Ornamento di separazione

PICCOLI GESTI

Fari accesi, doppie frecce. La mia Pagani Zonda Roadster incarnato prugna è sotto casa di lei.

Sono le 20:16 e sto aspettando che scenda la donna più bella con cui mi sia mai capitato di guadagnarmi un appuntamento.

Assesto un paio di ceffoni al sedile del passeggero per mondarlo da eventuali lordure. Apro lo specchietto parasole per darmi un’ultima aggiustatina ai capelli prima che lei entri in macchina.

Ho giusto il tempo di assestare un ciuffo fuori posto: pochi secondi dopo, arriva lei e l’abitacolo si riempie di sovraumana bellezza.

Chanèl Stevanato, ventisei anni, attrice, scrittrice e modella. Una dea.

«Ma ciao!» civetta lei con quella congiunzione avversativa tipica della donna che ha già deciso. Le sorrido, sono sicuro di me, parto deciso con il programma della serata: «C’è un bistrot guatemalteco qui vicino. Ti piacciono i platani caram…?»

Non faccio in tempo a dire «…ellati» che mi stampa un bacio tra mento e bocca. Si morde il labbro inferiore fino quasi a rischiare di mozzarselo e sussurra: «Andiamo dove vuoi tu…»

Direi che stasera la cena si poteva tranquillamente saltare, ma ormai siamo entrambi coinvolti nel gioco della seduzione. Premo sull’acceleratore, i semafori sono tutti verdi. Con una manovra fluida e decisa, parcheggio la mia Roadster di fronte all’Ibiscus. All’entrata del locale c’è Paolo Sorrentino, il regista famoso. L’ho conosciuto poche settimane fa, a una riunione. È felice di rivedermi. Mi saluta, io ricambio con un «Buona serata, Paoletto». Rivolgersi a persone importanti usando un vezzeggiativo come può essere appunto «Paoletto» fa sempre una certa impressione sulle tipe. Stasera sono in gran forma, non riesco neanche a tenere il conto della valanga di punti che sto raccogliendo con Chanèl: questo appuntamento è già un quadro di Seurat.

Ci sediamo a tavola, è il momento di ordinare. Chanèl opta per un chile relleno mentre io mi butto su un tapado: una zuppa di pesce cucinata nel latte di cocco e insaporita con del coriandolo pazzo. Il cameriere ammicca laido: «Occhio, eh… Sono due piatti molto afrodisiaci». Chanèl gli risponde al volo, guardandomi dritto negli occhi: «Oh, ma noi non ne abbiamo bisogno».

Oggi per lei sono l’unico maschio fertile in città.

Mi sorride come in uno dei suoi ultimi scatti per il catalogo Givenchy, solo che ora è molto più bella. Senza nessun fotoritocco. Sembrerà folle ma credo sia più ammaliata lei di quanto non lo sia io.

Durante la cena parliamo amabilmente. Scopro che abbiamo un mucchio di cose in comune. Adoriamo la montagna, ci annoia il mare, abbiamo votato entrambi Mario Monti e il nostro film preferito è Leaving Neverland.

Dopo aver finito di mangiare (devo dire: tutto buonissimo) faccio per andare a pagare il conto. La caposala dell’Ibiscus mi dice che non serve perché «ha già pagato la ragazza».

Wow!

Intanto il proprietario dell’Ibiscus ci ringrazia calorosamente e insiste per offrirci due bicchieri della loro migliore aguardiente Quetzalteca perché, a sua detta, siamo entrambi troppo dannatamente sexy e vincenti per non assaggiarla.

Che serata ragazzi, ed è solo l’inizio.

Voliamo verso casa mia. Non esistono autovelox. L’autoradio vibra a tutto volume Love Burns dei Black Rebel Motorcycle Club. Anche Chanèl la conosce a memoria. Incredibile.

Non faccio in tempo a parcheggiare che lei mi è addosso: l’abitacolo diventa un campo di battaglia, il teatro del più licenzioso dei baci. Ci trasciniamo rotolando per tutto il marciapiede, percorriamo strusciando le scale del condominio, il vortice delle nostre lingue si intride dell’aspro sapore dei gradini, credo di inghiottire qualche mozzicone di sigaretta altrui, rotoliamo fino all’ascensore, al pianerottolo, attraversiamo l’uscio della porta, il corridoio e infine raggiungiamo la camera da letto.

Alle quattro del mattino siamo ancora svegli.

Se non fosse chiaro, noi s’è fatto l’amore. Ma proprio alla grande.

Chanèl mi fissa. I suoi occhi brillano nel cuore del buio.

«Sono pazza di te.»

