Contea di Grant – Giovedì
Jeffrey accese le luci mentre percorreva la stazione. Come al solito era il primo a entrare nell’edificio. Accese il condizionatore. La caffettiera. Aprì le veneziane del suo ufficio. Si sedette alla scrivania.
L’orologio del computer gli disse che erano le cinque e trentatré del mattino. Sara aveva lavorato tutta la notte. Ormai doveva aver concluso l’autopsia di Leslie Truong. Brock l’aveva assistita. Frank aveva fatto da terzo testimone. Normalmente si sarebbe assunto lui quel compito, ma aveva passato le ultime dodici ore a parlare con i potenziali testimoni, a risentire le compagne di Beckey Caterino allo studentato, a interrogare quelle di Leslie Truong e il personale del college, a passare al setaccio il bosco in cerca di prove e a offrire a Bonita Truong, la madre di Leslie, una spalla su cui piangere.
Niente di tutto ciò aveva fatto la minima maledetta differenza. Era esattamente nella stessa posizione del mattino precedente, salvo che ora aveva per le mani una studentessa universitaria morta.
Jeffrey srotolò la carta topografica del bosco sul tavolo. La visione dall’alto gli permetteva di valutare meglio il terreno. Le depressioni e le valli. Le colline ondulate. I laghi e i torrenti. La carta era ancora umida, dato che l’aveva aperta sul cofano dell’auto. Aveva usato un righello e diversi pennarelli colorati per tracciare linee nella foresta. Il rosso indicava il possibile percorso seguito da Beckey Caterino mentre correva. L’azzurro il sentiero più probabilmente imboccato da Leslie Truong per tornare al campus, dopo aver trovato il corpo di Beckey. La pioggia aveva cancellato entrambe le scene, ma lui aveva ordinato lo stesso una perlustrazione accurata di quei tre chilometri.
Leslie era stata ritrovata in una zona di fitta vegetazione, a una trentina di metri dal sentiero principale che si allontanava serpeggiando dal campus per raggiungere la riva nord del lago. Jeffrey non sapeva se fosse arrivata là autonomamente o se l’avesse trasportata il suo assassino. Tutto quello che sapeva con certezza era che la metà inferiore del suo corpo doveva essere paralizzata. Con molta probabilità era stata drogata. Non voleva considerare i pensieri che le erano passati per la mente, mentre stava distesa in quello che sarebbe diventato il suo luogo di riposo definitivo. Jeffrey non pregava ma, se lo avesse fatto, avrebbe pregato Dio che la ragazza fosse stata completamente priva di coscienza.
Una X blu indicava il punto in cui era distesa. Le curve di livello si avvicinavano indicando una valle impossibile da notare quando Jeffrey si era trovato fisicamente sul posto. Le telecamere di sicurezza del campus avevano confermato che l’assassino non si era avvicinato dal lato del college. L’IHOP era a circa due chilometri e mezzo dalla scena. Il punto di accesso più vicino al corpo di Leslie era la pista tagliafuoco menzionata da Frank.
Jeffrey aveva usato una linea verde punteggiata per indicare il possibile tragitto del killer dal corpo di Leslie alla stradina sterrata. Le curve di livello indicavano un rilievo piuttosto basso, dove il criminale aveva probabilmente parcheggiato l’auto per nasconderla. Non c’erano segni di pneumatici. Niente impronte di scarpe. La pioggia aveva trasformato il manto stradale in uno strato viscido e fangoso.
Un furgone scuro. Era l’unica cosa che Tommi Humphrey ricordava della sera della sua brutale aggressione. Jeffrey aveva fatto una ricerca sommaria sui furgoni scuri esistenti nelle tre contee. Memminger e Bedford, come anche ampie zone della contea di Grant, erano piene di imbianchini, elettricisti, idraulici, carpentieri e di gente che semplicemente amava guidare un furgone. La conta ammontava a 1.893, e continuava a salire quando aveva concluso la ricerca al computer.
Tornò alla mappa. Seguì la pista tagliafuoco fino al punto d’inizio su Stehlik Way. A Stehlik si accedeva da Nager Road a nord e da Richter Street a sud. Gli Heartsdale Memory Gardens, con le loro colline ondulate, erano all’incirca a tre chilometri da Richter, in fondo a Mercer Avenue.
Dall’altra parte della strada stavano costruendo un deposito di stoccaggio.
Prese il BlackBerry. Inviò un’email a Lena Adams, ordinandole di passare dal cantiere mentre veniva alla stazione. Era possibile che un operaio avesse visto un veicolo sospetto, magari un furgone scuro. Era anche possibile che un operaio della ditta edile fosse alla guida di un mezzo dall’aria sospetta. Mandò un’altra email, dicendole di farsi dare tutti i nomi degli operai e dei visitatori che si erano recati al cantiere negli ultimi tre mesi.
