Berlino, per Trevor Clancy, rimaneva una città drammatica. Solo di tanto in tanto, nel grigio scenario della parte occidentale, affiorava qualche pennellata di inutile lucentezza. Sotto la luce migliore, quella metropoli gli ricordava le cromature di certe auto statunitensi.
Quel mattino aveva scelto vestiti ordinari, per confondersi nell’anonima processione di tedeschi del dopoguerra. L’inverno, nella più ostile delle sue forme, squarciava l’impermeabile di Clancy, nome in codice «agente 999», ma il vento non bastava a togliergli di dosso l’amalgama di odori del giorno prima.
I capi dell’Intelligence lo avevano spedito a esercitarsi presso il poligono di tiro Mayfair, sotto la stretta supervisione dell’ufficiale capo del luogo, il caporale Roger McGuyan.
Per l’occasione, all’agente segreto Clancy fu affidata una nuova arma. Era quasi un calibro 308 da Bersaglio Internazionale Sperimentale. L’incarico di portare l’arma di precisione a Clancy fu affidato alla bella ecuadoregna Ines Periència, nome in codice «agente 888». La donna lo raggiunse presso il Müller Motel alle 21:15.
Si incontrarono nella hall. Ines indossava una giacca di velluto beige su dolcevita bianco perla e pantaloni da cavallerizza color vinaccia. Ma l’accessorio più esclusivo erano i suoi occhi smeraldo, incorniciati da sopracciglia e capelli castani che custodivano un viso splendente ma agguerrito, al quale Trevor Clancy non rimase indifferente.
I due colleghi si erano già conosciuti vagamente tre mesi prima a Kaliningrad per la missione «Parallelepipedo di platino». Già allora avevano intuito che quella conoscenza avrebbe meritato un ulteriore approfondimento.
La valigetta c’era, l’arma anche. Gli agenti Trevor Clancy e Ines Periència prelevarono dalla reception una bottiglia di Blackwood Vintage Dry Gin: avrebbe fatto loro compagnia in quella triste stanza d’albergo. Una sorta di festeggiamento in anticipo, o un addio eccitante, qualora per l’agente Clancy la missione non fosse andata per il verso giusto.
Alle 9:00 del mattino, Ines era già tornata in sede. Trevor era ancora in albergo, alle prese con la nuova arma. La stessa usata la mattina prima presso il poligono Mayfair, ma con un nuovo sistema di caricamento a colpo singolo con un caricatore a cinque colpi. All’arma erano bastati due secondi tra un colpo e l’altro per riequilibrarsi completamente. Ma in una missione del genere, pensò Clancy, anche due secondi potevano rappresentare una pericolosa perdita di tempo.
Alle 9:30, Clancy scese in strada e sentì da lontano il petulante stridore degli pneumatici: l’Intelligence aveva mandato qualcuno a prenderlo per la missione. Una Bentley nera superò un rondò, si percepì il brusco ma dinamico raddrizzamento del volante in direzione dell’agente segreto.
Alla guida c’era l’affascinante agente 777, Patricia Wire, assistente personale del capo della sezione S del Secret Intelligence Service, una donna incredibilmente magnetica e misteriosa con dei capelli corvini che le cadevano luminosi sulla schiena coprendole metà del viso donando al suo sguardo ulteriore mistero.
«Mister Clancy, conosce la parola d’ordine?» esordì 777.
«Non è solo una parola d’ordine. Si tratta proprio di un dialogo fatto e finito» sentenziò l’agente Clancy.
«Si, ma noi lo chiamiamo comunque parola d’ordine, non dialogo d’ordine» aggiunse Patricia Wire.
«La mia era più una constatazione, non una correzione, ci mancherebbe» concluse lui.
Patricia fece montare Clancy a bordo della Bentley nera. Il muso dell’automobile puntò verso il bagliore lontano del casinò di Saarbrücken che appariva come un grappolo di lucine nel grigio della capitale tedesca.
Una volta giunti in una stanza privata all’ultimo piano del casinò, Patricia Wire spiegò a Clancy la mansione nei suoi dettagli.
«Agente 999, lei è qui oggi per salvare Numero K. Si tratta di un ottimo elemento.»
«Eppure non ha mai lavorato con me…» disse a mezza bocca Clancy, come per celare un’impennata di sicumera.
«Mi sarei stupita del contrario, agente 999» lo interruppe Wire. «Numero K ha vissuto in gran segreto in un’isola del mar Glaciale Artico fino alla fine del Secondo conflitto mondiale. Oggi sta tentando di rimpatriare, ma ha con sé un bagaglio molto pericoloso: informazioni. Quell’uomo sa tutto dei piani russi per mettere sotto pressione l’Occidente. Il Foreign Office dice che, se non fermiamo il Cremlino, possiamo dire addio al mondo come lo conosciamo.»
Uno squarcio di angoscia incrinò la corazza di disincanto dell’imperturbabile Patricia Wire. L’assistente personale del capo della sezione S del Secret Intelligence Service era visibilmente scossa.
