Atlanta
Will guidò in silenzio mentre Faith trascriveva i particolari dei ritagli di giornale di Daryl Nesbitt sul taccuino. Lui sentiva la penna a sfera grattare sulla carta. Faith amava cerchiare le parole importanti. Il rumore gli dava fastidio come carta vetrata sui denti. Voleva disperatamente distrarsi, ma per mantenere la concordia non accendevano mai la radio in macchina. Faith non avrebbe ascoltato Bruce Springsteen, tantomeno Will gli *NSYNC.
Tranne per qualche sporadico uh, lei sembrava apprezzare quel silenzio prolungato. Il cervello di Will continuava a elaborare spunti Faith-centrici per iniziare una conversazione – allora, come vanno le cose con il padre di Emma? Le mamme che stanno a casa e quelle che lavorano sono davvero come i Bloods contro i Crips? Quali sono le parole della Baby Shark Dance? – qualsiasi cosa pur di non cacciarsi nella tana del Bianconiglio, cioè analizzare ogni singola parola che Sara gli aveva detto nell’ultima ora.
Non che ci fosse molto su cui lavorare. Nel corso di tre brevi conversazioni, la sua fidanzata eloquente e spiritosa aveva d’un tratto preso a parlare in un codice che Alan Turing non avrebbe saputo decifrare. Alla prigione, tecnicamente non gli aveva chiuso il telefono in faccia quando dal bagno si era fatto chiamare, ma il discorso era finito così bruscamente che Will si era messo a correre per i corridori come un folle. Era stato fortunato che le guardie non gli avessero sparato nella schiena. Poi però Sara gli aveva in sostanza sparato in faccia.
L’insalata?
McDonald’s?
Che diamine…?
Quand’era ragazzo e la situazione impazziva, immaginava il suo cervello come una pila di vassoi. Era sempre stato un grande fan del cibo servito in scomparti: la pizza nel rettangolo grande, il mais, le crocchette e la salsa di mele nei quadrati. Visualizzare i vassoi gli consentiva di avere delle sezioni ben definite in cui inserire i suoi problemi per poterli affrontare in seguito. Oppure no. Il sistema della pila lo aveva aiutato a superare alcuni momenti angosciosi. Se un genitore affidatario era duro con lui, o se un insegnante lo sgridava perché era stato stupido, metteva quel sentimento negativo in un comparto e, quando erano tutti pieni, posava un altro vassoio sulla pila.
Non sapeva dove collocare le tre conversazioni con Sara. Le ultime due avevano ben poco senso. Di solito si rifiutava di parlare della cena prima dell’ora di pranzo. Non avrebbe mai preso qualcosa da McDonald’s. Restava la prima chiamata, durata meno di un minuto. Sara era sembrata prima confusa, poi arrabbiata, quindi simile a un automa, infine quasi sul punto di piangere.
Will si sfregò la mascella.
Gli stava sfuggendo l’indizio più ovvio.
Sara gli aveva detto di essere in mezzo a un parcheggio. Per questo aveva concluso la telefonata. Non sarebbe crollata davanti agli altri. Al di là di tutti i suoi discorsi sui canali aperti di comunicazione, quando si trattava dei suoi sentimenti tendeva a essere come Michigan J. Frog, la rana canterina dei Looney Tunes. In pubblico il suo umore era sempre stabile. In privato poteva avere dei crolli che poche persone avrebbero creduto possibili. Will contava sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva vista perdere del tutto il controllo. A volte succedeva quand’era infuriata, a volte quand’era ferita, però succedeva sempre a porte chiuse.
Guardò nello specchietto retrovisore. La strada si estendeva dietro di lui. Adesso Sara era a mezzo stato di distanza. Estrasse il telefono dalla tasca. Avrebbe potuto localizzarla con un’app, ma sapeva dov’era, e l’app non gli avrebbe detto che cosa stesse pensando.
Guardò il telefono. La schermata di blocco mostrava una foto di Sara con i cani. Betty era infilata sotto il suo mento. Bob e Billy, i due giganteschi levrieri, stavano cercando di farsi strada verso le sue ginocchia. Sara aveva gli occhiali storti. Stava tentando di fare un cruciverba. Aveva iniziato a ridere e Will aveva scattato la foto. Lo aveva supplicato di cancellarla perché pensava di avere un’aria idiota, perciò Will l’aveva scelta come sfondo, ma niente di tutto ciò contava adesso perché…
Perché non gli aveva mandato un messaggio?
«Buon Dio, Will. Come fai a stare seduto qui?» chiese Faith. «Voglio dire fisicamente, come fa il tuo corpo a stare in questo spazio?»
Lui la guardò. Stava spingendo indietro il sedile, cercando di guadagnare un po’ di spazio per le gambe.
«Il seggiolino di Emma è d’intralcio.»
«Perché non l’hai spostato?» gli chiese.
«È la tua macchina.»
«E tu sei un gigante.» Si mise in ginocchio per fare spazio dietro.
Will si cacciò il telefono in tasca. Si sforzò di continuare la conversazione. «Credevo che fosse difficile montarli. I seggiolini.»
«Non è ingegneria aerospaziale.» Sara spostò indietro il sedile e allungò le gambe in quel meraviglioso spazio. «Sai quanti sabati ho passato fermando i genitori per controllare i seggiolini, quand’ero in uniforme? Non crederesti quanto sia stupida la gente. C’era questa coppia…»
Will cercò di prestare attenzione alla storia, che prese una piega inaspettata con il sequestro di un quantitativo di droga e la richiesta della squadra cinofila. Attese che Faith facesse un respiro, poi indicò con un cenno gli appunti. «È saltato fuori qualcosa?»
«I cellulari mi lasciano perplessa.» Stava riflettendo sull’offerta di scambio di informazioni di Daryl Nesbitt. «Dev’essere un’operazione sofisticata. Più del solito. Prima della rivolta il direttore ha confiscato quattrocento telefoni. Sono una quantità enorme da contrabbandare nel culo. Voglio dire, ho presente un buco di culo. Ho presente un telefono. Non capisco come funzioni. Intendo fisicamente. Guarda il mio cellulare.»
Will guardò l’iPhone X che aveva in mano. Le disse: «Dentro, uno di quelli potrebbe valere tremila dollari».
«Potrei probabilmente portarne due alla volta.»
Il suo cellulare emise un ding. Un messaggio. Poi un altro messaggio e un altro ancora.
Suppose che dietro i ding ci fosse Amanda. Inviava una frase per messaggio perché le convenzioni di Ginevra non si applicavano alla sua squadra.
Faith riassunse. «Amanda dice che Nesbitt ha gravi problemi medici con la sua gamba, ed è questo che sta alla base della scadenza di una settimana. Immagino che, se sta mandando messaggi, siano all’impresa di pompe funebri.»
Will guardò l’orologio. Amanda aveva fatto progressi. Suppose che la casa di Lena fosse ad altri dieci minuti di strada. Erano già passati al Dipartimento di polizia di Macon sperando di sorprenderla. Ed erano stati loro a restare sorpresi. Lena era a casa in maternità. Mancava un mese alla data prevista per il parto.
«Dovrei condurre io il colloquio con Lena» disse Faith.
Will non aveva pensato a una strategia, tuttavia rispose: «Mi pare logico. È incinta. Tu hai due figli».
«Non ho intenzione di legare con quel dingo sfruttando il discorso della maternità.» Faith si accigliò. «Detesto le donne incinte. Soprattutto quelle che aspettano il primo figlio. Sono così compiaciute, come se fosse successo qualcosa di magico e d’un tratto stessero generando la vita. Sai come ho generato magicamente Jeremy? Lasciandomi convincere da un idiota arrapato di quindici anni che non sarei potuta rimanere incinta se mi avesse messo dentro solo la punta.»
Will studiò il GPS sul cruscotto.
«Dovrei condurre io il colloquio con Lena perché ho conosciuto quella ipocrita e bugiarda della tua ex moglie. E ho letto i tuoi appunti le ultime due volte in cui hai indagato su Lena.»