Io annuisco.

Sono un cazzo di capobranco.

***

Fari accesi, doppie frecce. La mia Pagani Zonda Roadster incarnato prugna è sotto casa di lei.

Sono le 20:16 e sto aspettando che scenda la donna più bella con cui mi sia mai capitato di guadagnarmi un appuntamento.

Assesto un paio di ceffoni al sedile del passeggero per mondarlo da eventuali lordure. Apro lo specchietto parasole per darmi un’ultima aggiustatina ai capelli prima che lei entri in macchina.

Ma niente, lei arriva prima che io riesca a darmi l’aggiustatina ai capelli. È troppo tardi, non ho il tempo di assestare il ciuffo fuori posto che lei ha già riempito l’abitacolo di sovrumana bellezza.

Chanèl Stevanato, ventisei anni, attrice, scrittrice e modella. Una dea.

«Ciao» esordisce. Niente congiunzioni, men che meno avversative. Le sorrido sforzandomi di sembrare a mio agio, ma lei mi guarda con malcelata indifferenza. Parto deciso con il programma della serata: «C’è un bistrot guatemalteco qui vicino. Ti piacciono i platani caram…?»

Non faccio in tempo a dire «…ellati» che la bionda fa uno sbuffo e mi silura: «Oddio, prendermi la botriocefalosi in un all you can eat magari anche no, eh…»

Provo a darle un bacio, di quelli rispettosi da inizio serata, ma il suo cranio fa una torsione repentina e in un nanosecondo mi trovo col naso sulla sua nuca.

«Allora, Chanèl, dove andiamo? Guarda che l’Ibiscus non ha la formula all you can eat, ma è un pos…»

Non faccio in tempo a dire «… to che fa una cucina molto particolare, anche un po’ – se vogliamo – afrodisiaca» che Chanèl già ha in mente un piano B; di quei piani B nati sapendo di essere da subito dei piani A.

«Senti» mi interrompe, «al Monkey Business stasera c’è la band di un tipo che conoscevo. Magari puoi mangiare qualcosa lì.»

Perché no, possiamo mangiare qualcosa lì. Assieme. L’importante è stare con lei.

Senza farmi notare da Chanèl, mando un messaggio al ristorante guatemalteco per disdire la prenotazione. Sapevo che stasera ci avrebbe cenato anche Paolo Sorrentino, regista famoso. L’ho conosciuto poche settimane fa, a una riunione. Poteva essere una bella occasione per incontrarlo e chiamarlo «Paoletto» di fronte a lei. Peccato.

Durante il tragitto da casa sua al locale, non so cosa dire. I semafori sono tutti rossi. Ogni volta che ne becchiamo uno, Chanèl rotea gli occhi verso l’alto, come se il fenomeno fosse adducibile a una mia mancanza di spina dorsale. Intanto continua a mettere cuori ad altre modelle che hanno commentato su Instagram la sua ultima foto scrivendo «#SempreSorca».

Dopo un’affannosa ricerca, finalmente trovo parcheggio vicino al Monkey Business. Lo faccio con una manovra di cui probabilmente non si parlerà mai in nessun articolo di «Men’s Health». Scendiamo e ci raggiunge un ragazzo di colore che vuole venderci le rose. Non so se acquistarle e apparire patetico agli occhi di lei oppure dire di no e sembrare razzista o, peggio ancora, tirchio. Decido di fare quello stravagante e dico: «A questo punto piglio tutto il mazzo!». Costa venti euro. Gliene do cinquanta e aspetto che lui trovi il resto. Chanèl non ha reazioni e all’improvviso viene raggiunta da alcuni amici che, si direbbe, la stavano aspettando. Sono altissimi e, a guardarli, credo lavorino anche loro con la moda, nonostante siano espansivamente eterosessuali. Siamo a ottobre, ma indossano camicie strappate sul petto. Uno di loro la prende in braccio. Lei ride senza controllo, sono tutti bellissimi. Chanèl è un angelo.

Io ho un mazzo di rose in mano.

Mi presenta ai suoi amici come un suo conoscente.

Entriamo e mi è subito chiaro che il Monkey Business è più un club che un ristorante. Peccato, perché avrei un po’ fame. Il posto è buio e rumoroso, mi sento a disagio in tutta quella confusione. Perdo di vista Chanèl e poco dopo la ritrovo tra il pubblico della band. Hanno appena iniziato a suonare.

Durante il live, in quei fortuiti momenti in cui lo sguardo di lei intercetta la mia faccia, fingo di cantare anche io assieme al pubblico i ritornelli della band o di simulare qualche riff di batteria. Cinque volte su sei sbaglio il tempo e il labiale. A metà concerto sento strillare.