Era credibile che un forestiero avesse scoperto la pista tagliafuoco, però più Jeffrey pensava alle donne aggredite nel bosco, più gli sembrava probabile che il criminale fosse qualcuno che avesse familiarità con il territorio: uno studente o un professore che avesse abitato nel campus o nei paraggi, un vigile del fuoco, un soccorritore, qualcuno del Dipartimento dei trasporti, un commesso viaggiatore, un assistente, un custode, un fattorino o una persona che avesse vissuto lì tutta la vita.
Contando gli studenti, la popolazione della contea raggiungeva i ventiquattromila abitanti. Jeffrey avrebbe bussato a tutte le porte della zona se fosse stato necessario. Il problema era che la contea non era un’isola. Il killer poteva tranquillamente essere di una città contigua. Se avesse aggiunto Memminger e Bedford, la popolazione avrebbe superato i centomila abitanti. Se avesse aggiunto la parte meridionale dello stato, la cifra sarebbe stata nell’ordine di milioni.
Cercò sul tavolo il dossier che Lena gli aveva lasciato. Come da suo ordine, aveva fatto una sintesi di tutti gli stupri denunciati nelle tre contee. C’erano in tutto tre dozzine di casi irrisolti, il che gli parve un numero troppo preciso. In nessuno di essi il modus operandi combaciava con i casi delle donne della contea di Grant. Nessuna delle vittime aveva affinità con Tommi Humphrey, Rebecca Caterino o Leslie Truong.
Jeffrey chiuse il raccoglitore.
All’accademia di polizia e a tutti i seminari a cui aveva partecipato in seguito, gli era stato insegnato che gli stupratori si attenevano a un tipo. Erano attratti da una fascia particolare d’età o da un aspetto specifico: bionde giovani con la coda di cavallo, nonne che si facevano la piega con le mollette, cheerleader, prostitute, madri single. Gli aggressori si sceglievano le vittime e lo facevano in base alle loro fantasie malate.
Quella teoria non pareva valere per i casi della contea di Grant. Tommi aveva i capelli corti e biondi al momento della violenza. Beckey li aveva lunghi e scuri. Leslie li portava neri, alla paggetto. Di una si diceva che fosse vergine, un’altra era lesbica e la terza, secondo sua madre, aveva esperienza. Tutte le vittime erano studentesse della Grant Tech, ma erano diverse per età, costituzione, colore della pelle e persino per la forma del volto.
Jeffrey si sfregò la faccia. Non poteva continuare a girare in tondo. Due donne erano state aggredite in due giorni. Ora ne iniziava un altro. Che cosa sarebbe successo?
Controllò di nuovo l’ora, prima di prendere il telefono fisso e comporre un numero familiare.
«’Giorno» rispose Nick Shelton. «Come posso rendermi utile?»
«Sono Jeffrey. Quanto impiegherebbe l’FBI a elaborare un profilo?»
«Quanto ti manca per la pensione?»
«Merda» brontolò Jeffrey. «Così tanto?»
«Potrei ridurre i tempi a un anno, se trovassi la persona giusta per lavorare al caso.»
Jeffrey non voleva pensare a cosa sarebbe accaduto se il caso si fosse trascinato così a lungo. Aveva visto cos’era capitato a Leslie Truong. Aveva sentito i particolari da Tommi Humphrey. «Nick, a essere onesti, se questa faccenda va avanti fino alla fine del mese, coinvolgerò lo Stato. Quel tizio continua a imparare. Farà del male ad altre donne.»
«Davvero vuoi gareggiare a chi piscia più lontano con il mio capo?» Nick sogghignò. «Senza offesa, amico, ma lei ha un uccello più grosso dei nostri due messi insieme.»
Jeffrey si sfregò gli occhi. Quando lasciava che la sua mente ci tornasse, vedeva ancora il collo spezzato del martello di legno. «Il mio ego non ha alcun problema. Devo fermare quel tizio.»
«Intesi» fece Nick. «Fammi avere i particolari. Posso comunque mandare avanti la cosa. Che finiamo per occuparcene noi oppure no, se ci sarà un processo sarà bene avere un federale sul banco, che mostri il suo stile J. Edgar alla giuria.»
«Li avrai entro la fine della giornata.» Jeffrey posò il ricevitore sulla staffa. Tenne la mano sul telefono. Si chiese se chiamare Brock per un rapporto, ma sapeva che Sara gli avrebbe telefonato subito se durante l’autopsia fosse emerso qualcosa di utile.
