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Contea di Grant – Giovedì

Jeffrey riusciva solo a fissare Frank. «Cosa hai detto?»

«Ha chiamato il decano» ripeté lui. «È scomparsa un’altra studentessa. Rosario Lopez, età ventuno anni, manca da cinque ore.»

Jeffrey udì una porta aprirsi. Lena uscì dalla stanza dietro il finto specchio. Aveva il BlackBerry in mano.

Frank gli disse: «Chuck Gaines e i suoi uomini hanno rivoltato il campus da cima a fondo. Adesso stanno controllando il bosco. Il decano ha fatto un appello per cercare volontari».

«Assicurati che tutti cerchino in coppia.» Jeffrey aveva iniziato a sudare freddo. Tre studentesse in tre giorni. Il suo incubo si stava avverando. «Togli Jefferson e White dal servizio di pattuglia. Che assumano il comando delle ricerche. Nel frattempo, ho bisogno che trovi il maggior numero di informazioni possibile su Daryl Nesbitt.»

«Nesbitt?»

«Deve avere una fedina penale. Il suo patrigno…»

«Un attimo.» Frank recuperò il taccuino. «Vai.»

«Daryl ha un patrigno di fatto nella prigione statale di Wheeler, chiamato Axle. Cognome Abbott. Ha una casa ad Avondale, dove Daryl vive. Controlla l’anagrafe tributaria. Vedi se ci sono i piani di costruzione o almeno una planimetria che mostri l’orientamento della casa sulla proprietà. Manda Matt a fare un giro per verificare se c’è qualcuno. Chiama il resto del turno di pattuglia e di’ loro di sospendere la ricerca del furgone scuro. Non usare la radio. Non sappiamo se Daryl abbia uno scanner della polizia.»

Frank stava ancora scrivendo, quando Jeffrey si girò verso Lena.

Lei affermò: «Ho chiamato Memminger. Felix stava smaltendo una sbronza nella cella per ubriachi il mattino in cui Caterino e Truong sono state aggredite. Non è uscito se non dopo pranzo. È escluso che sia lui».

«Vieni con me» le disse.

Jeffrey tornò nella stanza interrogatori. Felix Abbott si stava tormentando il foruncolo sul mento. «Dannazione, amico, quando posso…»

Jeffrey lo afferrò per la maglietta e lo sbatté contro il muro.

«Che ca…»

Jeffrey gli premette l’avambraccio contro la gola con tanta forza da sollevarlo da terra. «Ascoltami bene, figliolo, perché in questo momento o sei utile o non lo sei. Mi capisci?»

Lui spalancò la bocca, cercando di buttare giù aria. Ebbe difficoltà ad annuire.

«Beckey Caterino. Leslie Truong.»

Sgranò gli occhi. Cercò di parlare, ma aveva la gola schiacciata.

Jeffrey gli lasciò qualche centimetro di spazio. «Le conosci?»

«Sono…» Ansimò. «Studentesse.»

«Nei loro telefoni c’era il numero di Daryl. Perché?»

Faticava a respirare. Scalciò frenetico. Le sue labbra stavano diventando blu. «L’erba.»

«Daryl vendeva erba a Beckey Caterino e a Leslie Truong? È uno spacciatore?»

Le palpebre di Felix iniziarono a tremolare. «S-sì.»

«Da quando?»

Felix tossì.

«Da quando Daryl vende erba al college?»

«A-anni.»

«E Rosario Lopez?»

«Non…» Deglutì. «Non riesco…»

Jeffrey lo guardò negli occhi. «La conosci?»

«Non ho mai…» Ansimò di nuovo, mentre Jeffrey piegava il braccio premendogli la gola. «No.»

Lo mollò.

Felix cadde in ginocchio. La sua faccia era diventata rossa. Prese a tossire.

«Ammanettalo al tavolo. Tienilo isolato. Niente telefonate. Portagli un po’ d’acqua. Chiudi a chiave la porta. Dopo raggiungimi» ordinò a Lena.

«Sì, Capo.»

Jeffrey si asciugò le mani sulla camicia e andò verso la sala operativa. Vide Brad a un computer. Marla al telefono. Sentiva un’elettricità dappertutto. Un’altra studentessa era scomparsa. Forse avrebbero potuto stringere il cerchio attorno al killer.

«Matt sta andando a casa di Abbott.» Frank uscì dall’ufficio di Jeffrey. Lesse dal taccuino. «Daryl Eric Nesbitt. Ventotto anni. È rimasto pulito, ma il mio amico a Memminger dice che i suoi precedenti minorili sono lunghi come il mio uccello.»

«Per?»

«Puttanate da Dew-Lolly: risse in strada, taccheggio, assenze ingiustificate da scuola. Ma, senti qui, quando Daryl aveva quindici anni, faceva da baby-sitter a sua cugina di sei. La bambina è tornata a casa con del sangue sulle mutandine. La mamma ha sporto denuncia, ma la famiglia l’ha convinta a ritirarla.»