«Soltanto la prima volta si è trattato di un’indagine. Ed è stata scagionata da qualsiasi accusa di comportamento illecito. Almeno da qualsiasi accusa di comportamento illecito dimostrabile.» Will si rese conto che non stava esattamente difendendo se stesso. «La seconda volta è stata una combinazione. Lena era stata sorpresa, guarda caso, con alcuni tizi che…»
«Era stata sorpresa guarda caso.» Faith gli rivolse un’occhiata penetrante. «Non pesti una cacca di cane a meno che non stia seguendo un cane.»
Will aveva una certa familiarità con le aree cani. «Tutto quello che devi fare è guardare per terra.»
Faith gemette. «Tu non vedi il lato negativo di Lena. Tu non vedi il lato negativo di chi è come lei.»
Will dovette ammettere tra sé che forse, magari, aveva ragione. Aveva sempre avuto un debole per le donne arrabbiate, problematiche. Spesso le persone a cui facevano più male erano loro stesse.
Dovette anche ammettere che non erano venuti a Macon per una seduta terapeutica. Stavano cercando di ottenere informazioni da Lena, e lui più di tutti sapeva quanto sarebbe stato difficile.
«È mutevole» disse a Faith.
«Come un demone?»
«Come una persona di cui ti fidi, finché non ti fidi più» spiegò. «Le parli, e quello che dice ha senso, poi però all’improvviso, senza che tu capisca perché o quando sia successo, si arrabbia, si offende, diventa paranoica e ti ritrovi davanti a una persona arrabbiata, offesa, paranoica.»
«Carino.»
«L’aspetto complicato è che a volte sa essere una poliziotta molto in gamba.» Colse la sbuffata incredula di Faith. «Ha l’istinto giusto. Sa parlare alla gente. Non imbroglia sempre. Solo in qualche occasione.»
«Essere un po’ corrotta è come essere un po’ incinta» commentò Faith. «Quelli su cui voglio davvero mettere le mani sono i suoi taccuini. Era uno dei suoi primi casi importanti. Amanda ha ragione: quando cominci, annoti ogni peto al vento. È stato allora che Lena potrebbe aver commesso i suoi errori. Possiamo inchiodarla con le sue stesse parole.»
Will sapeva che aveva ragione. Nei primi anni di lavoro il tuo taccuino a spirale era come un diario. Il tuo capo non lo controllava. Non era un rapporto ufficiale, redatto sotto giuramento. Non era un dato di fatto. Era il luogo dove annotavi i pensieri vaganti e i particolari assillanti che volevi approfondire. E poi, un avvocato della difesa chiedeva di esaminarlo e un giudice acconsentiva, e ti ritrovavi a sudare sette camicie sul banco dei testimoni, per cercare di spiegare che DQ era il posto dove andavi a pranzo, non le iniziali di un sospettato alternativo che poteva essere il vero assassino.
Will osservò: «Lena è scaltra. Appena le chiederemo i taccuini, capirà che stiamo tentando di incastrarla. E ha avuto parecchio tempo per pensarci. Una valanga di persone ci hanno visto alla stazione. Avrà di certo ricevuto una chiamata con cui l’hanno avvertita che il GBI ha chiesto il suo indirizzo».
«I poliziotti sono dei maledetti pettegoli» si lamentò Faith. «Ma non abbiamo rivelato a nessuno su quale caso stiamo indagando. Lena probabilmente è in agitazione per più casi. Alla fine la sua fortuna si esaurirà, e io sarò là con le manette.»
Will si stupì della sua veemenza. «Perché sei così accanita contro di lei?»
«Ha trentadue anni. Ne ha alle spalle dodici di servizio. Non gode più del beneficio del dubbio. Inoltre» aggiunse Faith, sollevando un dito come per sottolineare che quello era l’aspetto importante, «sono amica di Sara. La nemica della mia amica è la mia nemesi.»
«Non penso che sia quello che ha detto Churchill.»
«Lui stava solo combattendo i nazisti. Qui stiamo parlando di Lena Adams.»
Will lasciò perdere il paragone. E non ammise che la polemica di Faith stesse rinforzando la tesi precedente. Più lei attaccava Lena, più lui voleva giustificarla. La pecca fatale di Will era che capiva perché facesse le cose orribili che faceva. Nessuno degli errori di Lena era stato commesso con un’intenzione criminosa. Credeva onestamente di fare la cosa giusta.
Il che gli riportò alla mente una delle lezioni più importanti che Amanda gli aveva dato: il poliziotto più pericoloso in qualsiasi indagine è quello che pensa sempre di avere ragione.
«Credo che dovresti dire a Sara di Daryl Nesbitt» affermò Faith.
La testa di Will si girò come la mitragliatrice su una torretta.
Faith scrollò le spalle. «Hai ragione. Non dovremmo tenerglielo nascosto. Si merita di saperlo.»
Will valutò se confessare o no. «Sembravi molto sicura di te, al carcere. In effetti, hai detto di essere d’accordo con Amanda.»
«Sì, be’, dico un sacco di cose per essere una che non riesce a stare sveglia dopo le nove e mezzo.» Il suo telefono emise un altro ding. Poi un altro e un altro ancora. Aprì il messaggio. «Amanda. Ancora niente sulla corrispondenza di Nesbitt, quindi non abbiamo avuto fortuna con l’amico che gli ha mandato gli articoli di giornale. Sara ha appena iniziato l’esame preliminare su Alexandra McAllister. Amanda vuole che la teniamo aggiornata su Lena. Caspita, Mandy, grazie per avercelo ricordato. Non mi era mai passato per la mente di riferirti quello che succede.»
Will ascoltò il picchiettio, mentre Faith scriveva quella che immaginava fosse una risposta più ponderata.
«Davvero, dovresti dirlo a Sara. Dobbiamo comunque fermarci a far benzina. Aspetterò nel negozio per lasciarti un po’ di privacy» affermò.
Lui fissò la strada davanti a sé. Sapeva che Faith non avrebbe mollato. «Gliel’ho già detto.»
Lei si premette lentamente l’angolo del telefono sulla fronte. Strizzò gli occhi. «Mi stai prendendo in giro?»
«L’ho chiamata dal bagno prima che partissimo.»
«Grazie mille, Will. Sarà incazzata con me. Questo…» Sospirò. «Okay, sì, capisco cosa stai pensando. Si sarebbe incazzata con te, e tu sei il suo fidanzato, quindi dovevi dirglielo, cosa che hai fatto, e io sono sua amica, quindi è colpa mia se non gliel’ho detto, ma, santo cielo, questa storia della relazione sana è difficile. Non so come tu faccia.»
Will non era sicuro di stare facendo qualcosa.
«Adesso le mando le mie scuse.» Faith parlava scrivendo sul telefono. «Mi aiuterebbe non poco se le dicessi che ti ho suggerito di parlarle prima di venire a sapere che lo avevi già fatto.»
«È la verità.»
«Non ci sta bene che Nick abbia malmenato Nesbitt, giusto?»
Will cercò di gestire il brusco cambio d’argomento. Si era quasi scordato dello scatto di Nick. Will era un grande fautore delle minacce, ma mettere le mani su un sospettato significava superare il limite. «No, non ci sta bene.»
«È uno schifo, perché ci tocca sostenerlo in modo che faccia lo stesso con noi se mai ne avessimo bisogno… Non faremmo mai una cosa simile, ma cavolo, è l’ennesima situazione di merda in una giornata già di merda.»
Lasciò cadere il telefono nel portabevande.
«Mi serve qualcosa di più degli articoli di giornale su quelle donne morte. Usavano app di incontri? Qual era la loro presenza sui social media? Lavoravano in ufficio o a casa? Mi servono i file dei casi, i rapporti dei coroner, le fotografie, le dichiarazioni dei testimoni, i disegni delle scene del crimine, le analisi tossicologiche. Tutto quello che ho sono otto donne ritrovate nei boschi, e Amanda ha ragione a questo proposito. Guarda dal finestrino. Come fa qualcuno a morire in Georgia e a non essere in un bosco?»