Arrotolò la carta topografica e la mise da parte. Scorse le email. Il sindaco voleva parlargli. Il decano voleva incontrarlo. Il procuratore distrettuale voleva fare il punto. Il giornale studentesco della Grant Tech voleva un’intervista scritta. Il Grant Observer un incontro a quattr’occhi. Jeffrey inviò risposte anodine a tutti, soffocando il desiderio di dir loro che quello che volevano e quello di cui avevano in realtà bisogno erano due cose diverse.
Almeno si era scrollato di dosso sua madre. Dopo l’ennesima telefonata persa, aveva finalmente chiamato Mae per augurarle buon compleanno. Quando lei aveva protestato, lui l’aveva manipolata. Aveva creato il finto ricordo di una conversazione che non avevano mai avuto, «ricordandole» che mesi prima le aveva promesso di portarla fuori a cena il fine settimana dopo il suo compleanno. Come ogni ubriacona, aveva finto di ricordare. E lui, come ogni figlio di un’alcolista, si era sentito soddisfatto per aver trovato il modo di usare il problema della madre a suo vantaggio e, nel contempo, divorato dal senso di colpa per averla ingannata.
Il fax lo salvò da ulteriori indagini introspettive, sputando un foglio alle sue spalle. Brock gli aveva mandato le informazioni sul martello che Sara aveva asportato dalla vagina di Leslie Truong. Per pura fortuna, sull’estremità c’era il numero di serie.
Jeffrey lo cercò al computer. Riconobbe le caratteristiche strisce gialle e verdi del marchio.
Il martello battilamiera Brawleigh da seicentottanta grammi faceva parte di un kit di tre pezzi, opportunamente chiamato Dead Blow. I martelli da carrozziere erano concepiti specificamente per lavorare il metallo e per esaltarne le proprietà. La Brawleigh aggiungeva alla serie un martello a penna dritta e una mazzuola. Jeffrey esaminò i particolari. La testa della mazzuola da seicentottanta grammi era piena di sabbia e rivestita di poliuretano. I due martelli avevano un disco di plastica sulla parte piatta della testa. Tutti gli utensili erano studiati per ridurre al minimo il rimbalzo elastico dalla superficie; questo spiegava il manico dal collo stretto dell’arma usata per l’omicidio.
Zoomò sul martello. La testa metallica aveva un non so che di sinistro. La penna, dalla parte opposta della superficie piatta, era di forma conica, veniva usata per modellare gli spigoli vivi. Non aveva modo di sapere se fosse stato usato su Tommi Humphrey. Il killer lo aveva comprato appositamente per le aggressioni o era qualcosa che aveva trovato in giro nella sua officina?
La Brawleigh era un marchio nazionale famoso, presente ovunque nel settore degli utensili, come Snap-On e Craftsman. Jeffrey fece una ricerca generale e scoprì che il martello era facilmente disponibile presso Pep Boys, Home Depot, Costco, Walmart e Amazon. Richiedere i registri delle vendite nella zona sarebbe stata un’impresa da Davide contro Golia. Il procuratore distrettuale della contea di Grant lavorava part-time. Per effettuare le richieste ci sarebbero voluti giorni. Jeffrey non li aveva.
Chiuse le altre schede e tornò al sito della Brawleigh. Il kit Dead Blow era nel menu UTENSILI PER METALLO. Restò in sospeso con il mouse sui sottomenu. Non gli saltò all’occhio niente. Passò a FALEGNAMERIA e trovò proprio ciò che stava cercando.
CACCIATOIE E PUNTERUOLI.
Studiò le cacciatoie, usate per affondare i chiodi nel legno. Lo strumento era di acciaio temprato, rotondo, lungo quindici centimetri, spesso in alto per poter essere percosso con un martello, sottile in fondo fino a trasformarsi in una punta, per spingere la testa del chiodo nel legno. Jeffrey chiuse la mano a pugno. Aveva usato la sua buona dose di cacciatoie. Era un arnese troppo piccolo per poter essere utilizzato efficacemente come arma, figuriamoci per perforare il midollo spinale.
Cliccò su punteruoli.
Punteruoli da legno. Lesine. Punteruoli a punta piatta.
Zoomò su un punteruolo a punta piatta, simile per aspetto a un cacciavite. Anziché essere piatta o a croce, l’estremità aveva la forma di una punta acuminata. Era un altro utensile familiare a Jeffrey. Veniva impiegato per praticare tacche nel legno, per facilitare l’inserimento di un chiodo o di una vite nella posizione corretta.
Era inoltre sufficientemente lungo e abbastanza preciso da perforare il midollo spinale di una donna.
C’era movimento nella sala operativa. Matt si stava versando una tazza di caffè. Frank si stava togliendo la giacca per appenderla allo schienale della sedia.