Molestatore sessuale. Un passato criminale. Conosceva le vittime.

Jeffrey pensò a Tommi Humphrey. Aveva mai incontrato Daryl Nesbitt? Lui l’aveva osservata attraversare il campus e aveva deciso di farle del male?

«Capo?» Brad indicò il computer.

Jeffrey vide la foto di Daryl Eric Nesbitt sulla sua patente della Georgia. Aveva un’aria da delinquente. I capelli unti. Gli occhi piccoli e tondi. Guardava torvo l’obiettivo, come se fosse in posa per una foto segnaletica.

«Nesbitt ha una multa arretrata per guida con patente scaduta» disse Brad.

«Era in un furgone?»

«In un pick-up. Una Chevy Silverado del 1999. È sotto sequestro nel parcheggio della contea.» Brad disse: «Ho trovato la casa di Avondale. È a Woodland Hills in Bennett Way».

Jeffrey si avvicinò alla grande mappa della contea che occupava l’intera parete di fondo. Conosceva quella parte della città, era esattamente il posto dove ti aspettavi di trovare un meccanico che non seguiva le regole. «Numero?»

«Tre-quattro-sei-due.»

Jeffrey fece scorrere le dita lungo la strada. Usò un Post-it giallo per contrassegnare il punto. C’era un’altra fila di case dietro la residenza attuale di Nesbitt. Al di là, i boschi si estendevano per chilometri, seguendo la tortuosa sponda posteriore del lago fino al college.

Prossimità alle scene del crimine.

«La casa ha due piani.» Frank stava leggendo sul monitor sopra la spalla di Brad. «L’anagrafe tributaria ha la planimetria e il progetto originario.»

Brad batté alcuni tasti. «Li mando in stampa.»

Il primo foglio era ancora caldo quando Jeffrey lo strappò dalla macchina. Il prospetto frontale. Stile Cape Cod anni Cinquanta, con un portico anteriore quadrato e due abbaini che spuntavano lungo il profilo del tetto.

Uscì il secondo foglio. La disposizione del pianterreno. Jeffrey lo girò in modo da avere la porta d’ingresso rivolta verso il proprio petto. La porta posteriore era in linea dalla parte opposta.

L’ingresso conduceva direttamente nel soggiorno, che occupava l’angolo anteriore sinistro dell’abitazione. La sala da pranzo era a destra. Ai lati di un breve corridoio c’erano da una parte un vano guardaroba e dall’altra le scale. Uno studiolo a sinistra. La cucina a destra. La porta posteriore dava su una piccola veranda.

Quando uscì il terzo foglio dalla stampante, era arrivata anche Lena.

Il piano superiore. Quattro camere da letto, una più grande delle altre tre. Due finestre ciascuna. Piccole cabine armadio. Jeffrey sapeva che i soffitti dovevano essere spioventi, per via del tetto. Un bagno in fondo al corridoio. Vasca, water, lavandino, una piccola finestra.

Il quarto foglio mostrava lo scantinato. Le scale d’accesso erano collocate sotto quelle che conducevano al primo piano. Nel disegno il locale era quadrato, un open space, con un piccolo riquadro, il vano tecnico. Colonne portanti e basamenti erano indicati da appositi quadratini. Qualsiasi ristrutturazione abusiva non sarebbe risultata dai registri, quindi là sotto potevano esserci camere da letto, una taverna, una lavanderia, forse anche una gabbia con Rosario Lopez intrappolata al suo interno. Sara aveva osservato che il killer imparava da ogni nuova vittima. Forse la lezione appresa da Caterino e Truong era che aveva bisogno di privacy.

«Capo?» Marla lo chiamò dalla parte anteriore della sala. «Matt sulla tre.»

Jeffrey lo mise in vivavoce. «Cos’hai trovato?»

«Ho appena visto Nesbitt entrare in casa» rispose. «Aveva due borse, una di Burger King e un’altra del ferramenta.»

Jeffrey sentì lo stomaco contrarsi. Il martello era rimasto nel corpo di Leslie Truong. L’assassino avrebbe avuto bisogno di rimpiazzarlo.

Matt disse: «Daryl guidava un furgone commerciale, un vecchio modello, un GMC Savana color canna di fucile. Targa 499 XVM».

Brad iniziò a digitare. Disse: «È intestato a Vincent John Abbott».

«Axle, il patrigno» affermò Frank. «Ho avuto la conferma che negli ultimi tre mesi è rimasto chiuso a Wheeler.»

Matt li informò: «Lo scantinato è completamente sotto terra. Non c’è un ingresso dall’esterno, ma a quanto pare ha due finestre a vasistas per lato».

Si trattava di finestre strette con le cerniere in basso, utili a far circolare un po’ d’aria. Troppo piccole perché ci passasse un adulto, perfino una donna minuta.