Will aveva guardato dal finestrino per quasi un’ora. Non ne era convinto quanto lei. Qualcuno vedeva uno schema in quei corpi. Qualcuno aveva dedicato gli ultimi otto anni della sua vita a rintracciarli. Non lo facevi se non ne eri ossessionato. Will aveva il sentore che trovare la radice di quell’ossessione significasse trovare la risposta a molte domande.
«Se contattiamo tutte le giurisdizioni, qualcuno parlerà. Lo hai detto tu stessa. I poliziotti sono dei maledetti pettegoli. Vogliamo che si sappia che stiamo cercando un possibile serial killer?»
Il ding del telefono le evitò di rispondere. Fu seguito da un altro ding. Gemette leggendo il testo. «Amanda vuole che usi la tua relazione con Sara per instaurare un contatto con Lena.»
Will aggrottò la fronte. Sara la incolpava dell’omicidio di Jeffrey. L’unico modo in cui lei avrebbe instaurato un contatto con Lena era con una mazza da baseball.
«È un pedofilo, giusto?» Faith era tornata a Daryl Nesbitt. «Voglio dire, una parte di me pensa: sì, Nick, fa’ pure e pestalo a morte. Poi l’altra parte pensa: ha sempre dei diritti. Abbiamo giurato sulla Costituzione, non su qualsiasi cosa ci sembri giusta. E Nesbitt resta un essere umano. E probabilmente è stato vittima di abusi da bambino, ecco.»
Will lasciò che l’ultima frase gli girasse in un comparto del cervello.
«Non che ci sia una causalità tra gli abusi subiti nell’infanzia e il fatto di diventare pedofili» affermò Sara, ricordandosi probabilmente con chi stava parlando. «Voglio dire, tanto per cominciare il mondo sarebbe pieno di pedofili se gli abusi infantili fossero la causa basilare. In secondo luogo, qualsiasi pedofilo che parli con un ricercatore è probabilmente destinato al carcere, e la maggior parte della popolazione carceraria ha avuto un’infanzia orrenda. È una specie di presupposto per l’incarcerazione, a meno che tu non sia uno psicopatico.» Fece di nuovo retromarcia. «Ma non possiamo tralasciare la stupidità. Ho arrestato un sacco di idioti di buona famiglia.»
Will fissò con desiderio la radio.
Il telefono di Faith emise una raffica di ding.
«Amanda dice che l’esame preliminare del coroner di Alexandra McAllister indica una morte accidentale. Finora Sara non ha trovato niente che lo smentisca. Sta ancora cercando ma sembra una cosa pro forma.» Faith sollevò lo sguardo dal telefono. «Quando mai Sara ha fatto qualcosa pro forma?»
A Will vennero in mente un paio di occasioni ma non le avrebbe citate. «Se McAllister non è stata assassinata, allora forse gli articoli di giornale sono casuali e questa è una perdita di tempo.»
«Abbiamo sempre le accuse di Nesbitt contro Lena, che sappiamo entrambi essere probabilmente vere, perché è una poliziotta corrotta e fa cose sporche per incastrare la gente.»
Will fissò la strada. Sentiva il risucchio di un altro gorgo di Lena, il che conferiva una dimensione più concreta alla metafora di Faith sulla cacca di cane.
Il telefono emise un altro ding. «Amanda e io siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Dice: “Niente regole con Lena”.»
Un altro ding. «Tutto maiuscolo. “VOGLIO I SUOI TACCUINI.” Sì, ecco.»
Un altro ding. «”Cerca di trovare qualcosa di utile per far leva su Nesbitt.”»
Un altro ding. «”Chiedi a Will se ha una strategia.”»
Faith gemette di nuovo. «Okay, Boomer, basta così.» Mise il telefono in modalità silenziosa e lo inserì nel portabevande. «Questa storia ti sta uccidendo?»
Il GPS annunciò l’uscita. Will rallentò spostandosi nella corsia più lontana.
Faith lasciò passare qualche secondo prima di chiedere: «Non hai intenzione di rispondere alla mia domanda?».
Will aveva la mascella contratta, e anche lo stomaco. E pure tutti gli altri organi del corpo. Se ci fosse stato un modo di parlare con Faith e provocarle poi un’amnesia, avrebbe vuotato il sacco. «Devi circoscriverla.»
La sua richiesta non gli fece guadagnare tanto tempo quanto aveva sperato. Faith andò dritta al punto dolente. «Parlo di Jeffrey. Stavo solo pensando come mi sentirei se la donna che amo dovesse d’un tratto affrontare il fantasma del precedente marito, e se questa cosa mi ucciderebbe. Nel senso letterale del termine.»
Lui scrollò una spalla. Il GPS gli disse di prendere la prossima svolta. Andò verso la rampa. In cima vide un bivio.
«Immagino che ci sia una ragione se non hai chiesto a Sara di sposarti, giusto?» osservò Faith.
Will attese che il GPS gli dicesse cosa fare.
«Regola numero uno del Club degli sbirri: non fare una domanda se non ti piacerà la risposta.» Faith tolse l’audio del GPS. Sapeva che per Will non era facile distinguere la destra dalla sinistra. Indicò la strada. «Da quella parte.»
Lui andò in quella direzione.
«Per quel che vale, Sara ti ama davvero» affermò Faith. «Ti chiama amore mio e non suona neppure sdolcinato. Si illumina quando ti vede. Anche stamattina. È in mezzo a una scena del crimine veramente violenta, ti vede e sorride come Rose la prima volta che vede Jack sul Titanic.»
Will si accigliò.
«Okay. Jack muore, ma capisci quello che intendo. Da questa parte.» Indicò la svolta seguente. «Che ne dici di Duke e… come si chiamava lei… nelle Pagine della nostra vita? Accidenti, lascia perdere. Muoiono tutti e due alla fine.» Indicò la svolta successiva. «Ghost. No. Patrick Swayze viene assassinato. Colpa delle stelle. Bright Star. Love story… Be’, devi ammetterlo, lei avrebbe dovuto morire di pessima recitazione. Oh, La storia fantastica. Westley è più che morto. Gira qui.»
«Agli ordini.»
Faith indicò una cassetta della posta in lontananza. «Sul mio lato della via. 349.»
Will parcheggiò di fronte alla casa del vicino. Lena e suo marito vivevano in una villetta a un piano, una casetta bianca e beige che sembrava uguale a tutte le altre del quartiere. Nel giardino c’era un albero affusolato. Una cassetta della posta con i fiori alla base. Il vialetto era ripido. Jared Long, il marito di Lena, aveva parcheggiato la motocicletta sul marciapiede. Stava avvolgendo il tubo della gomma per annaffiare. Aveva chiaramente appena finito di lavarla. Era una delle moto più belle che Will avesse mai visto.
A Faith scappò un fiuuuuu.
«È la Chief Vintage.» Will non aveva idea che le piacessero le moto. «Sei marce, motore Power Plus 105ci, V-twin raffreddato ad aria, sistema di iniezione sequenziale a ciclo chiuso…»
«Taci.»
Lui vide dove si era sbagliato. Faith non stava mangiando con gli occhi la moto. Stava mangiando con gli occhi Jared, che indossava solo un paio di pantaloncini da mare e aveva il corpo di un venticinquenne che passava tre ore al giorno in palestra.
Era abbastanza sicuro della propria virilità da ammettere che quel ragazzo era incredibilmente bello. L’insicurezza gli veniva dal fatto di sapere che fosse la copia carbone di un padre biologico incredibilmente bello, che guarda caso si chiamava Jeffrey Tolliver. Il marito di Sara era morto senza nemmeno sapere che Jared fosse suo figlio, il che era una tragedia in stile Jack e Rose, se la guardavi nell’ottica di un Westley più che morto.