Jeffrey uscì, chiedendo a Frank: «L’autopsia?».
Lui scosse la testa. «Un lurido pervertito, non c’è altro da dire.»
Jeffrey se lo aspettava, eppure si sentì ugualmente frustrato. «Quante carrozzerie e quanti meccanici pensate che ci siano in città?»
«Tra Avondale e Madison?» fece Matt. «Su due piedi direi dodici.»
Dato che era stato il primo a fornire informazioni, Jeffrey gli disse: «Ho bisogno che tu vada da ognuno di loro e scopra con discrezione se a qualcuno manca un martello battilamiera Brawleigh».
«Brawleigh» ripeté Frank. «È la mia marca.»
«Io uso solo Milwaukee» affermò Matt.
Avevano fatto per caso una buona osservazione. Gli uomini tendevano a usare sempre la stessa marca di utensili. Il banco da lavoro di Jeffrey era contraddistinto dal giallo di DeWalt.
«Di solito ogni meccanico ha i propri arnesi. Presta attenzione a chi compra Brawleigh» gli disse.
«Sissignore.» Matt gli fece un saluto militare, avviandosi verso la porta.
«Sei riuscito a rintracciare il Daryl del telefono di Caterino?» chiese Jeffrey a Frank.
«Ho controllato tutte le nostre schede, le indagini sul campo, i verbali dei controlli stradali. L’unico Daryl emerso è un certo Farley Daryl Zowaski, quarantotto anni.»
«Un altro lurido pervertito.» Conoscevano tutti quel famigerato esibizionista. Uno dei primi arresti che Jeffrey aveva effettuato nella contea di Grant era avvenuto quando aveva prelevato Zowaski davanti alla scuola elementare.
«E l’elenco dei colpevoli di reati sessuali?» chiese a Frank.
«Abbiamo tre predatori ufficiali registrati nella contea.»
Jeffrey sapeva che il numero avrebbe dovuto essere dieci volte più alto. «Facciamo un briefing alle otto. A quell’ora dovrei avere il verbale completo dell’autopsia di Truong. Dobbiamo studiare un piano.»
«Che genere di piano?» Frank sembrava davvero curioso. «Questo killer è maledettamente più sveglio di noi.»
Jeffrey non poté obiettare, tuttavia chiese: «Che cosa te lo fa dire?».
«È metodico, cauto. Segue quelle ragazze, giusto? Non le rapisce così, in piena luce, senza un piano.» Scrollò le spalle. «I rapimenti da parte di sconosciuti sono quelli più difficili da risolvere. E se c’è un elemento seriale, be’, cavolo, è finita.»
Suonava superficiale, ma Jeffrey sapeva che Frank era arrivato a un punto della sua carriera in cui niente di quello che una persona faceva, per quanto terribile, poteva scuoterlo.
«Okay, le segue. E poi?» incalzò.
«Penso che non le porti da nessuna parte, d’accordo? Forse ha parcheggiato il furgone su quella pista tagliafuoco, ma lo ha fatto per assicurarsi la fuga. Quello che è successo è: ha visto Leslie nel bosco. È riuscito a trascinarla lontano dal sentiero. Ha fatto quello che ha fatto e l’ha lasciata là.»
«Stai dicendo che è rimasto nel bosco dopo aver aggredito Caterino. Poi ha visto Leslie Truong.»
«O forse lei ha visto lui?»
«In questo momento Lena occupa un posto piuttosto in alto nella mia lista nera, però persino lei l’avrebbe riferito, se Leslie Truong avesse visto l’aggressore di Beckey Caterino.»
«Sì, ma forse Truong non si è resa conto di averlo visto. Ricorda, mentre tornava al campus, per quanto ne sapeva lei era stato un incidente. Può essere che l’assassino l’abbia pedinata. Lei ha riconosciuto la sua faccia e lui l’ha aggredita. O forse non le ha dato il tempo di riconoscerlo. Forse si è infuriato perché è stato interrotto.»
Jeffrey pensò alle lesioni interne di Tommi Humphrey e Leslie Truong. A Rebecca Caterino era stato risparmiato quell’orrore. Frank sapeva solo delle due vittime recenti, perciò dovette chiedere: «Cosa stava facendo quando Truong l’ha interrotto?».
«Scopando?» Frank fece un’altra scrollata di spalle. «Bundy tornava dai corpi. Una volta ho sentito un cazzone dell’FBI su, ad Atlanta. Ha tenuto un intervento. Ci ha spiegato che Bundy tornava giorni, settimane, a volte mesi dopo. Le truccava, sistemava i capelli, si masturbava, le scopava. Era un individuo perverso, quel tizio. Qualche volta tagliava loro la testa e se la portava a casa per starsene in sua compagnia.»