Matt aggiunse: «Mi sto allontanando, ma ho sbirciato nel garage. La porta era aperta. Sembra che all’interno ci sia un carrello per gli attrezzi con le ruote, un metro e mezzo per un metro e mezzo, pieno di cassetti. A strisce gialle e verdi».

«I colori della Brawleigh» osservò Frank.

Brawleigh, la stessa marca del martello trovato nel corpo di Leslie Truong.

Accesso all’arma dell’omicidio.

Jeffrey controllò l’ultimo foglio nella stampante. La planimetria mostrava le dimensioni del terreno e la posizione della casa. C’erano due edifici annessi. Uno era un garage indipendente, sul lato del soggiorno. L’altro era un capanno da tre metri per tre, a circa quattro metri e mezzo dalla porta posteriore.

Disse a Matt: «C’è un capanno sul retro».

«Non lo vedo dalla strada.»

«È dietro la casa.» Jeffrey controllò la cartina stradale sulla parete. Guardò sopra il Post-it giallo. «Hai un binocolo?»

Sentì Matt frugare all’altoparlante. Un clic. Lo sportello del cruscotto che si richiudeva. «Sì.»

«C’è una strada che passa dietro Bennett, Valley Ridge. I terreni non sono grandi. Forse riesci a vedere il retro da lì.»

«Adesso ci giro attorno» rispose.

«Restiamo in linea.»

Udirono il rumore della strada mentre Matt girava attorno all’isolato. Il suo scanner era abbassato. Si schiarì la voce. I freni gemettero allo STOP. Le sue mani sfregarono contro il volante quando svoltò.

La tensione era quasi insopportabile. Stavano tutti fissando il telefono, in attesa. Brad era girato sulla sedia. Lena era protesa in avanti, in una posizione da runner. Frank era seduto, le mani giunte con forza. In quel momento, c’erano otto uomini di pattuglia. Due erano stati mandati a setacciare il bosco dietro il college. A Jeffrey restavano dieci pedine da muovere sulla scacchiera.

Controllò la lista che stava compilando nella propria testa.

Molestatore sessuale. Un passato criminale. Prossimità alle scene del crimine. Noto a Caterino e Truong. Accesso a un furgone scuro. Accesso all’arma dell’omicidio. Lavorava al cantiere dello U-Store vicino alla pista tagliafuoco.

Il particolare del furgone era arrivato da Tommi Humphrey. Non aveva rilasciato una dichiarazione ufficiale. Lo U-Store era un nesso approssimativo, basato su un soprannome. La presenza del numero di Daryl nei telefoni di due vittime poteva essere spiegata con il fatto che spacciasse erba.

Jeffrey aveva abbastanza motivi validi per poter bussare alla sua porta, ma non per buttarla giù. Non poteva rischiare che quell’animale potesse cavarsela per un dettaglio tecnico.

Aggiunse un altro dato:

Rosario Lopez. Studentessa. Scomparsa da cinque ore.

Una goccia di sudore gli colò lungo la schiena. Jeffrey non aveva in mano alcun legame tra Daryl e Rosario Lopez. Aveva un sentore, ma non c’era un giudice in città che avrebbe autorizzato alcunché in base al suo istinto.

Il suo sguardo tornò al telefono fisso. Matt aveva tossito di nuovo. Ci stava mettendo troppo. Woodland Hills era a cinque chilometri da dove si trovavano. Jeffrey aveva mandato uno dei suoi detective a gironzolare nei paraggi mentre Rosario Lopez veniva torturata, paralizzata, stuprata?

Aveva lo stomaco tanto contratto che i muscoli ebbero uno spasmo.

Tommi Humphrey gli aveva spiegato di che cosa fosse capace il killer. Il corpo di Leslie Truong illustrava in modo atrocemente dettagliato quanto fosse sadico quell’uomo. Come potevano tutti quei poliziotti starsene lì, mentre forse un’altra giovane donna stava sentendo un punteruolo metallico che le perforava il collo?

«Ci sono» annunciò finalmente Matt. «Ho il binocolo. Vedo la parte superiore del capanno. Il tetto è inclinato come un trampolino da sci e, merda…»

I freni stridettero al telefono.

Matt disse: «Il capanno ha una finestra sul retro. È dipinta, ma ha delle sbarre di sicurezza sul vetro e… merda. Vedo la porta sul lato. Anche quella ha sbarre metalliche. C’è un lucchetto».

Jeffrey sentì la tensione nella stanza salire alle stelle.

Rosario Lopez poteva essere rinchiusa in quel capanno.

«Vuole che entri?» chiese Matt.

«Non ancora.» Jeffrey non lo avrebbe mandato da solo. Tornò alla cartina sul muro. Tracciò l’itinerario con il dito. «Parcheggia a Hollister. Se Nesbitt lascia la casa, è l’unica via di uscita dal quartiere. Resta collegato. Devi ascoltare.»

«Sì, Capo.»