«Maledetta Lena.» Faith abbassò il parasole per guardarsi allo specchio. «Come ha fatto quella stronza ad avere una vita alla J.Lo, con una personalità da Lizzie Borden?»
Will scese dall’auto. Controllò di nuovo il telefono mentre si avvicinava a Jared. Ancora nessun messaggio da Sara. Nessuna faccina sorridente. Nessun cuore.
Lo spense.
Aveva un lavoro da fare. Non poteva fermarsi ogni cinque minuti a controllare il telefono come uno scolaretto malato d’amore.
«Ehi amico, quanto tempo.» Jared lo salutò con un ampio sorriso. «Che ci fai qui?»
«Sto cercando Lena.» Will raddrizzò le spalle. Almeno era più alto. «C’è?»
«È in casa. Che bello vederti.» Jared gli strinse energicamente la mano, poi gli diede una pacca sulla spalla, perché a quanto pareva tutti gli uomini delle cittadine del Sud si davano pacche a vicenda come i gorilla. «Come sta zia Sara in questi giorni?»
«Lei…» La sua bocca fece qualcosa di folle. «Ci sposiamo.»
«Wow, fantastico, amico. Dille che sono…» Sussultò. Faith era stata risucchiata nella Mini. Si era scordata di sganciare la cintura di sicurezza. «Quando?»
«Presto.» Will prese a sudare. Pregò che Faith non lo avesse sentito. «Non diciamolo in giro, okay?»
«Certo.» Jared sorrise a Faith mentre si avvicinava lentamente. «Come va? Sono Jared, il marito di Lena.»
«Mitchell. Faith. Chiamami pure Faith.» A suo credito, non era svenuta. «Piacere di conoscerti. Jared.»
«Piacere mio.» Jared incrociò le braccia. I muscoli sporsero nella direzione sbagliata. Quel ragazzo stava ovviamente tralasciando i push-down per i tricipiti. «Siete molto lontani da Atlanta. Avete un caso da queste parti?»
Will guardò Faith. Il suo cervello da poliziotta prese in parte il sopravvento. «Lena non ha ricevuto una chiamata dalla stazione?»
«Le ho spento il telefono.» Indicò la casa con un cenno. La Toyota RAV4 di Lena era parcheggiata con il muso rivolto all’esterno davanti al garage. «Dorme da due ore, poverina. Ha un intero essere umano che le cresce nella pancia. È straordinario.»
«Straordinario» ripeté Faith. Gli ultimi brandelli dell’incantesimo da bell’uomo svanirono. «Dobbiamo parlarle. Ti spiace svegliarla?»
Si incamminò sul vialetto ripido senza attendere risposta.
Jared rivolse a Will un’occhiata interrogativa.
Lui si sforzò di sorridere. Gli sembrò di avere le labbra tese come la plastica attorno a una confezione da sei di Coca-Cola. Prese il secchio vuoto vicino alla motocicletta. Indicò il vialetto per esortare Jared ad andare.
Jared si gettò il tubo sulla spalla seguendo Faith. «Riguarda un caso di Lena?» domandò a Will.
Will si rese conto che Jared non aveva detto di aver spento il proprio telefono. Era un agente di pattuglia motorizzato della squadra di Lena. Quando lei non aveva risposto al cellulare, dovevano aver chiamato lui.
«Ci serve l’opinione di Lena» spiegò Will. «Sono sicuro che vorrà aiutarci.»
«Non innervositela, okay? In questo momento è fragile, con il bambino e tutto il resto. La dirittura d’arrivo è molto dura per lei.»
Will udì Faith emettere un sospiro lungo, disgustato.
Disse a Jared: «Ti prometto che non dirò niente che possa agitarla».
«Grazie, amico.» Con quell’omissione si guadagnò un’altra pacca virile sulla spalla.
Vide Faith toccare il pannello posteriore della RAV4 di Lena mentre passava. Poi guardò Jared fare lo stesso. Nessuno dei due probabilmente si era reso conto del gesto. La memoria muscolare derivava dal servizio di pattuglia. Erano addestrati a lasciare il loro DNA e le impronte sulla parte posteriore dei veicoli che fermavano, nel caso che l’uno o le altre fossero stati necessari per stabilire una catena di custodia.
Lena lavorava in una stazione di polizia. C’erano decine di impronte sul pannello posteriore.
«Ci sono molti gradini» esclamò Faith salendo verso il portico anteriore. Dal tono lieto Will immaginò che stesse pensando a Lena con un passeggino su quella pendenza. Faith pensava molto ai passeggini.
Will lasciò che Jared lo superasse. Ricordava quei gradini, un anno prima. Will stava lavorando sotto copertura. Non sapeva di chi fosse la casa in cui stava entrando. Poi aveva udito un colpo d’arma da fuoco. E aveva trovato Lena con le mani sporche di sangue.
Jared tenne aperta la porta. Prese il secchio da Will e lo gettò accanto al tubo di gomma, nell’ingresso. «Dirò a Lee che siete qui. Se non vi vedo prima che ve ne andiate, buona giornata. Devo farmi una doccia prima di andare al lavoro.»
«Grazie» disse Faith.
Will guardò il tubo, che aveva trascinato dei pezzetti d’erba in casa. Si stava già srotolando, perché Jared non aveva avvolto tre volte le estremità e avvitato i raccordi insieme, così come avrebbe dovuto fare un uomo per riporlo.
«Psst» disse Faith. Le sue sopracciglia erano così sollevate da toccare i capelli.
Will dedusse che stesse studiando ogni centimetro della casa di Lena. La zona giorno era un open space, il salotto davanti, la sala da pranzo e la cucina dietro, l’imboccatura del corridoio in mezzo. Sembrava tutto molto ordinato tranne la cucina, rimasta ferma nella stessa fase di restauro in cui Will l’aveva già vista. Gli armadietti dovevano ancora essere dipinti. Gli scatoloni di laminato per il pavimento aspettavano ancora d’essere aperti. Almeno avevano installato un lavandino vero al posto del secchio sotto il rubinetto.
Si concesse meschinamente un pizzico di soddisfazione. Aveva desunto che Jeffrey Tolliver, come il figlio, fosse quel genere d’uomo che non finiva rapidamente un lavoro in casa. Lui, viceversa, non andava a dormire finché l’ultimo buco di chiodo non era stato stuccato e non era stata data la terza mano di vernice.
«Psst.» Faith insistette. Indicò con un cenno una fotografia in cui sembrava che Lena stesse baciando un’altra donna sulla bocca.
«Sibyl, sua sorella gemella. È morta qualche anno fa» spiegò Will.
Faith sembrò vagamente delusa.
«Will?» Lena stava avanzando in corridoio. Si appoggiava alle pareti per stare in equilibrio. Era molto minuta, ma la gravidanza le aveva arrotondato il viso e tolto un po’ di lucentezza ai capelli castano scuro. Jared aveva ragione a proposito della dirittura d’arrivo. La sua pelle solitamente bruna aveva il colore di un calzino tubolare. Gli occhi erano rossi. Pareva sfinita. In lei l’unica cosa che sembrava fiorire era l’infelicità. Il suo pancione ricordò a Will una palla da softball infilata in una cannuccia.
«Wow!» esclamò Faith. «Quanto sei grossa! Partorirai da un giorno all’altro.»
Per qualche motivo Lena parve inorridire. «Il mese prossimo.»
«Oh.» Faith fece una pausa a effetto. «Hai la pancia così bassa. Due gemelli?»
«No, ehm, è soltanto uno.» Lanciò a Will un’occhiata terrorizzata che lui non capì bene. Si stava passando le mani sul ventre come se stesse calmando un cane spaventato. «Chi sei?» chiese a Faith.
«Sono Faith Mitchell, la collega di Will.» Le strinse vigorosamente la mano. «Scusa se sono stata così diretta. Ho due figli anch’io. Adoravo essere incinta.»
Okay, quindi la stava prendendo in giro.