Jeffrey non voleva sentir parlare di Ted Bundy in relazione al loro caso. Quel serial killer era stato catturato tre volte, due dopo essere sfuggito alla custodia, anche se non grazie a capacità investigative sherlockiane. Tutte e tre le volte era stato fermato per violazioni del codice stradale. Nella contea di Grant non avrebbero avuto quel tipo di fortuna.
«Bundy prendeva di mira le studentesse. Aveva un suo tipo: classe media, capelli scuri lunghi, corporatura sottile, giovane età. A pensarci, è uguale al mio» affermò Frank.
Il BlackBerry di Jeffrey prese a suonare nel suo ufficio. Corse a prenderlo prima che scattasse la segreteria. Il numero apparteneva a Bonita Truong. L’aveva lasciata tre ore prima al Kudzu Arms fuori Avondale. Le aveva detto di riposare un po’, ma avevano capito entrambi che non lo avrebbe fatto.
«Tolliver» rispose.
All’altro capo udì ansimare. Chiuse la porta dell’ufficio. Si sedette sul bordo della scrivania e ascoltò la donna piangere.
«Sono… sono così…» tentò di dire.
«Non si preoccupi» rispose. «Sono qui.»
«Lei…» Le parole si ruppero in un gemito incomprensibile.
Jeffrey pensò a quella madre che aveva perso sua figlia, seduta sola nella sua stanza al Kudzu Arms. La moquette marrone sempre umida. Il soffitto imbarcato e il lavandino del bagno macchiato dalle sigarette. Dopo che Sara lo aveva cacciato, aveva trascorso molte notti alcoliche in quello squallido albergo sulla strada. Qualche volta da solo, la maggior parte con una donna che il mattino dopo gli lasciava un numero di telefono, che sapevano entrambi non avrebbe mai usato.
«Mi dispiace» disse Bonita.
«Signora, non ha motivo di scusarsi.»
Quella conferma scatenò un’altra ondata di lacrime. Jeffrey ascoltò in silenzio, perché era l’unica cosa che potesse fare. Guardò nella sala operativa. Frank era alla sua scrivania. Marla Simms si stava versando un po’ di caffè. Era vagamente irritato dall’assenza di Lena, poi però si ricordò che le aveva detto di andare al cantiere a raccogliere i nomi.
«Io…» fece Bonita. «Io non… non riesco a credere che non ci sia più.»
Jeffrey strinse i denti per non sparare qualche sciocchezza, come prometterle che avrebbe trovato e punito l’uomo che le aveva portato via la sua bambina. «Signora Truong, farò tutto quello che è in mio potere perché abbia giustizia.»
«Giustizia» affermò, una parola inutile per chi affogava nel dolore. «Ho trovato… la fotografia. Quella con la fascia per i capelli. Mi aveva chiesto di verificare se la avessi.»
Quella donna era partita da San Francisco il giorno precedente, pensando che avrebbe avuto bisogno di fotografie per i manifesti che dovevano segnalare la scomparsa della figlia. Ora, molto probabilmente, le avrebbe passate in rassegna in vista del funerale.
«Ho parlato…» La sua voce si inceppò di nuovo. «Le sue coinquiline mi hanno detto di aver preso alcune sue cose senza chiederle il permesso. Vestiti. Trucchi.»
«Vorrei comunque vedere le copie delle foto che ha portato da casa» affermò Jeffrey. Doveva considerare quel caso in un’ottica di collaborazione con Nick. Trovò un pezzo di carta e butto giù qualche appunto riguardante la teoria di Frank. Tornare dai corpi sarebbe stato pericoloso per l’aggressore, se non altro perché a ogni nuovo contatto avrebbe lasciato delle tracce. O al killer era andata bene con la pioggia o lo aveva pianificato in quel modo.
«Ho bisogno…» Ancora una volta la voce di Bonita si bloccò. «Ho bisogno di capire come funziona. Come posso… quando posso… devo portarla a casa. Dovrebbe essere a casa.»
«La faccio chiamare dal coroner. Le spiegherà lei i dettagli.» Jeffrey sapeva che ufficialmente l’incarico era rivestito da Brock, ma voleva che Sara aiutasse quella donna. «Resterà in albergo?»
«Presumo.» Scoppiò in una risata tesa. «Dove dovrei andare? Non c’è niente che possa fare, vero? Niente di niente.»
Jeffrey aspettò che dicesse altro, invece la comunicazione si interruppe.
Compose il numero di Sara sul BlackBerry. Tenne il pollice sospeso sopra il pulsante verde di invio chiamata. Premette invece quello rosso, cancellando il numero.