«Marla» fece Jeffrey. «Chiama solo i cellulari. Mi servono Landry, Cheshire, Dawson, Lam, Hendricks e Schoeder. Di’ loro di dirigersi verso il luogo in cui si trova Matt. Luci, ma niente sirene.»

Marla si girò afferrando il telefono.

Jeffrey sgombrò con il braccio la scrivania più vicina. Fogli e penne si sparpagliarono sul pavimento. Vi dispose i disegni della casa: prospetto frontale, pianterreno, primo piano, scantinato, planimetria. Trovò una penna. «Seguite tutti quello che dico, perché sarete al comando della vostra squadra. Matt?»

«Sono sempre qui.»

«Tu sei con Hendricks. Voglio che siate i miei rinforzi alla porta d’ingresso, che teniate d’occhio le finestre e gli abbaini sul lato della casa. Dobbiamo mantenere una certa distanza. Non voglio che Nesbitt vada nel panico.»

«C’è un’auto parcheggiata sull’altro lato della via, all’altezza della sua porta. Possiamo usarla come copertura» suggerì Matt.

«Bene» commentò Jeffrey. «Lena, tu busserai alla porta.»

Lei sembrò sbigottita.

«Sarò esattamente dietro di te.» Le spiegò: «Busserai alla porta. Dirai a Nesbitt che sei lì per la multa per la patente scaduta».

Lo shock diminuì leggermente. Se c’era una cosa che la contea sapeva di Jeffrey Tolliver, era che sulle violazioni del codice della strada era un vero stronzo. Le contravvenzioni costituivano metà del budget del dipartimento.

Disse a Lena: «Tienilo calmo. Digli che è routine, nulla di cui preoccuparsi. Sei lì per portarlo alla stazione, lì potrà pagare la multa oppure uscire nel giro di un’ora pagando la cauzione. Se viene, fantastico. Se si rifiuta, lascia perdere».

Lei socchiuse sorpresa le labbra. «Signore?»

«Ci serve un motivo valido per entrare in quella casa.» Jeffrey scelse con cura le parole. «Felix ha appena confermato che Daryl vendeva erba a Caterino e Truong. Magari gliene sentirai l’odore addosso quando verrà ad aprire. O forse sentirai un rumore all’interno. Dobbiamo essere in grado di spiegare con chiarezza al procuratore distrettuale il motivo per cui entriamo in quella casa.»

Lena annuì lentamente. Lei in particolare, tra tutti i presenti, capiva che cosa le stesse chiedendo.

«Lena, se riterrai che ci sia motivo valido per entrare in quella casa, mi darai il segnale e ti scosterai. Sarò il primo a superare quella porta.» Jeffrey trovò il disegno del pianterreno. Fece una X al centro del corridoio. «Lena, questo è il punto critico. Se Nesbitt scende le scale dello scantinato o sale quelle del primo piano, da questo punto lo vedrai.»

Lei strinse le labbra. Assentì.

«Il vano guardaroba.» Jeffrey tracciò un cerchio. «Non dargli le spalle a meno che tu non lo abbia controllato. Finestre, porte e mani, giusto?»

«Sì, Capo.»

«Brad.» Jeffrey picchiettò la penna sulla porta della cucina. «Tu ti occupi del retro della casa. Sarai con Landry. Ti avvicinerai dal lato di Valley Ridge. Tieni d’occhio le finestre laterali. Nessuno esce di lì.»

Brad aveva un’aria terrorizzata, tuttavia rispose: «Sì, Capo».

«Piazzeremo Dawson e Cheshire alle due estremità di Bennett Street. Schoeder e Lam bloccheranno Valley Ridge, nel caso arrivi fin là. Frank, voglio che tu pensi al capanno.»

Frank contrasse la mascella.

Jeffrey gli strinse la spalla per ricordargli chi comandava. Non aveva tempo per gli ego feriti, e non intendeva perdere Daryl Nesbitt perché Frank non aveva il fiato per fare più di venti passi correndo. «Se Rosario Lopez è in quel capanno, non voglio che sia nessun altro a trovarla.»

Lui non la bevve. «E se quando Lena bussa, Nesbitt apre la porta, capisce cosa sta succedendo, la afferra e la prende in ostaggio?»

«Allora gli pianto un proiettile in testa prima che possa chiudere la porta.»

Jeffrey prese le sue chiavi dalla tasca e andò all’armeria. Afferrò due fucili, munizioni, cartucce, ricaricatori rapidi, giubbotti di kevlar e li distribuì.

Lena si tolse il giaccone ingombrante. Indossò il giubbotto antiproiettile. La piastra anteriore era più larga del suo corpo. Dietro le arrivava sotto il sedere.

Jeffrey adattò le piastre. Riallineò le cinghie di velcro. Lei restò immobile, le braccia allargate. Non aveva mai vestito un bambino, ma probabilmente quello era l’effetto. Lasciò che i loro sguardi si incrociassero. Era spaventata, ma così maledettamente smaniosa. Era proprio ciò per cui si era arruolata. Il pericolo. L’azione. Sulla faccia di Lena rivide il suo bisogno disperato di farsi onore quando aveva indossato la prima volta l’uniforme. L’unica altra volta in cui aveva visto quell’uomo allo specchio era stata quando aveva indossato l’abito per il proprio matrimonio.