«Hai detto ancora un mese?» La voce di Faith era piena di finto entusiasmo. «Sono momenti così difficili. Poco prima che tutta la tua vita cambi per sempre. Il mio primogenito è nato due settimane dopo il termine. Credevo di esplodere. Dicono che ti scordi il dolore ma, mio Dio, era come stare seduta su una sega da banco. Spero che a Jared piacciano le coccole.»
Faith scoppiò a ridere. Lena anche. Solo una delle due era sincera.
«Non è il caso di sederci?» suggerì Will.
Lena apparve sollevata mentre si avvicinava al divano.
Faith attese fino all’ultimo prima di chiedere: «Posso avere un bicchier d’acqua?».
Lena si ritrovò in difficoltà, incerta tra sedersi e alzarsi.
«Vado io.» Will si augurò che dalla sua espressione Faith capisse di piantarla.
Invece no.
Anche quando lui entrò in cucina, continuò a blaterare.
Will trovò facilmente un bicchiere negli armadietti, perché gli sportelli erano impilati sopra il frigorifero. Aprì il rubinetto. Il pavimento era stato spazzato ma qualcosa grattò sotto le suole. Malta. Il massetto mostrava i segni là dove le piastrelle erano state tolte. Era logico rendere il pavimento uniforme, soprattutto con un bambino in arrivo. Will non si era reso conto dell’importanza di avere una superficie lunga, dritta, finché non aveva giocato con la palla da tennis di Emma, cosa che la piccola poteva fare per cinque ore di fila.
«E Beyoncé» stava dicendo Faith. «Le ci sono voluti sei mesi buoni per buttare giù i chili della gravidanza. Penseresti che una con tutti i suoi mezzi li possa perdere più in fretta.»
Will le lanciò un cupo sguardo di avvertimento, raggiungendo il divano. Porse a Lena il bicchiere d’acqua. Sembrava che lei ne avesse più bisogno.
«Avevamo alcune domande da farti su uno dei tuoi casi nella contea di Grant» le disse.
«La contea di Grant?» Parve sorpresa del dettaglio. «Credevo che riguardasse il sequestro di droga del mese scorso.»
Will vide Faith prendere mentalmente nota di dare un’occhiata al caso. Si sistemò la cravatta sedendosi di fronte a Lena. «No, questo risale a otto anni fa. Un certo…»
«Daryl Nesbitt.»
Will non si stupì che avesse capito. Non era un caso di cui potevi scordarti facilmente.
«Adesso cos’ha da dire quel pedofilo bugiardo?» chiese.
Faith si mise teatralmente a cercare il taccuino in borsa.
Lena si rivolse a Will. «Nesbitt sta cercando di far leva su di voi perché riapriate il caso?»
«Perché dovrebbe?» replicò lui.
«Perché è questo che fa. Sfrutta ogni occasione. Manipola la gente. Quel tizio è un piantagrane.» Faticò a posare il bicchiere sul tavolino. C’era il pancione di mezzo.
Lo fece Will per lei.
«Grazie.» Si appoggiò allo schienale facendo un lungo sospiro. Si posò le mani sul ventre. «Nesbitt ha avuto due appelli. Gli è andata male in entrambi. Poi ha fatto causa per rivalersi sulla proprietà di Jeffrey. Neanche tre mesi dopo che era morto. Ho lavorato con il procuratore distrettuale dietro le quinte per comprarlo. A quel tempo Sara era a pezzi. Lo eravamo tutti.»
«Comprarlo.» Faith aveva taccuino e penna pronti. Finalmente entrava in gioco. «Cos’è successo?»
«Nesbitt aveva i giorni contati. La menomazione influenzava la sua scala PULHESDWIT. Poi c’è stato il tentato omicidio della guardia e si è beccato tutti quattro.»
Stava parlando del sistema di classificazione che la Georgia Diagnostic and Classification State Prison usava per assegnare i detenuti alle strutture. Con un punteggio perlopiù di uno finivi in un istituto di minima sicurezza. Con un risultato perlopiù di quattro in un istituto di ristretta o massima sicurezza. La prima parte del PULHESDWIT valutava le condizioni fisiche: forza nella parte superiore e in quella inferiore del corpo, vista e udito. La seconda parte riguardava gli aspetti fondamentali: condanne, storia psichiatrica, invalidità, abilità lavorativa, menomazioni, trasportabilità. Nesbitt era partito con un deficit per via dell’amputazione, ma c’era un certo margine di manovra nel sistema. Un tentato omicidio era come pescare la carta più alta.
Lena disse: «Non mi stupisce che sia riuscito a coinvolgere il GBI. Nesbitt sa come manipolare il sistema. La causa civile era un modo per farsi una vacanza nel carcere della contea. Lo Stato ci ha pagato perché piazzassimo il suo patetico culo da qualche parte. Non volevano pagare il trasporto ogni volta che c’erano un’udienza o una mozione».
«Allora come hai fatto a comprare Nesbitt?» domandò Faith.
«Frank Wallace, il capo ad interim dopo Jeffrey, è andato dritto dal procuratore distrettuale. Non volevamo Nesbitt nel nostro carcere. Oltre a essere un piantagrane, toccava un nervo scoperto. Quel bastardo non intendeva stare zitto né sul mio conto né su quello di Jeffrey. Sembrava che volesse farsi togliere di mezzo da qualcuno.»
Will attese che arrivasse alla parte in cui era intervenuta.
«Il procuratore distrettuale è riuscito a coinvolgere l’ufficio del governatore. Quando viene presa di mira la moglie di un poliziotto morto, la gente risponde alle tue telefonate. Il giorno in cui doveva iniziare il processo, abbiamo convinto Nesbitt a rinunciare alla causa, e in cambio lo avremmo ricollocato in un istituto di media sicurezza. Il governatore ha approvato. Il GDOC ha approvato. Il giudice ha archiviato il caso.»
Will si sfregò la mascella. Tendenzialmente la riteneva una bugiarda, però stava fornendo particolari concreti, dimostrabili. Sara non aveva accennato a niente di tutto ciò nella loro telefonata. Ma in fondo erano tante informazioni da riferire in meno di un minuto.
Lena sembrò cogliere i pensieri di Will. «Sara non sapeva quello che stava succedendo dietro le quinte. Come ho detto, era a pezzi. Nesbitt avrebbe perso di sicuro la causa. Non aveva prove, niente testimoni. Mi sono stupita che fosse riuscito a trovare un avvocato, comunque riceveva soldi da qualche parte. Se fosse stato per me, lo avrei combattuto fino alla tomba, ma Sara non riusciva quasi a tenere su la testa. Io e Frank ne avevamo parlato. Jeffrey avrebbe voluto che ci prendessimo cura di lei. Perciò lo abbiamo fatto.»
Will sentì formicolargli la nuca. Sapeva come funzionava Lena. Si stava dimostrando ragionevole, quasi compassionevole, ma la storia gli insegnava che quei sentimenti non sarebbero durati.
Faith disse: «A volte i detenuti fanno cause civili per ottenere informazioni sui loro casi. Dà loro la possibilità di far deporre dei testimoni. Possono richiedere i dossier dei casi e i rapporti interni. E ottenere i tuoi taccuini».
«Sì» osservò Lena. «È così.»
Il suo tono era lievemente cambiato. Will percepì che aveva rizzato le antenne.
Anche Faith se n’era accorta. Di conseguenza modificò l’approccio. «Perché Nesbitt ha chiesto un carcere di media sicurezza anziché di minima?»
«Non avrebbe mai ottenuto un carcere di minima sicurezza. Non con il tentato omicidio di una guardia nella sua cartella.» Lena scrollò le spalle. «Come ho detto, quel tizio conosce il sistema. E fa piani a lungo termine. È troppo sveglio per stare dov’è. Siamo fortunati ad averlo preso per la pedopornografia.»
«A proposito…» affermò Faith.
