Il campanello continua a suonare, mentre finisco di impastare gli ultimi struffoli. Corro ad aprire la porta con le mani sporche di farina, pulendole come posso sul grembiule.
Il fioraio, dietro una gigantesca stella di Natale, abbozza un sorriso.
«È per lei, signora Loren. Mi fa un autografo?»
Il bollo sopra il fiocco mi riporta per un attimo in Italia. Appoggio la pianta sul mobile e apro il bigliettino. Un pensiero d’affetto e di allegria.
Le grida dei bambini, appena arrivati dall’America per le feste, riempiono la casa di dolce confusione. Domani è la Vigilia, finalmente saremo tutti insieme, ma la verità vera è che io non sono pronta. Come farò a metterli tutti a tavola? A friggere in tempo tutti quegli struffoli?
Il mondo mi gira intorno vorticoso e io non so come fermarlo. Mi sento frastornata, come se tutto mi sfuggisse di mano. Torno in cucina, alla ricerca di certezze che non trovo. Passo in sala da pranzo, sperando che vada meglio. La tavola! Sì, la tavola di domani. La voglio colorata e splendente. Presa da un raptus, tiro fuori i bicchieri, sistemo i piatti e le posate, piego con cura i tovaglioli, mi diverto ad assegnare i posti.
Sono nata sotto il segno della Vergine. Di solito, con il mio perfezionismo un po’ ossessivo riesco ad annoiare perfino me stessa, ma oggi no, oggi mi sembra che il disordine abbia la meglio su tutto. Ricomincio, cercando di tenere a bada l’emozione. Vediamo un po’, due, quattro, otto più cinque tredici e quattro diciassette… no, diciassette no! Fammi ricontare da capo.
Dalla foto sul comò Carlo mi sorride, con quel suo sorriso speciale il giorno del nostro matrimonio. Non mi dimenticherò mai la prima volta che ho sentito quegli occhi su di me, tante vite fa, in un ristorante affacciato sul Colosseo. Io poco più di una bambina, lui un uomo arrivato. Il cameriere che si avvicina portandomi il biglietto con cui il “Produttore” mi fa sapere che mi ha notata. Poi, la passeggiata in giardino, le rose, il profumo di acacia, l’estate che volge al termine.
L’inizio della mia avventura.
Sfioro la poltrona verde dove si appisolava con il giornale. Sento un po’ di freddo, domani mi devo ricordare di far accendere il camino. Per fortuna, arriva Beatrice a distrarmi dalla nostalgia. «Nonna Sophia, nonna Sophia!» È l’ultima dei miei nipoti, bionda bionda e molto concentrata. Dietro di lei si affacciano gli altri, come piccoli Apache in delegazione. È ora di prepararsi per andare a letto, ma loro non ci pensano neanche. Li guardo, mi sorridono, troviamo un compromesso.
«Perché non ci vediamo un film?»
Ci sediamo tutti insieme davanti al televisore. Tra le urla di gioia, scoppia la guerra sulla scelta del cartone. Ma alla fine vince Cars 2, la loro hit del momento.
«Nonna, ci fai Mamma Topolino?»
«Mo te preparo ’na cosarella sciuè sciuè» recito la mia battuta facendo strane smorfie.
«Ancora, ancora, ti prego nonna, fallo ancora!»
Sentire la mia voce in bocca a una macchinina li manda in visibilio. Chi l’avrebbe detto quando avevo accettato, un po’ esitante, la proposta di questo strano doppiaggio! Piano piano Vittorio e Lucia, Leo e Beatrice si lasciano ipnotizzare dalle immagini e prima della fine sono crollati. Li copro con un plaid, guardo l’orologio, penso a domani. Fuori è cominciato a nevicare, e io nel trambusto neanche me n’ero accorta. Gli arrivi e le partenze sono sempre momenti speciali, che mettono in moto la giostra dei ricordi.
Se penso alla mia vita, mi sorprendo che sia tutto vero. Una mattina mi sveglierò e capirò di aver solo sognato. Intendiamoci, non è stato facile. Di certo è stato bello, è stato duro, ne è valsa la pena. Il successo ha un peso, che bisogna imparare a gestire. Nessuno te lo insegna; la risposta, come sempre, sta dentro di te.
In punta dei piedi me ne torno in camera. È confortante stare un po’ da soli. Se mi fermo, lo so, ritrovo – a darmi il ritmo – il battito sereno del mio cuore.
Appena entro mi accorgo di avere ancora addosso il grembiule. Lo slaccio, tolgo le scarpe e mi butto sul letto, la rivista è ancora aperta dove l’avevo lasciata stamattina. In queste ultime notti la gioia di riabbracciare i ragazzi mi ha tolto il sonno, e io senza sonno mi sento perduta. È il motore che mi fa viaggiare.
«Buon riposo» grida Ninni dall’altra stanza. «Cerchi di dormire!»
Ninni, Ninni… è con noi da quasi cinquant’anni. Si è presa cura di Carlo jr e Edoardo, si è presa cura di me e ora, quando calano in città, si prende cura dei piccoli Apache con l’entusiasmo di sempre. A volte mi chiedo dove trovi la pazienza per sopportarci.
«Sto già dormendo» mento, per tranquillizzarla. E invece sto là, con gli occhi sbarrati che guardo il soffitto.
Mentre provo a calmarmi, lascio correre i pensieri. Chissà se ai bambini piaceranno i miei struffoli? Quelli di zia Rachelina, a Pozzuoli, erano molto più buoni. Si sa, i sapori dell’infanzia vincono sempre ogni confronto.
Mi sento inquieta, come quando dalla realtà si scivola piano in un mondo diverso, fatto di sogni o di memoria. Non riesco a stare ferma, mi infilo la vestaglia e vado nello studio, in fondo al corridoio. A fare cosa ancora non so. Fisso lo scaffale, sposto i libri, i ninnoli, le foto, i fermacarte. Mi affanno, come se cercassi qualcosa. Comincio a innervosirmi quando dietro, in fondo alla mensola, intravedo una scatola di legno scuro. La riconosco subito, in un attimo mi scorrono davanti agli occhi lettere, telegrammi, biglietti, fotografie. Ecco cos’era, ecco il filo rosso che guidava i miei passi in questa fredda serata d’inverno.
È il mio baule dei segreti, un tuffo al cuore che mi coglie di sorpresa. Ho la tentazione di lasciarlo dov’è. Troppo tempo è passato, troppe emozioni. Poi lo prendo, mi faccio coraggio e torno lentamente in camera.
Forse è questo il mio regalo di Natale, e tocca a me aprirlo.