«Andiamo.»

Mentre seguivano Lena all’esterno, Jeffrey controllò la Glock per assicurarsi che ci fosse un proiettile in canna.

Alzò gli occhi, trasalendo alla luce del sole. Lo sguardo gli cadde come sempre sull’ambulatorio pediatrico. La BMW di Sara era parcheggiata nella solita posizione da autosalone, in obliquo. Jeffrey si portò le dita alla bocca. Un rivolo di sangue, colato dal naso, si era seccato.

Seduta sul sedile del passeggero, Lena quasi scompariva nel giubbotto di kevlar. Jeffrey dovette imporsi di non aggrapparsi al volante. Nell’auto ci fu silenzio finché non lasciarono Main Street.

A quel punto lei chiese: «Busserò io alla porta di Nesbitt perché ritiene che non sarà intimidito da una donna?».

«Ci sarai tu davanti a quella porta perché ci serve un motivo valido inoppugnabile.»

Lei annuì. Capiva che contava sul fatto che avrebbe mentito.

Gli ripeté le parole che le aveva suggerito. «È uno spacciatore. Gli ho sentito l’odore dell’erba addosso.»

«Bene.»

Jeffrey imboccò la curva secca che segnava il confine tra Heartsdale e Avondale. Sentì una fitta alla mascella, tanto stava serrando i denti. Ogni secondo in più dava a Nesbitt la possibilità di scappare. Di andare al capanno. Di scendere la strada. Di entrare nel bosco con un martello.

Tre donne. Tre giorni.

Nesbitt non poteva restare libero per un quarto giorno.

Contò sei auto della polizia della contea di Grant all’imbocco di Hollister Road. Matt stava riferendo gli ordini a Landry, Cheshire, Dawson, Lam, Hendricks e Schroeder. Aveva in mano il BlackBerry. Stava mostrando la foto della patente di Nesbitt. Indossavano tutti giubbotti di kevlar. Controllarono le armi. Caricarono i fucili. L’ansia generale si manifestava nei modi consueti: si davano reciprocamente spintoni, saltellavano sul posto, mentre dentro di loro erano tesi come molle.

Frank e Brad superarono l’auto di Jeffrey. Si fermarono a prendere Landry e si diressero verso Valley Ridge. Tre uomini sul retro della casa. Quattro davanti. Quattro auto di pattuglia che mettevano in sicurezza il perimetro.

Era sufficiente?

Jeffrey rallentò fino a fermarsi. Voleva guardare ogni uomo negli occhi.

Disse: «Manteniamo il silenzio radio. Avete tre minuti per mettervi in posizione».

«Sì, Capo.» Sembravano un plotone, ma erano mariti, figli, fidanzati, padri, fratelli. Ed erano sotto la sua responsabilità, perché era lui quello che li spediva in prima linea.

Li osservò dividersi in gruppi. Le quattro auto partirono. Matt e Hendricks si avvicinarono di corsa alla casa di Daryl, tenendo le fondine in modo che le Glock non sbattessero contro i loro fianchi. Jeffrey guardò l’orologio. Voleva concedere loro ogni secondo di quei tre minuti perché si organizzassero. Aveva bisogno che facessero quello per cui erano stati addestrati. Prendere posizione, fare un respiro, concedersi un attimo per adattarsi all’adrenalina che scorreva come anfetamine nelle loro vene.

Vide la bocca di Lena aprirsi mentre inspirava.

«Tutto a posto con il giubbotto?» le chiese.

Lei assentì. Il colletto le arrivava al mento.

«Domani mattina daremo un’occhiata ai cataloghi delle forniture» disse. «Scommetto che li fanno anche rosa.»

Lena si infuriò, finché non capì che stava scherzando. Fece un altro respiro. Sorrise. La guancia le tremolò per lo sforzo.

«Non saresti qui, se io non sapessi che ce la puoi fare» le disse.

La sua gola si mosse. Annuì di nuovo. Guardò dal finestrino, in attesa.

Jeffrey osservò la lancetta dei secondi ruotare sull’orologio. «Ci siamo.»

Si mantenne sotto i cinquanta percorrendo Bennet Street. Individuò Matt e Hendricks, inginocchiati dietro una vecchia Chevy Malibu parcheggiata all’altezza della porta di Nesbitt, sul lato opposto. Jeffrey fermò la sua Town Car a una trentina di centimetri dal furgone color canna di fucile, assicurandosi di bloccarlo.

Guardò la casa. Le veneziane delle finestre anteriori erano aperte. La luce sul portico era accesa. Nessuna faccia apparve dietro i vetri.