Il Kudzu Arms gli aveva risvegliato ricordi poco lusinghieri. Continuava a pensare a Sara che entrava nella loro camera da letto. Che lasciava andare l’auto nel lago. Era andata dai suoi. Avrebbe voluto seguirla ma, più si allontanava, più sentiva che la corda che li univa si allentava. Da allora non aveva capito se stesse giocando al tiro alla fune o cercando di mettergli un cappio al collo.
Jeffrey usò la rotellina del mouse per trovare l’indirizzo email di Sara, scegliendo l’opzione da vigliacco. Lei ci sapeva fare con i genitori. Non poteva avere figli, quand’era al college un’appendicectomia era andata male, però sapeva affrontare il dolore in un modo che Brock ignorava. Le inviò i dati di Bonita Truong e le chiese di contattarla per organizzare il trasporto del corpo della figlia.
Il resto del verbale autoptico era nel fax. Sfogliò il riassunto. I dati di Sara confermavano la valutazione di Frank. Aveva trovato proprio quello che Jeffrey si aspettava: la perforazione del midollo spinale, il liquido blu nello stomaco. In altre parole, nulla che potesse fornire una qualche direzione. Avrebbero dovuto attendere tre o quattro settimane perché arrivasse il rapporto tossicologico dal GBI. La presenza di GHB o di Rohypnol non avrebbe aperto nuove piste.
«’Giorno.» Brad Stephens stava attraversando la sala operativa con uno scatolone pieno di buste sigillate per le prove. Aveva passato la notte nell’appartamento di Leslie Truong a catalogare i suoi effetti personali.
«Trovato qualcosa?» gridò Jeffrey.
«No, Capo, non esattamente.» Brad entrò nel suo ufficio e posò lo scatolone sul tavolo. «Ho passato in rassegna i suoi contatti come ha chiesto, ma non c’erano molti nomi, solo numeri di telefono.»
Jeffrey aveva il taccuino in tasca. Trovò la pagina dove aveva trascritto il numero di Daryl dal cellulare di Beckey.
Brad aprì il telefono di Leslie e fece scorrere i numeri. «Proprio qui, il terzo.»
Jeffrey confermò il dato con i suoi stessi occhi. Due vittime, entrambe con lo stesso numero di dieci cifre memorizzato sul cellulare. Però erano tutte e due studentesse. Se Daryl spacciava erba, metà dei telefoni del campus contenevano probabilmente quel numero.
Tuttavia, non sapeva se Daryl fosse uno spacciatore d’erba.
Il Little Bit identificato da Chuck Gaines in base alle sue schede era stato arrestato il pomeriggio precedente.
Jeffrey stava per chiamare Lena per avere ulteriori informazioni sull’arresto, quando la vide seduta a una scrivania. Guardò l’orologio. Era escluso che avesse avuto il tempo di passare al cantiere.
«Lena!» La sua voce suonò più alta di quanto avrebbe dovuto. Vide Brad trasalire, mentre afferrava lo scatolone delle prove e si affrettava a lasciare l’ufficio.
«Capo?» Lena indossava ancora il giaccone. I denti della cerniera lampo le avevano lasciato un segno rosso sul collo. «C’è qualcosa che non va?»
«Chiudi la porta.»
Le fece cenno di sedersi, ma lei restò in piedi. «Perché pago per il tuo BlackBerry sei non lo guardi?»
Parve stupita. La osservò infilare la mano in tasca in cerca del telefono.
«Ti avevo detto di andare, per prima cosa, in quel cantiere sulla Mercer.»
Mentre parlava, lei leggeva l’email. «Mi dispiace, sono rimasta in piedi…»
«Siamo rimasti tutti in piedi tutta la notte. Fa parte del lavoro. Mi stai dicendo che non riesci a farlo?»
«No, signore, io…»
«Little Bit.»
«Ehm…» Si stava ancora arrampicando sugli specchi. «Felix Floyd Abbott. L’ho arrestato ieri. È in custodia in attesa di…»
«Ha confermato d’essere noto come Little Bit?»
«Sì. Voglio dire, sì, signore. E corrisponde alla descrizione che ci ha dato Chuck. Skateboarder, capelli lunghi, si porta dietro una quantità di roba di poco inferiore a quella massima detenibile con l’intento di distribuirla.»
«Dove sono i tuoi appunti? Ti avevo detto di farne alcune copie.»
Lei sussultò. La guardò correre alla sua scrivania e tornare in ufficio con un fascio di fotocopie. «Le ho fatte dopo aver recuperato tutti quei casi di stupro per lei.»
