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Mi precipitai fuori dello stadio e corsi lungo River Avenue sotto la ferrovia sopraelevata. Ero cinque o sei metri più indietro, quando Matthew Leroux saltò nell’aiuola spartitraffico in mezzo a 161th Street.

Una donna che era sul marciapiede opposto lanciò un grido vedendolo estrarre una pistola con il silenziatore e cominciare a sparare all’Inglese che correva come un fulmine poco più avanti, in pieno giorno.

«Sei pazzo? Metti via quella pistola! Vuoi ammazzare qualcuno?» gli urlai. Lo raggiunsi e spinsi verso il basso la canna della pistola.

«Sì, l’assassino del presidente!» ribatté Leroux scendendo dall’aiuola per continuare l’inseguimento.

Nel frattempo erano arrivati anche Arturo e Sophie. «L’Inglese ha appena girato l’angolo in direzione sud» dissi. «Proseguite su River Avenue, in modo da intercettarlo se fa il giro dell’isolato.»

La gente si affacciava a guardare sulla porta dei negozi, mentre correvo dietro a Leroux sul lato nord di 161th Street. Ero convinto di essere piuttosto veloce per la mia età, ma Leroux era incredibile e stava aumentando il vantaggio in maniera imbarazzante.

Quando svoltai in Gerard Avenue, vidi che correva in mezzo alla strada ed era già arrivato a circa metà isolato. Improvvisamente sparì in un vicoletto fra due palazzi sulla destra.

Arrivai all’imbocco del vicolo, sentii un rumore metallico e guardai su. Al terzo piano delle scale di sicurezza c’era l’uomo brizzolato che avevo visto poco prima in tribuna. Ci guardammo negli occhi.

Per una frazione di secondo.

Feci marcia indietro e mi buttai sull’asfalto appena in tempo. L’Inglese aveva sollevato la Glock e stava prendendo la mira. Il finestrino lato passeggero di un camion dei traslochi parcheggiato dove mi trovavo un attimo prima andò in frantumi. Schizzai verso destra per allontanarmi dalla linea di tiro.

Quando mi fui ripreso dallo shock quel tanto che bastava per estrarre a mia volta la pistola e azzardarmi a sbirciare di nuovo verso l’alto, l’Inglese non c’era più. Vidi Leroux, però: era già al quarto piano delle scale di sicurezza e correva su per le rampe di metallo arrugginito come se si trattasse di una gara olimpica e ambisse alla medaglia d’oro.

Invece di seguirlo, entrai nell’edificio dalla porta di servizio sul lato est e presi le scale interne.

Salii di corsa e quando arrivai in cima ansimando spalancai la porta che dava sul tetto.

Scattò un allarme. Senza fiato, mi guardai intorno in cerca di Leroux e dell’Inglese. Sulla destra, a circa tre metri da me, c’era il cornicione e, poco distante, il cornicione del palazzo adiacente sul lato nord.

Andai verso l’orlo del baratro chiedendomi se fossero saltati dall’altra parte e scandagliai il tetto dell’altro palazzo senza vedere né l’uno né l’altro.

Capii che la mia intuizione era corretta, però, quando sentii due colpi di arma da fuoco provenire da dietro gli enormi condizionatori installati sul tetto di fronte.

Un secondo dopo mi suonò il cellulare.

«L’ho beccato, Mike!» gridò Leroux. «È in trappola! È bloccato dietro il casotto dell’ascensore, nell’angolo nord-ovest. Non ci sono uscite di sicurezza né niente. Chiama i rinforzi, la cavalleria, l’aviazione! Chiama tutti quelli che puoi! Io resto qui e lo tengo sotto tiro. Non può andare da nessuna parte. Sbrigati! L’abbiamo preso, finalmente!»