Si disse che sarebbe stato semplice. Nesbitt sarebbe venuto ad aprire. Lena gli avrebbe detto di uscire. Sarebbero spuntate le manette. Avrebbero trovato Rosario Lopez. Avrebbero sbattuto Daryl in un buco da cui non sarebbe mai più uscito.

«Sei tu al comando» disse a Lena.

Lei posò la mano sulla maniglia della portiera. Prese un altro respiro e lo trattenne.

Jeffrey la seguì quando scese. Lei si sistemò il giubbotto, assunse un’aria professionale. Aveva chiaramente deciso di affrontare quella faccenda come qualsiasi altro arresto. Niente era davvero routine, però certe cose erano meno difficili di altre. Un uomo con una multa arretrata e un pick-up sequestrato. Altri seicento dollari aggiunti al budget della polizia. Un’ulteriore tacca accanto a quelle di cui Jeffrey negava addirittura l’esistenza.

Passando, Lena tamburellò le dita sul pannello posteriore del furgone color canna di fucile.

Jeffrey fece lo stesso. Guardò nel garage. Il carrello degli attrezzi giallo e verde era chiuso con un lucchetto. Vide un attrezzo posato sopra. Strisce gialle e verdi. La mazzuola da seicentottanta grammi era piena di sabbia e rivestita di poliuretano. Era uno dei tre martelli del kit Brawleigh Dead Blow.

Sbottonò la fondina. Lena si piazzò sul portico. Lui si fermò davanti ai gradini, divaricando le gambe. C’erano più di tre metri e mezzo tra lui e la porta. Abbastanza perché Daryl Nesbitt cercasse di scappare. Abbastanza perché Jeffrey lo bloccasse.

Lena non lo guardò per avere il via libera. Sollevò il braccio, picchiò il pugno sulla porta. Indietreggiò. Attese.

Niente.

Jeffrey contò lentamente nella sua testa.

Quando arrivò a diciannove, Lena picchiò di nuovo sulla porta.

Jeffrey stava per correggerla. Erano le regole base del servizio di pattuglia. Avrebbe dovuto chiamare Nesbitt per nome, dirgli che era un’agente di polizia.

«Cazzo!» Gridò qualcuno dall’interno della casa. Una voce maschile, irritata. «Che cazzo c’è?»

Passi. Il tintinnio di una catenella che veniva tolta. Gli scatti di una serratura di sicurezza che si apriva.

La porta si spalancò.

Jeffrey riconobbe Daryl Nesbitt dalla foto della patente. Aveva i capelli unti color pigna. Portava un paio di pantaloncini gialli da ginnastica. L’unica altra cosa che indossava era un paio di calzini bianchi da ginnastica con le strisce blu in alto. Il suo colorito era rosso acceso, dal petto fino alla faccia. Anche da tre metri e mezzo Jeffrey capì che quell’uomo aveva avuto un’erezione. Non puzzava d’erba. Puzzava di sesso.

Lena sollevò il mento. Anche lei se n’era accorta.

«Cosa c’è?» Daryl la guardò in cagnesco. «Che cazzo volete?»

«Daryl Nesbitt?» domandò Lena.

«Non vive più qui» rispose. «Si è trasferito in Alabama la scorsa settimana.»

La porta iniziò a chiudersi.

Lena si allungò.

Accadde così in fretta che Jeffrey riuscì solo a pensare la parola:

No.

Lena afferrò il polso di Daryl. Lui cercò di liberarsi con uno strattone. Indietreggiò. Lena incespicò in avanti. Il suo piede sinistro attraversò la soglia, poi anche il destro. Era in casa. Continuò ad avanzare. Il braccio di Daryl sgusciò dentro, scomparendo al di là dello stipite. Forse stava prendendo un coltello, una pistola, un martello.

La porta iniziò a chiudersi.

Jeffrey sentì il proprio dito sul grilletto della Glock prima di rendersi conto di averla estratta dalla fondina, sollevata e puntata alla testa di Nesbitt.

Esplose un colpo.

La porta si scheggiò mentre si richiudeva.

Jeffrey balzò sul portico. Era chiusa a chiave. Indietreggiò e la aprì con un calcio. Puntò la pistola di qua e di là nella stanza, ma niente era come si aspettava. La sala da pranzo. Il soggiorno. La cucina. Non vedeva niente di tutto ciò. C’erano porte dappertutto, tutte chiuse.

«Alla sua sinistra!» Matt lo superò di corsa. Hendricks fece da retroguardia. Lo sparo era stato come lo start a una gara. Matt sfondò l’esile porta del corridoio. Hendricks si precipitò in sala da pranzo. Jeffrey fece un passo. Il suo piede sbatté contro qualcosa di duro. Vide la pistola di Lena scivolare sul pavimento.

«Lena!» strillò.

Partì un colpo.

Brad Stephens entrò inciampando in cucina.

«Lena!» Jeffrey fece i gradini a due a due. Era a metà, quando si ricordò che qualcuno avrebbe potuto attenderlo di sopra, pronto a fargli saltare il cervello.