Jeffrey le strappò i fogli di mano. Scorse la sua calligrafia ordinata, in stampatello. Gli appunti si leggevano come una presentazione PowerPoint. «Li hai riscritti.»
«Io… »
«Non sono quelli che mi hai mostrato ieri.» Trovò l’elenco puntato che lei aveva fatto valutando il corpo di Rebecca Caterino. Aveva aggiunto un passaggio, spiegando in dettaglio come avesse controllato il polso, sia radiale sia carotideo. «Sei disposta a mettere la mano sulla Bibbia davanti a un giudice e a giurare che sia la verità?»
La sua gola si mosse. «Sì, Capo.»
«Gesù.» Sfogliò le copie. Ogni particolare sembrava così uniforme che parevano uscite da una macchina da scrivere. Girò pagina.
COLLOQUIO PRELIMINARE CON LESLIE TRUONG
– Uomo con berrettino nero a maglia
– Nessuna idea di età/colore dei capelli/colore degli occhi
– Non ricorda che cosa indossasse
– Non si sono parlati
– Niente di sospetto
Jeffrey sentì una fitta acuta alla mascella. Aveva letto il suo rapporto ufficiale. Non diceva niente da nessuna parte di un uomo con un berrettino nero a maglia. «Che cazzo è questa roba?»
«Ehm…» Lena allungò il collo per vedere. «Quello che ha detto. Leslie. Ho scritto…»
«Leslie Truong, la donna che ha trovato Rebecca Caterino, ha visto un uomo con un berrettino a maglia e tu hai pensato che non fosse abbastanza importante da riferirmelo?»
Dalla sua faccia capì che era perfettamente consapevole del pasticcio combinato. «Non mi sembrava importante, Capo.»
«Gesù Cristo. Ti ho spiegato che tutto era importante. Cos’altro ha detto?»
«Niente» rispose Lena. «Cioè… quello che ho scritto. È tutto quello che ha detto. Lo giuro su Dio. Le ho chiesto se avesse visto qualcuno in zona e ha parlato di quattro persone. Tre donne che non conosceva, ma che ha pensato fossero studentesse, e un uomo, e quello è l’uomo che ha descritto, ma in realtà non è una descrizione, no? Giuro, è tutto quello che ha detto. Non è niente. Credevamo tutti che Caterino fosse un incidente.»
«Non tutti, Lena.» Stava stringendo i fogli tanto forte da spiegazzarli. «Leslie Truong è stata mutilata. Sai che cosa le hanno fatto? Alla testimone che hai lasciato andare?»
Jeffrey le lanciò il rapporto di Sara. Lei faticò ad afferrarlo. Poi lesse le parole. Lui vide l’orrore diffondersi sul suo viso.
«Questo.» Jeffrey puntò il dito sul foglio. «Questo è successo alla donna che ha visto in volto l’aggressore. Tu l’hai lasciata andare. Aveva un maledetto bersaglio sulla schiena e tu l’hai mandata nel bosco da sola, e questo è quello che le è capitato.»
Lena stava per sentirsi male.
Jeffrey ne fu contento.
«Capo, io…»
«Devi portare subito il culo in quel cantiere, prima che ti prenda il distintivo e ti accompagni fuori dalla mia sala operativa.»
Lei fece per andarsene.
Non avrebbe lasciato che se la cavasse così facilmente. «Appena finito tornerai subito qui, mi hai sentito? Non andartene a zonzo, non girare in tondo. Torna immediatamente qui. Dico sul serio.»
«Sì, Capo.»
La vide superare di corsa Frank e uscire dalla porta a vento.
Jeffrey si girò verso la finestra. Lena era nel parcheggio. Stava cercando di aprire la portiera della sua Celica.
«Capo?» Frank era sulla soglia, attendeva spiegazioni.
«Non ora.» Jeffrey doveva uscire da quel palazzo prima di farlo a pezzi con le sue mani. «Tornerò per il briefing. Se succede qualcosa, mi trovi sul cellulare.»
Frank si scostò per lasciarlo passare.
Jeffrey ignorò gli sguardi nella sala operativa, le labbra increspate di Marla dietro il banco della reception. Frenò la tentazione di aprire le porte a vento con un calcio. Si controllò finché non fu fuori, sul marciapiede.
«Porca di una maledetta troia!» sibilò chiudendo le mani a pugno in tasca.
Un vento freddo lo investì, mentre si incamminava lungo Main Street. Eppure, quando girò a sinistra verso il lago stava sudando. Il vento si era trasformato in una lama che tagliava l’acqua. L’erba era ancora bagnata di rugiada. Vide i risvolti dei pantaloni grigi diventare via via neri per l’umidità.
