Nativo di Tagaste, nell’Africa del Nord, vicino al manicheismo prima e allo scetticismo poi, Agostino si converte al cristianesimo, la religione di sua madre, in particolare dopo avere ascoltato a Milano le prediche di sant’Ambrogio. Tornato in Africa, è ordinato vescovo di Ippona; in quegli anni scrive Le Confessioni (397-403 circa), che sono al contempo racconto autobiografico e riflessione filosofica e religiosa. Ragione e fede, dimensioni complementari della conoscenza umana, dialogano continuamente. L’interiorità dell’uomo possiede, in analogia con la Trinità divina, tre aspetti distinti ma inseparabili: memoria, intelletto e volontà. È questo l’argomento centrale del De Trinitate (399-420): la memoria è il luogo delle immagini della conoscenza sensibile, dei fondamenti delle scienze umane e della coscienza di sé. L’intelletto analizza questi dati e la volontà collega intelletto e memoria mostrando le relazioni tra essi. La dottrina trinitaria agostiniana plasmerà i concetti occidentali di Dio e dell’uomo. Nel De civitate Dei Agostino tratteggia i caratteri di due città distinte ma necessariamente destinate a convivere, quella di Dio e quella terrena.
Nella Consolazione della filosofia, Severino Boezio (480 ca.-525), tramite essenziale della cultura antica verso il Medioevo, sostiene che la vera felicità umana consiste nell’aspirare a Dio, sommo bene e regolatore dell’universo, mentre il male è identificato con il puro nulla. La provvidenza, eterna, onnicomprensiva e atemporale, è la regola universale che presiede allo svolgimento di tutti gli eventi. Essa, intesa come pura visione delle cose fuori dal tempo non comporta alcun condizionamento sugli atti umani, che mantengono così una propria libertà.
Il monachesimo occidentale si fonda sulla Regola di san Benedetto, che prescrive una vita basata sullo studio, la meditazione e le pratiche ascetiche per raggiungere l’amore di Dio. Il monaco deve essere umile, capace di discernimento e moderazione, e deve abbandonarsi nelle mani del padre spirituale e di Dio. Nel silenzio della parola umana, la mente, addestrata alla meditazione dalla lettura e ripetizione della Sacra Pagina, diventa il luogo dove si manifesta la verità di Dio.
L’originalità di Giovanni Scoto, attivo nel IX secolo, è quella di unire la cultura carolingia con il lessico della teologia bizantina, da cui deriva un’idea dell’universo come una macchina coerente e ordinata tesa a congiungere il creato con il Creatore in un conclusivo ritorno all’unità. Nel De praedestinatione liber egli confuta l’idea secondo cui la predestinazione divina sarebbe duplice, comportando la salvezza per i buoni e la perdizione per i malvagi. Scoto scrive che Dio è semplice e non può ammettere nella sua sostanza la duplicità della predestinazione, e che Dio ha dato all’uomo la possibilità di indagare i temi teologici, quindi di scegliere con il proprio libero arbitrio se essere tra i buoni o i malvagi. Compie inoltre la traduzione del corpus areopagiticum dello Pseudo-Dionigi, dal quale trae non pochi spunti per il suo Periphýseon, dove presenta una immagine dell’universo come manifestazione ordinata di Dio (teofania).
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