«Gara della merda!!!»

È un uomo seminudo sul palco.

Si tratta del tipo di cui Chanèl parlava quando ha detto «band di un tipo che conoscevo».

Scopro così che negli show di questo complesso c’è questo buffo rituale goliardico della «Gara della merda». Il cantante scende dal palco e chiede a una persona a caso quanta merda crede di avere in corpo in quel momento.

Chanèl mi spiega il giochino. Non lo capisco benissimo. Tutti qui dentro sono fan della band. Tutti tranne me, ma il caso vuole che sia proprio io ad essere scelto dal leader.

«Tu che vendi i fiori, quanta merda hai in corpo?»

Il Monkey Business è un’esplosione di risate. Cerco di unirmi all’onda di ilarità per sparire nella folla e non sembrare un idiota. In quei pochi istanti, mi sforzo di capire quale possa essere il modo più intelligente di rispondere a quella domanda. Vorrei che tutti qui dentro capiscano che anche io sono fico come loro.

Non mi viene in mente nulla ma, per evitare la scena muta, dico: «Boh, tanta!»

Tutto il pubblico dice: «WHAT?», facendomi prendere un colpo, hanno tutti le sopracciglia inarcate come i personaggi della Dreamworks. Non so che devo fare.

Ridono tutti, Chanèl si vergogna di me. La band riprende a suonare dopo che il cantante strilla al microfono: «Questa davvero non c’era mai successa! Che schifo!!!»

È l’una di notte, la band ha finito di suonare, io sono stanchissimo. Purtroppo, però, la serata non è finita. Anzi, per fortuna, visto che si tratta pur sempre di un appuntamento con Chanèl Stevanato, ventisei anni, attrice, scrittrice e modella. Una dea.

Raggiungiamo la band nel camerino, o meglio è lì che seguo Chanèl. Il mio sospetto si fa certezza. «Tipo che conoscevo» è un ex di Chanel. E, a quanto sembra, i due sono ancora in ottimi rapporti. Lì dentro gli unici uomini siamo io e quelli della band, il resto sono groupie. Cerco di confondermi tra i musicisti. Per darmi un tono comincio a tamburellare le dita su un divano, guardando il soffitto con fare pensieroso, come se stessi riarrangiando a mente una qualche mia composizione musicale. Mi distraggo un secondo e, subito dopo, vedo che Chanèl e «Tipo che conoscevo» non ci sono più. Mi assale il dubbio che si siano allontanati insieme, ma non è così. Sono a pochi passi da me, nel bagno del camerino. Intuisco che stanno scopando perché la porta è spalancata e li vedo.

Gli altri musicisti e le rispettive groupie stanno prendendo della cocaina. Io non ho alcuna intenzione di unirmi a loro, ma per fortuna non hanno pensato minimamente a offrirmene un po’.

«La cosidetta dama bianca, eh?» dico sorridendo verso di loro.

Mi guardano come si guarderebbe una serranda.

Dieci minuti dopo, Chanèl mi chiede uno strappo a casa.

«Ma certo, Chanèl. Siamo usciti assieme, mica ti mando a casa col taxi, amore mio.»

Non mi sente, entra direttamente in auto.

Guido nella notte con lei accanto. Si è addormentata. A ogni stop non posso non poggiare il mio sguardo sulla sua bellezza eterea. Sembra una stella di Hollywood a fine riprese, i capelli d’oro le formano una ciocca leggera ed elegante che le carezza il volto, per poi ricongiungersi al manto setoso che le copre le spalle.

Raggiungiamo casa sua. La sveglio delicatamente, lei sorride.

Apre gli occhi e vede me.

Smette di sorridere.

«Dove sono?» mi chiede, un po’ allarmata.

«Siamo sotto casa tua Chanèl, che ti prende?»

«Ah sì, buonanotte» taglia corto lei, mentre cerca nervosamente le chiavi nella borsetta. «Ci sentiamo un giorno di questi… Magari organizziamo anche con gli altri.»

Chanèl scende dall’auto, esce per sempre dalla mia vita alla quale ha concesso un cameo con questa serata meravigliosa.

Da gentleman quale sono, prima di ripartire, attendo che rientri al sicuro nell’atrio del suo palazzo. Qui incontra un suo dirimpettaio col quale inizia a chiavare consensualmente.

Mi allontano. Sento l’eco delle loro risate.

Ridono di me.

Sono a casa mia. Al sicuro. Mi guardo allo specchio e mi do finalmente una riassestata ai capelli.

Che cavolo.

Così sì che stavo messo carino.

Ornamento di separazione