«Se hai intenzione di chiedermi del computer, mi attengo al mio rapporto iniziale, alle mie deposizioni e alla mia testimonianza giurata al processo. Stavo cercando armi nei cassetti della scrivania. Ho urtato per caso il laptop. Ho visto diverse foto di bambini nudi sullo schermo. Puoi leggere le trascrizioni della corte d’appello. I giudici sono stati unanimi. Hanno detto che era indubbio che dicessi la verità.»
Seduto di fronte a lei, Will non riusciva a capire se stesse mentendo o no, però ebbe la sensazione che fosse totalmente convinta d’essere onesta. Il che era uno dei tanti dilemmi dell’essere Lena Adams. Era sempre vittima di se stessa.
«Non siamo qui per contestarti il modo in cui hai trovato il materiale pornografico» mentì Faith. «Vogliamo dare un’occhiata all’indagine originaria. Hai i file o magari i taccuini del caso?»
«No.»
«No?» Le fece eco Faith, perché di solito i poliziotti non si sbarazzavano dei propri taccuini. Quelli di Will erano conservati in soffitta. Faith teneva i suoi a casa di sua madre, insieme ai taccuini che lei aveva conservato fin dagli anni Settanta, quand’era entrata nel Dipartimento di polizia di Atlanta. Non potevi mai sapere se un caso ti si fosse rivoltato contro.
«Ho stracciato tutti i taccuini prima di trasferirmi a Macon» dichiarò Lena.
«Stracciato?» Faith e Will pronunciarono la stessa parola con lo stesso sgomento.
«Sì, volevo buttarmi tutto alle spalle.» Ammiccò a Will. «Per un nuovo inizio.»
Lui capiva perché avesse voluto un nuovo inizio. Potevi bruciare solo un certo numero di ponti senza scottarti i piedi. La polizia della contea di Grant era marcia quando Will aveva condotto l’indagine. A Lena era andata bene che Macon non ne avesse sentito il fetore.
Ma stracciare i taccuini non era un nuovo inizio. Era distruggere prove potenzialmente incriminanti.
«Quando li hai distrutti con precisione?» domandò Faith.
«Con precisione?» Lena scosse la testa. «Non ricordo.»
«È stato prima o dopo la causa civile?» chiese Faith.
«Poteva essere prima? O forse no?» Lena continuò a scuotere la testa, ma dal suo sorriso astuto si capiva che quel gioco la divertiva. «Sai com’è, Faith. Il cervello da gravidanza. In questo momento è annebbiato.»
Faith annuì ma non in segno di assenso. Lena l’aveva sgamata. Non c’era più bisogno di fingere.
«Nesbitt deve averti chiesto di produrre i taccuini nella causa civile.»
«Sono sicura che lo abbia fatto» rispose. «Tutti i miei rapporti ufficiali erano nel sistema centrale alla stazione.»
«Ma i tuoi taccuini contenevano la documentazione di base.»
«Certo.»
«I taccuini sono anche il posto in cui potevi annotare tutti i dettagli insoliti, ma non sufficientemente fondati da poter essere citati nel rapporto.»
«Esatto.»
«Però non ci sono più.»
«Stracciati.» Non cercava più di nascondere il sorriso. La vera Lena sembrava felice d’essere uscita finalmente allo scoperto. «C’è altro che posso fare per il GBI?»
Faith socchiuse gli occhi. Non avrebbe mollato tanto facilmente. «Rebecca Caterino. Te la ricordi?»
«Vagamente.» Lena soffocò uno sbadiglio. «Scusatemi, sono davvero stanca.»
«Non ci vorrà ancora molto.» Faith cercò un particolare nel taccuino. «Stavate indagando su Nesbitt per le aggressioni a Beckey Caterino e a…»
«Leslie Truong» affermò lei, fornendo il nome della seconda vittima della contea di Grant. «Era una cara ragazza. Ricordo che lo erano tutte e due. Tutte e due tra i migliori studenti, benvolute ma non esattamente popolari. Mia sorella è stata l’insegnante di entrambe, il che non era insolito. Sibyl era l’ultima ruota del carro nel dipartimento a quel tempo. Chimica organica era un corso obbligatorio. Penso che Leslie avesse un ragazzo fisso. Beckey aveva rotto con una fidanzata più o meno un anno prima, ma secondo le amiche non frequentava né stava con nessuna.»
Will seguì la traiettoria visiva di Lena. Stava fissando la fotografia di sua sorella. Gli occhi di Sibyl erano chiusi mentre baciava la fidanzata. Sembrava molto felice. Le gemelle avevano gli stessi tratti latini. Erano identiche, fino a condividere lo stesso neo sul lato del naso. Per Lena doveva essere stato come perdere una parte di sé quand’era morta.
«È ridicolo, perché la cosa che ricordo meglio di tutto quel periodo è che ero arrabbiata con lei. Ero molto preoccupata che la gente scoprisse che era lesbica. E adesso penso: A chi cavolo importa?. Voglio dire, onestamente. L’unica cosa che desidero per questa bambina che porto in grembo è che sia sana e felice.»
Faith le lasciò un attimo prima di chiedere: «Hai detto che eri preoccupata per Sibyl. Aveva una relazione con Beckey?».
«Oh, diamine, no. Sibyl era assolutamente fedele a Nan» ammise. «Il fatto che fosse lesbica era un mio complesso. Sai com’è quando sei un poliziotto. E una donna. Ero ancora nuova, avevo un anno meno dell’età che ha Jared adesso. Frank e Matt erano i due ispettori. Erano della vecchia scuola. Molto conservatori, a meno che non si trattasse di tradire la moglie, trascurare i figli o bere sul lavoro. Temevo che non mi avrebbero accettata se avessero saputo di Sibyl. Ero così giovane. Avevo un gran bisogno d’essere accettata dagli altri. Adesso sono più, tipo, fareste meglio a preoccuparvi che non vi accetti io.»
Will non sottolineò che stesse chiudendo il cerchio. Adesso che non stavano più parlando dei taccuini, la mutevole Lena era cambiata di nuovo.
Lena disse: «Una cosa che ricordo è che Jeffrey aveva parlato molto con la madre di Truong. Era bravo con le persone. Compassionevole. Paziente. Da lei ha ottenuto un sacco di informazioni secondarie che non sono state inserite nei rapporti ufficiali».
Will attese che Faith facesse qualche commento arguto sul fatto che quelle informazioni fossero contenute nei taccuini stracciati, invece ebbe il buon senso di lasciarla parlare.
«Jeffrey era bravo a indurre le persone a confidarsi con lui.» Lena scosse la testa come per liberarsi dalla tristezza. «A ogni modo, più o meno una settimana prima che Caterino fosse aggredita, Leslie aveva chiamato sua madre tutta agitata. Pensava che le compagne le rubassero le cose. Il che è possibile, ma rubare è quello che succede quando si vive con dei coinquilini, quindi chissà se significava qualcosa.»
«C’era qualcosa di particolare che Leslie credeva le fosse stato rubato? O le mancavano più cose?» chiese Faith.
«Non lo so.»
«E Rebecca Caterino? A lei mancava qualcosa?»
«Forse? Forse no?» Lena minimizzò. «Scusa. Otto anni sono tanti.»
«Certo.» Faith lanciò un’occhiata penetrante a Will, come a dire: proprio per questo si conservano i taccuini.
Lena aveva colto lo sguardo. «Considerato quello che avevamo per le mani, una compagna di stanza manolesta non era una priorità.»
«Ricordi quando il caso Caterino si è trasformato in un’indagine?» domandò Faith.
«Non in modo specifico» ammise. Un’altra svolta che sarebbe stata descritta nel suo taccuino. «Jeffrey ha continuato a dire fin dall’inizio che non gli tornava. Era il miglior poliziotto con cui abbia mai lavorato. Quando diceva che qualcosa non tornava, stavi ad ascoltarlo.»
«Tu la vedi nello stesso modo per quanto riguarda Caterino?»