Si chinò e rotolò. Finì nell’anticamera del bagno. Guardò dietro di sé. Quattro camere da letto. Le porte erano chiuse.

Lena strillò.

Jeffrey corse verso la camera grande. Sfondò la porta.

Lena era accasciata accanto al letto. Le sanguinava la testa. Era caduta contro un tavolo di legno. Raggiungendola, Jeffrey si sentì male. La responsabilità era la sua. Il casino era il suo. La vita era di Lena. Le controllò il polso. La pulsazione della carotide contro le punte delle dita gli rallentò il battito di un millisecondo.

Alzò lo sguardo.

Vide il laptop sul tavolo.

Bambini.

Butto giù la bile che gli si rimescolava in gola. Spostò lo sguardo nella stanza. Veneziane economiche di plastica alla finestra. La porta della cabina armadio mancava. Gli abiti erano ammucchiati per terra. Il letto era un materasso sulla moquette. Un calzino bianco usato giaceva appallottolato sul pavimento.

«Capo!» Matt era in fondo al corridoio. Brad gli guardava le spalle. Iniziarono a sfondare porte.

«Jeffrey?» bisbigliò Lena.

Il mondo rallentò, mentre si voltava a guardarla.

Prima non lo aveva mai chiamato per nome. C’era qualcosa di così intimo nel modo in cui lo aveva pronunciato. Aveva il braccio alzato. La mano le tremava per lo sforzo.

Stava indicando la finestra. Le lamelle di plastica sbattevano nel vento.

«Merda!» Jeffrey strappò la veneziana. La finestra si era chiusa a ghigliottina. Il pannello superiore era sceso dietro quello inferiore. Daryl Nesbitt era a pochi centimetri, in piedi sul tettuccio sopra la porta della cucina.

Mentre Jeffrey guardava, l’uomo corse e saltò. Tenne le braccia allargate. Pedalò con le gambe a mezz’aria. Atterrò con un tonfo sul tetto del capanno.

Jeffrey non si fermò a pensare.

Sfondò la finestra con un calcio. Mise piede sul tettuccio, non più lungo di un metro e mezzo. Poi c’erano altri tre metri per il capanno. Il tetto era inclinato proprio come aveva detto Matt, come un trampolino da sci.

Jeffrey partì di corsa e si lanciò in aria. Agitò le braccia. Cercò di allineare i piedi per l’atterraggio. Si ritrovò a calcolare tutte le cose che sarebbero potute andare storte. Avrebbe potuto mancare il tetto. Sfondare il compensato. Atterrare di lato. Spezzarsi una gamba, un braccio, il maledetto collo.

Atterrò sulle dita del piede destro. Sentì il corpo ruotare all’impatto, la colonna vertebrale torcersi dolorosamente. Bloccò il movimento con il piede sinistro, riportò traballando il peso su quello destro, poi ruzzolò lungo la parte posteriore del tetto. Piombò a terra di sedere.

Dovette scacciare le stelle dagli occhi. Era rimasto senza fiato. Si guardò attorno.

Daryl stava attraversando di corsa il giardino posteriore. Si girò a guardarlo, mentre saltava il recinto che lo separava da quello del vicino.

Jeffrey si rialzò e gli corse dietro, boccheggiando quando saltò anche lui lo steccato. Il piede gli scivolò sull’erba. Nel suo cranio picchiava un martello. Sentiva che qualcosa gli si era strappato nella schiena.

Recuperò l’equilibrio, precipitandosi verso il lato della casa.

Vide Daryl scattare verso la strada. Le sue braccia presero a mulinare quando curvò brusco in Valley Ridge. Scivolò con i piedi nudi sull’asfalto. Quando Jeffrey superò la curva, lui era a trenta metri.

«No-no-no» supplicò Jeffrey.

Non riusciva ad accorciare la distanza. Il ragazzo era troppo veloce. Guardò lungo la via in cerca di Dawson. L’auto di pattuglia era un campo da football più in là. Dawson aveva visto Daryl. Era sceso dalla macchina, stava correndo verso l’azione.

Il senso di sollievo di Jeffrey fu stroncato dall’urlo lancinante di una donna.

Di nuovo il mondo rallentò fino quasi a fermarsi, la macchia indistinta delle case e degli alberi, nella visione periferica di Jeffrey, tremolò per poi bloccarsi.

La donna stava raggiungendo la sua auto. Jeffrey la vide spalancare la bocca. Vide il pugno di Daryl spostarsi all’indietro. Jeffrey tentò di fermarlo urlando. «No!»

Troppo tardi. La donna crollò a terra. Daryl raccolse le chiavi dell’auto.

Jeffrey continuò a correre.

Guadagnò cinque metri faticosi, mentre Daryl armeggiava con la portiera della station wagon rossa della donna.

Un altro metro e mezzo, mentre cercava di accendere il motore.

Un altro ancora, mentre inseriva la retromarcia.