«A furia di ciarlare di disarmo nucleare» riprese l’agente 777, «il blocco comunista manderà all’aria la Conferenza di Ginevra. Numero K è riuscito ad arrivare a Berlino Est, ma ha tutto il Kgb e la polizia della Germania Orientale alle calcagna.»
Clancy cercò di anticiparla: «II Kgb sa dell’arrivo di Numero K e avrà certamente reclutato degli agenti tiratori per farlo fuori. Dico bene?»
«Uno solo! Maksim Gor’kij. Un sicario noto anche col nome di Silver Elbow. Ha un gomito d’argento per via di un brutto incidente col motorino.»
«Ho capito.»
«Lei ha a disposizione solo pochi secondi per eliminare Silver Elbow, salvare Numero K e portare a termine l’operazione “Ipotenusa d’Acciaio”».
Clancy annuì, uscì sul balcone e, senza dare nell’occhio, gettò uno sguardo al panorama. Sulla destra, un veicolo nero si avvicinava. A bordo di quell’auto c’era Numero K. Senza tradire la tensione che lo percorreva, Clancy si guardò intorno: con impercettibili scatti del collo effettuò una millimetrica ricognizione dell’area circostante. In uno dei palazzi di fronte, a un centinaio di metri di distanza, notò un bagliore sospetto. Da una finestra sporgeva la punta di un fucile. Clancy ne studiò la canna brunita, il mirino telescopico e la meccanica del cane.
Era Silver Elbow! E nelle sue mani stringeva il miglior Mosin-Nagant a disposizione del Kgb.
Clancy manovrò delicatamente le viti del proprio calibro 308 da Bersaglio Internazionale Sperimentale e spostò leggerissimamente la crociera della lente dello sniper scope fino a puntare subito dietro la canna del fucile che spuntava dal buio di quello squallido appartamento berlinese.
«L’ho individuato» disse 999. «Punterò alla testa, agente 777.»
«Mi chiami Patricia, agente Clancy…»
La donna aveva iniziato a parlare sotto voce: l’odore del nemico e la necessità di agire in fretta avevano già influito sui suoi nervi.
Un proiettile partì increspando l’aria gelida. Un attimo dopo, il miglior Mosin-Nagant a disposizione del Kgb cadeva da una finestra del terzo piano.
Silver Elbow era stato eliminato. Numero K era sano e salvo.
La morte di uno sconosciuto in cambio della vita di uno sconosciuto. Clancy ci rifletté. Era il suo lavoro. Volle accettare d’aver fatto la cosa giusta.
«Non avevo dubbi su di lei, Mister Clancy.»
«Non immaginavo potesse averne, agente 777.»
«Gliel’ho detto… Mi chiami Patricia.»
La missione «Ipotenusa d’Acciaio» era già finita e la notte era ancora così lunga, Berlino così noiosa e quella stanza all’ultimo piano del casinò di Saarbrücken così vuota. C’erano solo loro due e una bottiglia di ottimo bourbon che Clancy aveva portato con sé.
«La sua precisione è stata notevole Clancy, mi incuriosirebbe sapere come se la cava in ambiti… non prettamente professio-nali.»
Patricia iniziò a cingergli le spalle con le sue braccia lisce e dorate.
«Finora nessuna donna si è mai lamentata, se stiamo alludendo allo stesso tipo di ambiti.»
Lo sguardo glaciale dell’agente dell’Intelligence si sciolse mentre si avvicinava all’agente Trevor Clancy che però dovette fermarla.
«No, guarda, aspetta, mi sa che non posso eh…»
«Ah, ok. Ma come mai?»
«No, è che ieri sono stato con una. Cioè, non lo so, magari la conosci pure. Sarebbe l’agente Periència, quella mezza ecuadoregna.»
«Ah, sì, sì, Ines, come no? Ah, ma non avevo capito che stavate insieme.»
«No, allora, non è che stiamo insieme; in realtà non si è capito bene. Però, insomma, ieri siamo finiti a passare, diciamo così, la notte nella stessa stanza e quindi, boh, non è che ci siamo detti “Oh! Siamo fidanzati” o cose così. Non ci siamo più sentiti, però è stato ieri, capito? Non saprei, magari era una cosa e via, non lo so, ma per correttezza meglio se evitiamo.»
«Ah, va bene, chiaro, anzi, scusa se magari sono stata un po’… un po’ diretta, ecco!»
«No macché, anzi, scusami tu. Però boh, vorrei evitare di fare il classico uomo stronzo, capito?»
«Sì, sì, ci sta. Anzi, è pure carino da parte tua.»
I due agenti si sorrisero.
Clancy riprese il fucile lo ripose nell’astuccetto e salutò l’agente 777 con due bacetti sulle guance e si dissero un bell’arrivederci prima di uscire dal casinò.
Poi però si accorsero che comunque dovevano fare un pezzetto di strada assieme e si salutarono nuovamente all’altezza del Saarland Museum.
«Allora ciao, eh!»
«Oh, grandissimo, ciao!»