«No. A essere onesta, a quel tempo ero troppo stupida da tanti punti di vista. Non voglio accusare Frank, però diceva sempre stronzate come “il profiling razziale esiste per un motivo”. Voglio dire, me lo ha detto in faccia. A me.» Si indicò il viso bruno. «Un altro classico che di solito buttava lì era: “Non ho mai indagato un caso di stupro in cui la donna sia stata stuprata veramente”.»
Faith era sgomenta.
«Già» esclamò Lena. «Dai, statisticamente com’è possibile? Lavori in una città universitaria con quasi duemila studentesse nuove ogni anno, e stai dicendo che, nei tuoi trent’anni di lavoro, nessuna donna è mai stata stuprata?»
Faith la riportò in carreggiata. «Allora, che cosa ti ha fatto credere che Jeffrey avesse ragione sul conto di Caterino?»
«Leslie Truong» rispose. «È stato uno dei casi più raccapriccianti che abbia mai visto. E sono responsabile della divisione crimini sessuali in una città sei volte più grande e piena di uomini spaventosamente malvagi.»
«Credevo fossi stata assegnata all’antidroga.»
«Ho chiesto il trasferimento.» Lena si sfregò il ventre. «Ritenevo di poter dare di più alle vittime delle aggressioni.»
«Certo» disse Faith. «La gravidanza ti fa davvero entrare in contatto con il tuo lato femminile.»
«Forse.» Lena colse il sarcasmo, ma ci passò sopra. «Sono stata violentata sette anni fa. E adesso avrò una figlia. Non posso rendere il mondo più semplice per la mia bambina, ma posso cercare di renderlo più sicuro.»
Will vide la gola di Faith muoversi. Era uno dei talenti di Lena: aveva sferrato un colpo senza nemmeno sollevare il pugno.
«Comunque, non siete venuti fin qui per conoscere la mia filosofia di vita. Volete sapere se credo che Nesbitt sia responsabile di quant’è successo a Rebecca Caterino e Leslie Truong? Assolutamente sì. Posso dimostrarlo? Per niente. Perché penso che sia stato lui? Perché le aggressioni sono cessate quando è finito in carcere. È davvero tutto ciò che posso dirvi al riguardo.»
Faith era ammutolita, perciò subentrò Will, chiedendo: «E se ci fossero altri casi? Altre vittime?».
Lena lo guardò di traverso. «Non nella contea di Grant. Nesbitt aveva una firma. Non l’abbiamo più rivista. E prima che me lo domandiate, Jeffrey mi aveva chiesto di riesaminare personalmente i casi dei cinque anni precedenti, non solo a Grant ma anche nelle contee circostanti, per essere sicuri che non ci fosse sfuggita un’altra vittima.»
Will dovette ammettere con riluttanza che era una buona pratica. Disse a Lena: «Nesbitt ci ha indirizzato verso altri otto casi, che si sono verificati da quando è stato incarcerato. Ritiene che siano collegati».
«Sul serio?» Lei scoppiò a ridere. «Okay. E avete intenzione di credere a un pedofilo che ha cercato di uccidere una guardia carceraria perché…?»
«Nesbitt è stato condannato per il materiale pedopornografico. I casi Caterino e Truong sono ancora irrisolti» precisò Faith.
«Questa storia non riguarda un caso. Riguarda Nesbitt che vuole di nuovo distruggere la reputazione di Jeffrey.» Lena studiò Will. Aveva un sopracciglio inarcato. Lui colse la sua improvvisa paranoia mezzo secondo prima che facesse la domanda. «È stata Sara a convincerti?»
Will si schiarì la voce. Non aveva intenzione di darle alcuna informazione su Sara. «Non c’è nessun legame.»
«Accidenti se c’è.»
«Lena…»
«Ora capisco. Prima sono stata un po’ lenta ma…» La sua risata suonò acuta. D’un tratto era di nuovo cambiata. «Cristo, quando si dice di pianificare a lungo termine. Sara pensa di aver trovato un punto debole, giusto? Siete tutti e due qui per incastrarmi con Nesbitt. Per questo volete i miei taccuini. Pensate che sia stata abbastanza stupida da scrivere qualcosa che mi metta nei guai.»
Faith riprese le redini. «Siamo qui perché stiamo indagando su una serie di…»
«Mitchell» disse Lena, come se fossero appena state presentate. «Da quanto lavorate in coppia?»
Faith non rispose.
«Uccideresti per lui, giusto?» Lena annuì tra sé conoscendo già la risposta. «Sara pensa di capire come sia, ma non è una poliziotta. I delinquenti, i capi, i teppisti, i criminali, i civili e persino le vittime, tutto quello che fanno, ogni respiro, è per farti perdere la calma. E poi qualcuno ti ferisce, o peggio ferisce il tuo collega, e tu non riesci a darti pace. Vai ovunque ti porti la vendetta.»
«Il trucco è innanzitutto non lasciare che qualcuno ti ferisca» osservò Faith.
«Sai che non è così facile» replicò lei. «Sto cercando di darvi un consiglio, perché ho visto Jeffrey scattare ogni volta che Sara schioccava le dita, ed è finita che lo hanno ammazzato.»
Will si sfregò la mascella. Vedeva nubi rosse incombere negli angoli del suo campo visivo.
«Non sono sicura che ti ricordi bene, a questo proposito» affermò Faith.
Lena la ignorò. «Dai, amico. Mostra un po’ di palle. Sara sta usando Nesbitt per tormentarti» disse a Will.
«Bene.» Faith mise il taccuino in borsa. «È ora di andare.»
Lei sorrise maliziosa. «Devo riconoscerlo a Sara. Sembra una brava ragazza puritana, ma quella brutta stronza ha una passera come una Venere acchiappamosche.»
Will strinse i pugni. «Tieni a freno quella lingua del cazzo.»
«Tu guardati le spalle» replicò lei. «Hai la vista annebbiata dallo sperma come Jeffrey.»
Lui scattò in piedi tanto velocemente che la sedia grattò per terra.
«Okay.» Anche Faith si stava alzando. «Se qualcuno tirerà un pugno in faccia alla donna incinta, quel qualcuno sarò io.»
«Dovete andarvene, tutti e due.» Jared apparve alle spalle di Lena. Doveva aver ascoltato dal corridoio. Indossava l’uniforme. Aveva la mano sul calcio della pistola. «Ora.»
Will scostò la giacca. Anche lui aveva una pistola.
«Gesù! Okay, ce ne andiamo.» Faith tenne la mano sul braccio di Will, spingendolo verso la porta. «Forza.»
Will si lasciò condurre, ma solo perché sapeva che l’alternativa sarebbe finita con uno spargimento di sangue.
Jared lo punzecchiò. «Fa’ le mie congratulazioni a zia Sara.»
A Will prudevano le mani dalla voglia di togliergli quel ghigno dalla faccia a forza di pugni. Faith dovette spingerlo di nuovo per farlo uscire dalla porta e scendere i gradini. Lui si voltò a guardare in cagnesco Jared. Avrebbe potuto massacrarlo di botte con una mano sola.
«Mitchell.» Lena era sulla soglia, dietro suo marito. «Vi farò sapere se mi verrà in mente qualcosa di importante. Peccato che non abbia i taccuini per rinfrescarmi la memoria.»
«Oddio» gemette Faith. «Sta’ zitta.»
Will sentì la sua mano premergli la schiena. Si lasciò portare lungo il vialetto e sul marciapiede. Faith aprì la portiera del passeggero. Attese che salisse. Si mise al volante. Inserì la marcia. Le gomme della Mini scavarono una discreta porzione del giardino anteriore di Lena e Jared mentre faceva un’inversione a U.
«Maledetta figlia di puttana!» Faith strangolò il volante con entrambe le mani. «Quanto odio quella stronza. Dico sul serio. L’odio mi sta fisicamente risucchiando l’ossigeno dal sangue.»