Jeffrey fece appello all’ultima goccia di adrenalina che aveva in corpo e balzò verso il finestrino aperto.

La sua mano afferrò la prima cosa che raggiunse, una manciata dei capelli unti di Daryl.

«Figlio di…» Daryl gli tirò un pugno, il piede ancora sull’acceleratore.

La testa di Jeffrey scattò all’indietro. Le sue scarpe scivolarono sull’asfalto. Daryl lo colpì ancora, e ancora. Di colpo, i muscoli di Jeffrey cedettero. I capelli di Nesbitt gli scivolarono dalle dita.

Cadde, colpendo l’asfalto con la testa. Qualcosa gli disse di rimettersi in piedi il più velocemente possibile. Si spinse con le mani. Alzò lo sguardo.

Dietro il parabrezza, la bocca di Daryl si torse in un sorrisetto furbo. Aveva intenzione di investirlo. Aveva sempre il piede sull’acceleratore.

Jeffrey si affrettò a spostarsi.

Invece di balzare in avanti, l’auto schizzò all’indietro, sobbalzando sul cordolo del marciapiede e finendo contro la casa sul lato opposto della strada.

Non solo contro la casa.

Contro il contatore del gas.

Come qualsiasi uomo che avesse mai preparato una grigliata, Jeffrey aveva già visto il combustibile incendiarsi. Il bagliore bianco-azzurro era quasi ipnotico, mentre i fumi prendevano fuoco formando grosse fiamme. Il contatore di fronte alla casa conteneva soltanto fumi. Guardò impotente mentre il condotto di metallo veniva divelto da millequattrocento chili d’acciaio. Non ci fu nulla di affascinante, solo una scintilla come quando si sfregava un cerino, poi l’aria bruciò illuminandosi.

Jeffrey sollevò le braccia per coprirsi il volto.

L’esplosione generò una palla di fuoco che si ripercosse tutt’attorno a lui. I vetri andarono in frantumi. L’allarme di una macchina gemette. Le orecchie presero a ronzargli. Gli sembrava di avere la testa all’interno di un gong. Il calore era come quello di una sauna. Cercò di alzarsi. Perse l’equilibrio. Sbatté con le ginocchia sull’asfalto.

«Aiuto!»

Daryl era ancora all’interno dell’auto. Era bloccato. Prendeva a spallate la portiera, tentando furiosamente di uscire. Le sue urla erano come una sirena.

«Capo!» Dawson era a cinquanta metri di distanza. Le sue braccia sembravano due stantuffi mentre correva.

«Aiuto!» urlò Daryl. Era per metà fuori dalla macchina. «Aiutatemi!»

Jeffrey incespicò sulla strada. Aveva la sensazione che il calore gli masticasse la faccia.

«Aiuto!» gridò Daryl. Il fuoco gli lambiva la schiena. Era piegato sulla portiera, artigliava il terreno con le mani. Aveva la gamba bloccata all’interno. Non poteva uscire. «Vi prego! Aiutatemi!»

Jeffrey schivò le fiamme. Lo afferrò per i polsi e tirò.

«Più forte!» Daryl prese a scalciare contro il volante con l’altra gamba.

Le fiamme crebbero di colpo. Il calore stava sciogliendo la vernice dell’auto. Jeffrey vide il fondo piatto del serbatoio diventare rosso.

«Tira!» Lo supplicò Daryl.

Jeffrey si piegò all’indietro, sfruttando tutto il peso del corpo.

«No!» strillò Daryl. «Oddio! No!»

Jeffrey sentì un pop. Come quando un tappo di champagne volava in una stanza. Cadde all’indietro. Daryl Nesbitt gli finì addosso. Jeffrey tentò di scrollarselo. Il serbatoio stava per esplodere.

«Capo!» Dawson lo afferrò sotto le braccia. Lo trascinò via dalle fiamme. Qualcuno gli gettò dell’acqua sul viso. Qualcun altro gli mise una giacca sulle spalle.

Jeffrey tossì, sputando una chiazza di liquido scuro per terra. Gli bruciavano gli occhi. Si sentiva la pelle bruciacchiata. I peli delle braccia erano carbonizzati.

«Capo?» disse Matt. Con lui c’era Brad. Cheshire. Hendricks. Dawson.

Jeffrey rotolò dall’altra parte. Il sangue gli colò in gola. Aveva di nuovo il naso rotto. Girò la testa.

Daryl Nesbitt era steso sulla schiena, le braccia allargate, gli occhi chiusi, non si muoveva.

Proprio come Tommi Humphrey.

Proprio come Beckey Caterino.

Proprio come Leslie Truong.

Jeffrey si sollevò sui gomiti. Vide una striscia spessa di sangue nell’erba, che arrivava all’auto in fiamme. La seguì fino a Daryl.

Il tappo di champagne.

Il pop lo aveva prodotto l’articolazione della sua caviglia, quando il piede si era staccato dalla gamba.