Si impose di aprire le mani. Cercò di smaltire la rabbia con la ragione. Lena aveva combinato un casino, ma lavorava per lui, il che significava che ogni errore che commetteva ricadeva dritto sulle sue spalle. Cercò di vedere le cose dal suo punto di vista. Le aveva detto di mettere a posto gli appunti. Lei lo aveva fatto. Quando aveva parlato con Leslie Truong, credeva che Rebecca Caterino avesse avuto uno sciagurato incidente. Poteva dire onestamente che al suo posto lui avrebbe trovato qualcuno che riaccompagnasse la ragazza al campus? Ma di una cosa era dannatamente certo: avrebbe riferito al suo capo che un uomo con un berrettino nero a maglia si aggirava nei paraggi della scena del crimine.
Che genere di berrettino a maglia? A cos’era dovuto l’aspetto anonimo: all’altezza media, al tipo di corporatura, al colore dei capelli? O voleva dire che sulla faccia non aveva barba, baffi, piercing, tatuaggi?
«Merda.»
Doveva parlare di nuovo con lei, stavolta senza urlare. Il suo taccuino originale doveva essere da qualche parte. Doveva conoscere i particolari del colloquio con Leslie Truong.
Si girò, osservando il retro delle case sul lago. Era a circa ottocento metri dal centro. La casa di Sara era a quattrocento metri nella direzione opposta. Jeffrey pensò di bussare alla sua porta. Aveva la scusa dell’autopsia. Avrebbe potuto fingere di non aver visto il fax in ufficio. Sara si stava probabilmente preparando per andare al lavoro, sfinita dopo la lunga nottata. Forse avrebbero potuto prendere un caffè sul portico posteriore. Forse avrebbe potuto illustrarle passo per passo il caso, e lei gli avrebbe schiarito la mente con la sua magia, così sarebbe tornato alla stazione e avrebbe escogitato un modo per impedire a un killer sadico di aggredire l’ennesima studentessa.
Si sfregò la bocca.
Fu una fantasia piacevole finché durò.
Passò tra due case e raggiunse la sua via. L’orlo bagnato dei pantaloni gli si appiccicava dietro sui polpacci. Il sole era accecante. Sollevò la mano per ripararsi gli occhi.
Sara era cinquanta metri più in là. Era in abbigliamento da corsa, i capelli legati dietro la testa, il respiro visibile nell’aria frizzante del mattino. Aveva le mani sui fianchi.
Non sembrava contenta di vederlo.
Jeffrey fece per salutarla, ma lei gli voltò le spalle e si mise a correre.
Senza sapere che cosa stesse facendo, si ritrovò a correrle dietro. Forse per stupidità, o disperazione, o per l’addestramento da poliziotto; se qualcuno scappava da te, lo inseguivi.
Sara accelerò superando una curva secca lungo la sponda del lago. Jeffrey sollevò di più i piedi e pompò con le braccia. Lei aveva un vantaggio iniziale ma lui correva più forte. La vide tagliare attraverso il giardino anteriore della signora Beaman. Lui si spostò di lato nel vialetto dei Porter, per poi passare nel loro giardino posteriore. Quando raggiunsero entrambi il lago, aveva guadagnato venti metri.
Sara non se la cavava bene sull’erba. Guardò dietro di sé. Jeffrey recuperò altri cinque metri. Buttò giù una boccata d’aria e spinse le gambe finché non urlarono dal male. Ancora cinque metri guadagnati, ma Sara aveva raggiunto il retro della sua proprietà. Le scivolò un piede mentre risaliva il ripido pendio in direzione della casa, lo stesso lungo il quale aveva lasciato andare la Honda.
Jeffrey accorciò ancora di più la distanza saltando il muro di contenimento, tagliando attraverso il prato. Era abbastanza vicino da sentire l’odore del suo sudore, mentre schizzava su per i gradini. Lui li saltò inciampando nell’ultimo. Si raddrizzò ma non riuscì a controllare lo slancio. Vide la porta sbattere e poi, come Willy il Coyote, ci finì contro di faccia.
«’Fanculo!» Si portò le mani al naso. Il sangue gli colò tra le dita. «’Fanculo!»
Si piegò in avanti. Il sangue gocciolò sul portico. Vide le stelle. Doveva avere il naso rotto. Lo sentiva pulsare come un secondo cuore.
«Sara?» Picchiò sulla porta. «Sar…»
Udì accendersi un motore. La Z4. Conosceva quel basso brontolio. Lo sentiva ogni dannata volta in ufficio, quando Sara accendeva la sua auto da ottantamila dollari dall’altra parte della strada. Si scrollò il sangue dalle mani. Trovò il fazzoletto nella tasca posteriore. Dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non precipitarsi dall’altra parte della casa e guardarla allontanarsi.