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«Un secondo solo» rispose Matthew nella ventosa oscurità, guardando giù verso il parco e le luci della città.

Era in cima a un caseggiato vicino a Park Avenue South, dietro a dove si trovava lei, in 19th Street. Era un palazzo disabitato dell’anteguerra, dodici piani avvolti da reti e ponteggi per via di importanti lavori di ristrutturazione.

Era una bella postazione: sdraiato sopra il tetto della struttura in muratura che ospitava i motori dell’ascensore e ben mimetizzato sotto diversi pannelli neri presi a prestito dal cantiere.

L’arma al suo fianco era una delle sue preferite, una carabina di precisione M24 SWS con lungo silenziatore e cinque Winchester magnum .300 nel caricatore estraibile sul cavalletto, puntata sull’obiettivo, che si trovava nel Gramercy Park Hotel, e per l’esattezza nella suite numero 809.

Matthew aveva impiegato almeno due ore per estorcere a Pavel Levkov quell’informazione. Il nome del cecchino era sconosciuto a tutti, compreso Pavel. Veniva chiamato «l’Inglese» ed era un osso duro che era nel giro da una vita. Un autentico mercenario, che lavorava per chi gli offriva più soldi.

Quella sera la sua carriera stava per concludersi. È inevitabile, pensò Matthew appoggiando la guancia alla carabina.

Guardò nel visore notturno S & B e sbatté le palpebre. Era già puntato sulla vetrata del terrazzino della suite 809, all’angolo fra 21st e Lex. Oltre la tenda si vedevano l’estremità di un divano basso in pelle nera e parte di un enorme quadro astratto appeso alla parete.

Non era un bersaglio difficile. Duecento metri di distanza, da sinistra a destra, inclinazione verso il basso di quattro piani. Da quella distanza avrebbe potuto persino usare una pistola, se non fosse stato per il vento che soffiava da nord-ovest a una quindicina di chilometri all’ora. Era solo per questo che aveva optato per la carabina M24.

Il piano era semplice: usare un diversivo per attirare il bersaglio alla finestra e colpirlo appena possibile con un Winchester .300.

Matthew non era un amante degli stratagemmi di quel genere. Trovava che funzionassero molto meno frequentemente di quanto si pensasse. Il rischio era che, lungi dal cadere nella trappola, il bersaglio fiutasse il pericolo. Ma era vero che anche i più accorti talvolta abbassano la guardia.

«Okay, al tuo via» gli bisbigliò la voce di Sophie nell’orecchio.

Prese qualche bel respiro, chiuse gli occhi e tese le orecchie, cercando l’immobilità. Dopo trenta secondi si sentì tutt’uno con il palazzo che lo sorreggeva. Il soffio del vento freddo sulla guancia, lo stridore di un autobus e un clacson nella notte buia...

Aprì l’occhio destro e centrò il reticolo sulla finestra.

«Sono pronto. Vai!»