Tra il XI e il XII secolo si profilano figure di pensatori che sono diventati “giganti” per noi contemporanei.
È luogo comune che l’Occidente latino conosca una rifioritura in tutti i settori dopo il Mille; e in effetti tra l’XI e il XIII secolo avvengono trasformazioni radicali nella vita politica e sociale, nell’arte, nell’economia e nella tecnologia. Di questo rifiorire di energie e di idee si rendevano conto anche i contemporanei e il pensiero filosofico sembra partecipare di questa rinascita materiale e intellettuale. Se nei secoli precedenti la conoscenza era stata intesa prevalentemente come commento della saggezza tradizionale, in questi secoli si fa strada un’idea di cultura come innovazione: l’aforisma celeberrimo per cui i contemporanei si consideravano dei nani sulle spalle di giganti, e pertanto forse inferiori agli antichi per capacità ma dotati di prospettive più ampie rispetto a loro, dimostra (comunque lo si voglia interpretare) come fosse diffusa l’idea che la ricerca è sempre in qualche modo innovatrice.
Complice di questa rinascita è senza dubbio il contesto cittadino: grazie allo stimolo della crescita economica e dell’espansione demografica, le città tornano ad acquisire centralità sia a livello sociale sia, di conseguenza, a livello culturale. Dalle scuole monastiche dell’alto medioevo, immerse nel silenzio dei boschi e delle campagne, si passa alle scuole di città, dove l’insegnamento dei magistri si profila come un’autentica professione, al pari di quella di mercanti e artigiani.
In ogni caso, tra il XI e il XII secolo si profilano figure di pensatori che sono diventati “giganti” per noi contemporanei: se pensiamo che la filosofia odierna sta ancora discutendo su quello che la tradizione occidentale ha definito “l’argomento ontologico” di Anselmo d’Aosta, o se pensiamo allo sviluppo che la storia del pensiero ha avuto con la ricerca di Abelardo, se consideriamo il rilievo che assume il problema degli universali nel dibattito filosofico – possiamo valutare la vivacità di pensiero che pervade questi due secoli.
Per sfatare il pregiudizio che vede la riflessione medievale come una pedissequa ripetizione di auctoritates, Aristotele e i Padri della Chiesa su tutte, senza alcuna pretesa di originalità, basti ricordare che nel XII secolo Adelardo di Bath, “amico dei maestri arabi”, dichiarava che per studiare botanica occorreva esaminare le cause naturali dei fenomeni e non appellarsi alla volontà del buon Dio; e che il bretone Abelardo nello stesso secolo aveva scritto un’Etica razionale dove alla definizione di male e peccato si giungeva attraverso un procedimento logico e non sulla base del testo biblico. La scuola di Chartres, rileggendo l’unico dialogo platonico noto all’epoca, il Timeo, fonda una vertiginosa cosmologia; il pensiero mistico tocca vette altissime con i Vittorini, con Bernardo di Chiaravalle e Ildegarda di Bingen; con l’opera di Giovanni di Salisbury si pongono le basi del pensiero politico moderno; Pietro Lombardo scrive un’opera, le Sentenze, che sarà oggetto, nei secoli successivi, di un commento costante e canonico.
Anche la tradizione delle enciclopedie si arricchisce con autori quali Bartolomeo Anglico o Alessandro Neckham, preparando quella che sarà la grande sintesi enciclopedica del XII secolo, i quattro Specula di Vincenzo di Beauvais. Nell’XI secolo fiorisce il pensiero di Ibn Gebirol, con la sua ripresa in chiave teologica della dottrina aristotelica dell’ilemorfismo, cioè il fatto che tutta la realtà sia composta da materia e forma: una dottrina che avrà grande risonanza, in particolare nel dibattito filosofico del XIII secolo. Tra il X e il XII secolo compariranno, nel mondo islamico, pensatori come al- Farabi, Avicenna, Averroè e al-Ghazali e scienziati come Alpetragio e Alhazen; mentre il medico e filosofo Mosé Maimonide rileggerà alla luce del razionalismo di Aristotele la tradizione ebraica.
Nel XII secolo inizia poi la riscoperta occidentale dell’opera di Aristotele, conosciuto nell’alto Medioevo quasi esclusivamente per la cosiddetta logicavetus (e cioè le traduzioni delle Categorie e del De interpretatione di Aristotele, insieme all’Isagoge di Porfirio e ad alcuni altri trattati di Boezio). Cominciano a circolare, tradotti dall’arabo o direttamente dal greco, gli Analitici primi, i Topici, gli Elenchi sofistici e gli Analitici secondi; si traducono anche i testi di filosofia naturale di Aristotele. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, si fa promotore della prima traduzione in latino del Corano, a opera di Ermanno di Carinzia e Roberto di Ketton. Questo immenso lavoro di traduzioni, svolto principalmente nella penisola iberica e alla corte di Palermo, e l’influenza crescente del pensiero arabo ed ebraico faranno sentire i loro effetti in modo decisivo, tra XII e XIII secolo, in quel grande processo di acculturazione filosofica e scientifica che prenderà il nome di translatio studii.