Will si guardò i pugni. In quel momento era così furioso che non riusciva quasi a vedere. Quel ragazzino del cazzo. E Lena. Soprattutto Lena. Will non aveva mai colpito una donna. Anche quando la sua ex moglie lo perseguitava, non aveva mai perso del tutto le staffe. Adesso, aveva bisogno di ogni grammo di autocontrollo per non tornare indietro e togliere il nome di Sara dalla sporca bocca di Lena a forza di pugni.
«Okay, fa’ un respiro profondo. Buttiamocela alle spalle» disse Faith.
Will non se la sarebbe buttata alle spalle. Non finché non avesse picchiato qualcuno.
«Un altro respiro profondo» cercò di persuaderlo Faith.
Will sentì le unghie conficcarsi nei palmi. Non era uno dei suoi sospettati che aveva bisogno di una maledetta pausa.
«Okay.» Dal tono si capiva che Faith era pronta ad andare avanti. «Concentriamoci su quello che abbiamo raggiunto. Siamo riusciti a ottenere un paio di dettagli nuovi prima che la situazione impazzisse.»
Will digrignò i denti. Non gli fregava un accidente dei dettagli.
«Primo, chi ha dato a Nesbitt i soldi per assumere un avvocato? Nessuno fa causa alla moglie di un poliziotto accettando una parcella condizionata.»
Will era stato un idiota a pensare che Lena avesse qualche lato positivo. Non c’era niente di buono in lei. Lo aveva abbindolato, e lui non se n’era neppure accorto.
«Secondo» affermò Faith, ignorando la sua rabbia, «la madre di Truong ha riferito che la figlia credeva che le compagne le rubassero qualcosa. Potrebbe trattarsi dell’aggressore in cerca di trofei.»
Will strinse di più i pugni. Voleva rompere qualcosa. Fare del male a qualcosa. Uccidere qualcosa.
«Potremmo scoprire se le donne degli articoli di Nesbitt erano…»
«Gesù, Faith!» esplose. «Che cazzo di senso ha tutto questo? Amanda ce lo ha detto prima che entrassimo. La morte di McAllister è stata accidentale. Delle coinquiline ladre e un avvocato che insegue una parcella non sono indizi. E hai ragione a proposito dei boschi. I boschi sono dappertutto.»
Faith increspò le labbra.
«Cosa, Faith? Che cazzo di senso ha parlare di tutto questo? Di una sola di queste cose?»
Lei non disse nulla.
Will si accorse che l’allarme della cintura di sicurezza suonava da quando avevano lasciato la casa di Lena. La tirò bruscamente. La cinghia si impigliò. La tirò con più forza. «È una puttanata, ecco cos’è. Tutto questo è una maledetta puttanata, perché lo ha detto Sara. Lo ha detto Amanda, lo hai detto tu. Lena mente, Nesbitt mente e…»
Will non riuscì ad allacciarsi la cintura. Quel suono era come un chiodo conficcato nell’orecchio.
«Non abbiamo niente, giusto? Lena non ci ha dato un accidente, proprio come avevi detto tu. Mi rispondi? Eh?»
«Sì.»
«Sì» ripeté lui. «Questo significa che abbiamo perso l’intero giorno del cazzo. Ad ascoltare un pedofilo del cazzo. Ad ascoltare una stronza odiosa e bugiarda. E a morire, perché, sì, Faith, ecco la risposta alla tua domanda. Sì, maledizione, la storia di Jeffrey mi sta decisamente uccidendo. Ed è tutta colpa mia, perché Amanda aveva ragione a proposito di aspettare a dirlo a Sara. Io invece non l’ho ascoltata, quindi è tutto il giorno che Sara si tormenta per via di Jeffrey, che non mi scrive un bel niente, e adesso mi tocca tornare indietro e dirle in faccia che Lena crede che lei abbia tramato per incastrarla per falsa testimonianza, e tu non provare a tirarmi fuori qualche balla per costringermi a mentirle su quant’è successo, perché non ho intenzione di mentire. Cazzo!»
Rinunciò ad allacciarsi la cintura. La fibbia metallica sbatté contro il finestrino mentre si riavvolgeva. Will tirò un pugno al cruscotto. Poi ne tirò altri.
«Cazzo! Cazzo! Cazzo!»
Tirò l’ultimo, stupefatto dalla sua stessa violenza. Il pugno restò a mezz’aria come un martello. Stava sudando e sbuffava come un motore a vapore. L’auto aveva sussultato a ogni colpo. Che diavolo stava facendo? Non perdeva mai le staffe così. Era quello che impediva agli altri di perderle.
Faith rallentò. Si fermò sul ciglio. Mise il cambio nella posizione di parcheggio. Gli lasciò un istante perché tornasse in sé.
Non impiegò molto. La vergogna era il sentimento prevalente. Non riusciva neppure a guardarla.
«Penso che sia la frase più lunga che tu mi abbia mai detto da quando ti conosco» affermò Faith.
Will si pulì la bocca con il dorso della mano. Sentì il sapore del sangue. Si era tagliato una nocca. «Mi dispiace.»
«Va tutto bene, davvero. Questa è solo l’ultima auto nuova che guiderò finché mia figlia non si diplomerà al college.»
Will passò le dita sul cruscotto per assicurarsi di non averlo spaccato.
«Non riesco a credere che non si sia gonfiato l’airbag» disse lei.
«Vero?»
Faith trovò un Kleenex in borsa. «Nuova regola: non parleremo mai più con Lena Adams.»
Will si tamponò il sangue sulla mano. Come avrebbe fatto a dire tutto a Sara? Non sapeva neanche a che punto l’interrogatorio avesse preso una piega così sbagliata. Lena li aveva raggirati fin dall’inizio? Era come lo scorpione sulle loro schiene mentre attraversavano il fiume.
Il telefono di Faith prese a squillare.
«È Amanda» gli disse.
Lui si sfregò la faccia. Amanda significava Sara. Che cosa avrebbe dovuto dirle, che voleva Burger King al posto di McDonald’s? Che desiderava un’insalata? Che le ci sarebbero voluti due secondi a mandargli un messaggio, dicendogli che tra loro era tutto a posto, e che forse così non avrebbe sfogato la sua collera sull’auto di Faith?
Il telefono continuò a suonare.
«Rispondi» le disse.
Faith premette il pulsante. «Siamo tutti e due qui. Sei in viva voce.»
«Dove eravate?» domandò Amanda. «Negli ultimi ventotto minuti ho provato a chiamare e a mandare messaggi.»
Faith borbottò un’imprecazione mentre notava le decine di notifiche sul telefono. «Scusa, stavamo parlando con Lena e…»
«Sara ha scoperto qualcosa durante l’esame. Alexandra McAllister è stata sicuramente stuprata e uccisa. Sara ha confermato che ci sono legami con i casi della contea di Grant.»
Will fissò Faith.
Si era premuta tutte e due le mani sulla bocca per l’incredulità.
All’improvviso tutto ciò che Lena aveva detto divenne importante. Che cosa gli era sfuggito? Qualcuno aveva pagato l’avvocato per la causa contro la proprietà di Jeffrey. Le cose di Leslie Truong erano sparite, ma in fondo c’erano sempre cose che sparivano. Forse anche a Caterino mancava qualcosa. Forse no. Non potevano tornare indietro e chiedere chiarimenti a Lena. Aveva stracciato i taccuini. Will per poco non aveva puntato la pistola contro suo marito. Faith aveva reclamato il diritto di tirarle un pugno in faccia. Era escluso che potessero trovarsi di nuovo con Lena Adams nella stessa stanza.
«C’è dell’altro» aggiunse Amanda. «Ho sentito il GDOC per quanto riguarda la persona che ha mandato quegli articoli a Daryl Nesbitt. È lo stesso benefattore che ha finanziato la causa civile contro Tolliver.»
«Okay.» Faith aveva finalmente ritrovato la voce. «Chi è?»
«Gerald Caterino» rispose Amanda. «Il padre di Rebecca.»